CAPITOLO 49

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Sono seduta a terra e mi tengo le braccia. Non mi guardo allo specchio da mesi, ho paura del mio riflesso. Quel liquido sta circolando nel mio corpo, nelle mie vene, tra il mio sangue. E' da mesi che è dentro di me. Guardo in giro per la stanza velocemente.

Non posso più nascondermi ormai, tanto mi troverebbe subito. E se lo facessi mi tirerebbe ancor più calci e schiaffi di quelli che ricevo di solito. Anche se devo ammettere che sono settimane ormai che non entra in stanza se non per il cibo o per dirmi di farmi una doccia.

Ormai non piango più, tengo tutto dentro. Solo a volte mi scappa qualche lacrima.

Ormai mi sono arresa all'idea di uscire di qui. È da mesi che non vedo il sole se non qualche raggio che passa dalla finestra e non respiro aria fresca. È da mesi che non vedo la mia famiglia e I miei amici. Ormai non mi importa più di niente, voglio solo uscire.

Il mio diario è finito, come la cartuccia della penna. L'armadio è pieno di crocette rosse.

La porta di spalanca di colpo e mi stringo più in me stessa.

Noto sul suo viso un'espressione strana, che non ho mai visto su di lui. Non parlo. Non so nemmeno se ho ancora la voce sinceramente. Si avvicina di qualche passo e striscio sempre più indietro fino a toccare il muro. Poi però si siede a circa due metri da me. Lo guardo confusa, ma sempre spaventata. Non mi lascerò intimidire dal suo sguardo.

Lui <Sai, all'inizio mi sono detto che sarebbe stata una cosa divertente questa. Mi avrebbe fatto dimenticare la morte di mia sorella. Mi sentivo un vero stronzo e un cattivo ragazzo. Mi faceva sentire potente averti... poi però ho capito quanto fossi coglione e quanto stessi sbagliando. Perché tu non sei un gioco, un oggetto. Hai una famiglia e delle persone a te care che ti aspettano invece sei qui a soffrire per me.> dice prendendo un sorso dalla bottiglia di birra. <Ho voluto fare questa immensa cazzata non so nemmeno il perchè io. Non posso chiederti scusa, perchè una semplice parola non ripagherebbe per nulla al mondo ciò che ti ho fatto per tutti questi mesi. Però voglio che tu sappia che mi dispiace davvero. So che non accetterai le mie scuse e probabilmente non mi crederai nemmeno, però è la verità.>

Dice serio. Ha gli occhi rossi e sembra aver pianto. <Mi dispiace Arianna. Quindi è per questo che voglio che tu esca da quella porta, chiami tua madre e gli racconti tutto. Chiamala e dille di raccontare ciò anche alla polizia. Io starò qui.>

Non riesco a credere alle sue parole, sembra quasi impossibile e mi pare come un sogno o una stupida allucinazione. <Vorrei morire per ciò che ti ho fatto, quindi ti prego chiama quella fottuta polizia e fammi mettere in prigione perchè è quello che mi merito cazzo!> dice urlando dalla disperazione. <Era da mesi che iniziavo a pentirmene, ma ora sono stufo, perchè cazzo... come ho potuto anche solo rovinare la vita ad una ragazza come te? Più ti tenevo qui, più ti facevo del male e più soffrivo anche io... e più mi sembrava di provare qualcosa che mi spingeva a farti meno male, ma io soffrivo ancora. Quindi ora vai, ti prego. Scappa, io aspetterò qui che vengano a prendermi.> dice mentre qualche lacrima gli riga il volto.

Mi alzo in piedi e faccio qualche passo per poi fermarmi dinanzi a lui.

Io <Sai, io mi ero promessa che appena sarei stata fuori l'avresti pagata eccome. Ed è quello che ti meriti. Ho sofferto e pianto come non mai. Ho voluto morire mentre tu facevi a pezzi la mia anima... ma->

Lui <Non c'è nessun ma, ho sbagliato e non c'è nient'altro da dire.>

Io <Guardami negli occhi.> lentamente alza il viso. La situazione sembra quasi essere capovolta ma con la differenza che io non farei mai del male a nessuno. <Ma non ce la faccio.>

Lui <Non ce la fai a far cosa?>

Io <Le tue lacrime non sono nulla in confronto a quelle che ho versato io... Io non riuscirò mai a ritornare a vivere come facevo perchè questa storia mi ha cambiata e non sarò più la stessa. Tutti mi guarderanno diversamente.>

Lui <E quindi che vuoi fare?> mi chiede confuso.

Io <Niente.>

Lui <Niente?>

Io <Io non dirò nulla a nessuno, ciò che troveranno sarà solo questo.> dico tirando fuori il mio diario. <Non sapranno mai chi è quel ragazzo. Io ti odierò sempre e per sempre, solo che questa storia si deve concludere ora. Perciò sono io Edward che ti lascio andare. Vattene da qui e dimenticati di me per sempre. E se dovessi rivedermi non salutarmi nemmeno. Io non esisto per te. E non ringraziarmi, vattene solamente.>

Mi guarda sorpreso e ancora confuso, alla ricerca di un qualcosa che gli dicesse che è uno scherzo ma sono più che seria. Si alza in piedi e corre via.

Dopo questo esco dalla stanza trovandomi in salotto. Prendo il telefono che c'è in casa e chiamo mia madre. Sento solo qualche squillo e poi finalmente risponde.

Lei <Pronto?>

Io <Mamma.>

Lei <Tesoro!> dice in un urlo tra le lacrime. <Dove sei, stai bene, cosa ti è successo!> continua a ripetere mentre inizio a percepire già le lacrime che le scorrono in volto. <Dove sei, arrivo.> dopo aver dato un'occhiata fuori dalla finestra non ci metto molto a capire dove mi trovo grazie ad un cartello che si trova in strada e che indica il nome del paesino. Un posto dove andavo da piccola con la mia famiglia a sciare. Nonostante questo le indico un altro posto. Le dico che tra due ore sarebbe dovuta venire in quel punto preciso.

Intanto prendo un block notes e faccio un diario falso. Scrivo storie simili ma non racconto proprio tutto ciò che ho vissuto, passo un'ora e mezza buona a scrivere e non mi sento più nemmeno la mano ormai. le dita intorpidite e qualche crampo al braccio.

Ho scritto che c'erano due ragazzi che mi avevano chiuso in uno stanzino, mi davano da mangiare il giusto per sopravvivere ma non ero mai riuscita a guardarli in faccia per colpa del buio e per il fatto che erano incappucciati. Non vedevo la luce da mesi e a volte mi picchiavano.

Scrivo altre cavolate del genere senza approfondire troppo I particolari.

Esco di casa e chiudo a chiave la porta, per poi lanciarla da qualche parte tra I cespugli. È una piccola casetta di montagna e nessuno la troverà mai.

È arrivato il momento.

Le avevo indicato una ferrovia aperta.

Cammino fino a li. Appena arrivo salgo sopra al tetto di un treno arrampicandomi da fuori senza farmi vedere da nessuno.

Infilo il diario dentro la mia felpa.

Io perdono, perchè è giusto se meritato. Anzi, forse non se l'è meritato nemmeno, ma appena ho incrociato I suoi occhi in me è scattato qualcosa che mi ha spinto a questo gesto.

Rimango distesa per minuti interi ad aspettare che parta e mi metto a fissare il cielo sopra di me. Era da mesi che non lo vedevo ed ora mi sembra così immensamente bello e azzurro. Come se ogni cosa che incrocio con i miei occhi la vedessi per la prima volta. Come quando un cieco torna a vedere.

Non ho idea di cosa accadrà ora sinceramente.

Un rumore brusco mi sveglia dai miei pensieri. Il rumore delle ruote contro il ferro provoca scintille, il fumo grigio che esce e quasi mi soffoca e poi l'aumentare di velocità. E' a questo punto che decido di alzarmi. Tengo I piedi saldi sul tetto mentre il vento è così tagliente che non riesco nemmeno a tenere gli occhi aperti.

La velocità continua ad aumentare provocando solo più difficoltà a restare in piedi. Appena arrivo alla prima curva e il vagone la raggiunge scivolo all'indietro, la mia testa colpisce il ferro e nemmeno un secondo che mi trovo distesa sulla ghiaia senza dare segni di vita.

~La ragazza della ferrovia~ (Wattsy2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora