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La casa all'interno è molto spaziosa, forse troppo per una sola persona. La zia di Nash mi ha fatto fare velocemente un giro mostrandomi le stanze. Quando mi ha portato nella mia, ci sono rimasta un po' male. È una stanza con le pareti dipinte di un blu notte, dalla parte opposta della porta c'è il letto e i muri sono tappezzati da poster e cartelloni. La scrivania vicina al letto, invece, è piena di fogli di carta messi in disordine e penne. La sorella di Chad si era scusata dicendo che era la stanza di un uomo e che non aveva avuto tempo di sistemare. Accetto le sue scuse e appena mi lascia da sola in camera, comincio a sistemare i miei vestiti e a organizzare a modo mio la stanza. Ci metto un po' di tempo ad orientarmi, a trovare tutti i cassetti giusti e a mettere tutto al posto giusto. Mi ci vorrà un bel po' di tempo per abituarmici. Il mio sguardo scatta verso la porta quando sento bussare.

«È pronto il pranzo» mormora Nash. Ha i capelli bagnati attaccati al collo e solo un paio di pantaloncini scuri larghi che gli fasciano le gambe. Il petto non è coperto da niente, se non da qualche gocciolina d'acqua che ci scivola sopra. Rimango ad osservarlo nella sua bellezza forse per troppo tempo, tanto che sul suo viso nasce un sorriso malizioso.

«Ehm, io, uhm, arrivo» inciampo nelle parole, interrompendo quel mio momento di trance.

«Okay» ridacchia prima di scomparire dalla mia visuale. Alzo gli occhi al cielo, sbuffando. Mi sistemo un attimo i capelli e poi esco dalla camera. Uscendo dalla stanza, incontro Nash uscire dalla sua mentre sta cercando di infilarsi una maglietta bianca. Per fortuna non mi ha visto piantargli gli occhi addosso.

«Non hai niente di meglio da fare che fissarmi, eh?» ridacchia.

Come ha fatto ad accorgersene?

«Guarda che mi accorgo di tutto» dice come se mi avesse letto nel pensiero. Questa cosa è inquietante. Quando entriamo in cucina, troviamo la sorella di Chad che sta mettendo della pasta in bianco nei piatti.

«Scusate se è in bianco, ma non ho avuto il tempo di fare altro. Devo correre in ufficio, adesso. Ci vediamo questa sera» dice frettolosamente infilandosi una giacca blu sopra alla camicia bianca che porta. Ci saluta un'altra volta prima di sbattere la porta alle sue spalle.

«Come si chiama tua zia?» chiedo a Nash, dato che ancora non si è presentata.

«Lucy» dice fissando il piatto davanti a lui. Lo ringrazio col silenzio, continuando a mangiare questa pasta senza senso. Rimaniamo sempre in silenzio, circondati dal disagio, con la costante sensazione che questo silenzio debba essere spezzato.

Decido di romperlo io.

«Ma tua zia sa quello che abbiamo fatto?»

Nash alza lentamente lo sguardo cercando i miei occhi. «Non credo. Mi sembra troppo allegra.»

«Già.»

Ed ecco il silenzio di pochi istanti fa. Non lo sopporto, non voglio che sia così tutti i giorni. Se dovesse andare proprio in questo modo, mi sono portata dietro il mio paio di chiavi di casa, quindi potrei ritornare sempre lì.

«Mi sa che ci divertiremo, Alex» ridacchia Nash non guardandomi negli occhi.

«Ti ho già detto che non mi piace quel nomignolo» ripeto seccata. So che questo mio rimprovero non lo fermerà, ma glielo dico lo stesso.

«Ma perché? Alla fine Alex è il soprannome di Alessia, o sbaglio?»

«Hai ragione, Hamilton.»

Adesso sì che giochiamo allo stesso gioco.

«Evita» sbotta.

«E perché? Alla fine Hamilton è il tuo nome, o sbaglio?»

Un lampo di rabbia gli attraversa gli occhi, facendogli contorcere le labbra.

«Smettila di chiamarmi Hamilton!» sbraita alzandosi di scatto dalla tavola.

«E allora tu smettila di chiamarmi Alex!» dico alzandomi a mia volta. I nostri volti sono a pochi centimetri di distanza, riuscendo a percepire il suo respiro sulle labbra. I suoi occhi celesti cadono sulla mia bocca per qualche istante, poi ritornano inferociti nei miei.

«Vaffanculo» sbotta, andandosene. Mi siedo di nuovo a tavola, alzando gli occhi al cielo.

Mi stupisce il temperamento di Nash. Può essere gentile ed educato all'inizio e poi, in due secondi, può trasformarsi l'essere più arrogante e viscido di questo pianeta. Il punto è che è così solo con me. Con Cameron, Jack, Shawn e gli altri non si comporta così. È fastidioso e stressante questo, perché devo comportarmi in due maniere diverse ed io non sopporto cambiare ogni volta, soprattutto per causa sua. Nash potrebbe pensare la stessa cosa di me, d'altronde. Per qualche ragione, la mia mente mi porta a pensare a ieri sera, quando io e lui eravamo dentro al negozio abbracciati l'un l'altra. Posso percepire ancora la stretta di Nash sulla mia schiena e i brividi che provavo quando vedevamo l'ombra di quell'uomo muoversi. È incredibile che in quel momento io avessi così bisogno della presenza di Nash, delle sue braccia intorno alle mie spalle, e adesso non lo vorrei neanche più vedere. Dopo essere usciti da quel negozio, mi aveva chiesto persino scusa.

Sono passati cinque minuti circa da quando Nash se ne è andato ed io sono rimasta seduta sulla sedia a riflettere. Decido di rendermi utile e quindi di togliere via i piatti dalla tavola e sparecchiare. Dopo aver sistemato, salgo le scale per andare nella mia stanza a dormire. Ho voglia di riposarmi e cercare di non pensare a niente almeno per qualche minuto. In questi giorni sto pensando veramente troppo e tutto questo pensare mi sta facendo fumare il cervello. Appena passo davanti alla porta della camera di Nash, questa si apre. Mi giro verso di essa, Nash ha gli occhi piantati sul pavimento e una mano tra i capelli ormai diventati lunghi.

«Alex, ehm-»

«Quel nome, Nash» ringhio. Lui alza gli occhi al cielo per poi puntarli nei miei.

«Fammi parlare, per favore» sbotta. «Volevo chiederti, sì, ehm... Volevo chiederti scusa.»

Lo guardo stupita.

«Sì, sai, riguardo poco fa. Ho esagerato.» Da come si muove è facile capire che l'ansia si sia impossessata di lui e questo fa abbozzare un sorrisetto sulle mie labbra.

«Scuse accettate» sorrido lievemente.

«Okay» dice creando un contatto visivo che non dura più di qualche secondo. Poi si avvicina pericolosamente a me lasciandomi un bacio rapido sulle labbra, prima di scomparire nella sua stanza.



Hei gente!
Scusate se ieri non mi sono fatta sentire, ma ho avuto 38.5 di febbre tutto il giorno e non sono riuscita a pubblicare niente. Scusatemi anche per il capitolo di passaggio, ma vi prometto che nel prossimo succederanno già più cose interessanti.
Come sempre, vi chiedo di votare, commentare e spargere la voce!❤
Un bacione,
Bea

My hero wears  Vans || Nash GrierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora