CAPITOLO 26

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GIOVEDI' 10 OTTOBRE

Era pomeriggio ed ero nella mia stanza. Comodamente seduta sul mio letto con gli auricolari ad ascoltare "The Days" di Avicii e canticchiare qualche nota.

Infine ero riuscita a farmi fare un certificato falso e Chloe anche se contraria mi aveva aiutata. Ci avevo messo giorni interi a chiederle questo favore, avevo cercato pure di ricattarla in ogni modo ma lei non cedeva. Infine però mi aveva dato ascolto anche se non era ancora ben sicura.

Pallavolo era l'unico modo che avevo di sfogarmi, l'unico motivo per cui ancora continuavo a lottare. Senza mi sarei isolata completamente e ciò mi aiutava a non farlo.

La pallavolo l'adoravo perchè si è una squadra, le altre ti sostengono e ti aiutano. Non è finita fino a quando il pallone non tocca terra, non è finita fino all'ultimo punto.

Si continua a lottare sempre e comunque, nonostante tutto.

E per questo molte volte mi aveva aiutata, mi impediva di mollare e di abbandonare tutto quanto.

Per me non era un semplice sport, per me era la ragione per cui continuavo ad andare avanti nonostante stessi cadendo a pezzi. Era come se anche se stessi cadendo sempre più a fondo ciò mi rallentasse la caduta.

Lessi il messaggio inviato da Chloe questa mattina in cui mi diceva che sarebbe passata per raccontarmi ogni cosa riguardante il pomeriggio con Thomas.

Intanto che l'aspettavo mi sedetti sul letto e ascoltai un po' di musica.

Ultimamente avevo ricevuto meno messaggi scritti su pezzi di carta da quel ragazzo misterioso sulla ferrovia, non sapevo se essere felice o meno. In fondo era una specie di stalker e quindi doveva farmi sentire meglio il fatto che non mi seguisse più come prima. Ma dall'altra parte sembrava essere l'unico che mi capisse a fondo. Tutte quelle frasi che mi scriveva mi rappresentavano in qualche modo.

Che poi dicevo che era un ragazzo, ma se fosse stata una ragazza? In fondo non potevo esserne certa con esattezza.

Sentii il campanello. Doveva essere sicuramente lei che doveva da parlarmi della sua uscita con Thomas.

Aprii la porta.

Io <Oltre ad altri sbaciucchiamenti è successo al... cosa?> chiesi rimanendo di sasso vedendo una donna mai vista davanti alla mia porta.

Lei <Tu devi essere Arianna Prendom.>

Io <Si, e lei chi sarebbe?>

Lei <Dottoressa Sandra Martinez.> disse facendomi vedere un foglietto. Era molto più alta di me, I capelli castani mossi le cadevano sulle spalle, un viso giovane e serio ma allo stesso tempo gentile. Come vestiti invece indossava dei pantaloni neri e una camicetta bianca. Tutto molto formale. Mi chiedevo cosa ci facesse qui.

Io <E perchè è qui>? Sperai vivamente che non fosse per il certificato... altrimenti sarebbe stato un vero e proprio casino.

Lei <Deve venire in ospedale.>

Io <E' successo qualcosa a mia madre o mia sorella?> chiesi in preda dal panico. In me una serie di emozioni si mischiavano tra loro provocando in me più ansia di quanta non ne avessi già.

Lei <Non a loro ma a lei.> disse capovoltando completamente ciò che provavo poco prima.

Io <Come?> chiesi confusa.

Lei <Abbiamo ricevuto una chiamata che diceva che lei non sta bene. Anoressia e pasticche calmanti. Da settimane le succedono degli attacchi che comprendono tosse e sangue dal naso con svenimenti.> disse leggendo un foglietto in cui probabilmente dovevano esserci scritti i sintomi che aveva appena detto.

Io <Cosa? Deve esserci un errore io->

Lei <Questo lo verificheremo con le analisi.> ero ancora più nel panico.

Io <E cosa devo fare adesso?>

Lei <Verrà in una specie di centro di cura, la aiuteremo e per ora abbandonerà gli studi. Potrà ricevere visite ma non potrà uscire. Verrà sottoposta ad esami e psichiatrici che la aiuteranno e poi potrà continuare la sua vita.>

Stavo iniziando a sudare, non era possibile doveva essere solo uno stupidissimo scherzo.

Io <E questo... quando?>

Lei <Adesso. Sua madre è già stata informata.>

Le gambe iniziarono a tremarmi e la mia pelle iniziò a sudare.

Io <Chi ha fatto la chiamata?> dissi solo.

Lei <Non posso dir->io <Chi ha fatto quella fottuta chiamata!> alzai il tono e la voce apparve tremolante.

Lei <Non posso dare queste informazioni, mi spiace.>

Io <Pensi che me ne freghi qualcosa? Senta... prima che io vada in quel maledetto posto e stia li per mesi se non di più, ho bisogno di sapere chi ha fatto quella chiamata.>

Lei <Un certo Edward.> la soprassai.

Ignorai le voci che mi chiedevano di fermarmi e corsi davanti alla porta 108.

Bussai forte per tutto il tempo mentre tamburellavo il piede a terra dal nervoso.

<Un attimo!> sentii da dietro di essa. Quando aprì vidi il suo volto cambiare espressione e sbiancarsi.

Lo sorpassai e chiuse la porta dietro di me.

Lui <Cosa ci fai qui?>

Io <Come hai potuto!> dissi mentre sentivo che lacrime che chiedevano di uscire.

Lui <Dovevo farlo.>

Io <Ti avevo supplicato di tenerlo segreto!> dissi facendo avanti indietro. <Io non ci voglio andare in un cazzo di centro per pazzi! Perchè è così che mi considerano non è vero! Io non voglio! Come hai potuto!>

Le lacrime iniziarono a scivolarmi lungo il volto.

Io <Ho paura.> sussurrai. <Nessuno doveva sapere, ora cosa penseranno gli altri? Chloe, mia madre, mia sorella. Sono un mostro! Non voglio che mi guardino diversamente!>

Lui <E' per te Arianna.>

Io <Non ne avevi il diritto. La mia vita sta crollando!> dissi mentre la rabbia mi ribolliva nel sangue <Io non ci vado lì dentro!>

Ormai ogni parte del mio corpo era in completa confusione. Rabbia, paura, delusione si mescolavano in ogni mio gesto.

Io <Io volevo solo->

Lui <Ciò che vuoi tu non è un bene.> disse serio.

Rimaneva lì in piedi poco distante dalla porta ad osservarmi attentamente.

Lui <Volevo solo aiutarti.>

Io <Se volevi aiutarmi dovevi restarne fuori.>

Lui <E lasciare che ti uccidessi?>

Io <Io sono morta il 13 novembre Edward.> dissi guardandolo negli occhi.

La porta si aprii e vidi due signori vestiti in camice bianco avvicinarsi a me.

<Signorina, dobbiamo andare.>

Io <Io non sono pazza!> urlai piangendo e cercando di dimenarmi. Con gli occhi chiedevo aiuto al ragazzo che avevo di fronte e la causa di tutto, ma mi guardava solo con dispiacere e sembrava quasi pentito.

Io <Non voglio andare in quel posto!> cercavo di dimenarmi dalla loro presa. <Non sono malata, è tutto a posto!>

Urlavo. <Io sto bene!>

Io <E' colpa tua!> urlai ad Edward.

Un qualcosa di leggermente pungente mi pizzicò il collo. Iniziai a sentire le forze mancarmi, gli occhi chiudersi e la stanchezza aumentare.

<Però non ti posso odiare.> dissi in un sussurro prima di chiudere gli occhi definitivamente.

Il punto era che il peggio doveva ancora arrivare.

~La ragazza della ferrovia~ (Wattsy2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora