Capitolo 12

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MADDY


Mi aveva spiazzata con una sola domanda: "Chi sei Clark?"

Quando chiedevano di me non sapevo mai cosa rispondere, forse perché parlare di me stessa mi creava disagio.

Non avevo mai voluto mostrarmi a nessuno, ero sempre stata schiva e questo non sarebbe mai cambiato. Parlare di me voleva dire ricordare... e ricordare voleva dire permettere al dolore di riemergere, di riaprire ferite in grado di rendermi vulnerabile e io non potevo esserlo. Non mi ero più voltata indietro, avevo lasciato casa e con essa i ricordi di un'infanzia distrutta, ma gli incubi continuavano ad inseguirmi, continuavano ad essere insistenti, svegliandomi qualche volta in piena notte col battito accelerato e il cuore in gola. Ancora mi chiedevo quando mi avrebbero dato un po' di tregua.

Qualcuno una volta mi disse: "Maddy, non tutte le mele sono marce, ci sarà sempre qualcuna buona e quando l'assaggerai, ne varrà la pena."

Con me non fu così, odiavo la mia vita e delle volte odiavo anche me stessa. Indossavo un cognome che non mi apparteneva per niente, vivevo una vita, ma non vivevo abbastanza. Stavo diventando un'inetta e la cosa peggiore era che me ne rendevo conto e non facevo nulla per cambiare la situazione. Restai con lo sguardo sospeso senza dare una risposta, poi decisi che cambiare argomento sarebbe stata la soluzione migliore.

«Credo che dovremmo andare» lo sorpassai, raggiungendo l'uscita. Fortunatamente o per qualche strana ragione non fece altre domande al riguardo e l'apprezzai molto.

Arrivammo fuori al cancello, stavo per svoltare sulla destra quando si avvicinò alla sua macchina.

«Salta dentro», mi disse aprendo la portiera.

Assolutamente Maddy, è da escludere.

«Io? In macchina con te? Stai scherzando spero.»

«Non dirmi di avere paura», mi stuzzicò.

Eccolo che inizia a fare il prepotente.

«Paura di cosa?»

«Di me.»

Beccata in pieno.

«Paura di te? Oh, per cortesia», lo rifilai come se avesse appena detto la cosa più assurda di questo mondo.

«Allora sali», continuò ad intimarmi.

Testardo come un mulo.

«Chi mi assicura che la tua patente sia vera e non fasulla?»

Improvvisamente scoppiò in una risata isterica. «Ancora con questa storia? Potevi inventare qualche altra scusa, Clark.»

Incrociai le braccia, girando lo sguardo nell'altra direzione. Volevo sviare la cosa.

«Avanti Clark, sali. Prendilo come un cambio di favore. Ti sei offerta di medicare la mia mano e io in cambio ti do un passaggio.»

Beh, mettendola su questo piano...

Sapevo che me ne sarei pentita, ma alla fine accettai. Mi avvicinai all'auto. «Che sia ben chiaro: non montarti la testa ed è stata la prima e ultima volta», sentenziai tutto d'un fiato. Non ebbi nemmeno il tempo di vedere la sua reazione che subito mi precipitai dentro l'autovettura.

Accese il quadro e ingranò la marcia. Quando iniziammo a muoverci, realizzai di essere veramente in auto con lui. Ero imbarazzata fino alla punta dei capelli.

«Dovresti guardarti in questo momento. Sembri una scimmia attaccata a un albero» commentò, ridendo.

Mi ha dato della scimmia?

Abbassando lo sguardo, notai che ero completamente attaccata alla portiera con le mani e la testa rivolta verso il finestrino. Si capiva chiaramente quanto mi sentissi a disagio. Cercai di ricompormi e di fingermi sciolta. Non gli avrei dato altri motivi per deridermi.

«Come mai vieni all'università con l'auto quando poi dista pochissimo dall'alloggio?» argomentai per non sembrare troppo agitata.

«Mi piace guidare, mi rilassa.»

Lo disse in modo insolito, infatti lo vidi assorto nei suoi pensieri. Chissà a cosa stava pensando in quel momento.

«Vedo che riesci a muoverti tranquillamente per le strade di Manhattan», continuai.

«Tutto merito di Robin» spiegò mentre svoltava sulla sinistra. Eravamo quasi arrivati a destinazione.

«Robin?»

«Il mio navigatore» e con un gesto l'accarezzò quasi fosse un cagnolino.

«Dai un nome al navigatore?» Scoppiai in una risata spontanea che forse non mi capitava da anni di ridere così.

«Ti fa tanto ridere, Clark?»

Cercava di fare il sostenuto, ma alla fine scoppiò a ridere anche lui. Sembravamo due idioti in quel momento, ma stranamente mi piaceva il fatto che ridessimo insieme.

«Sul fatto di gusti musicali poi...» Continuai a prenderlo in giro.

Dallo stereo risuonava una canzone del tutto estranea ai miei gusti musicali.

«Cos'hai contro la musica techno?»

Ah ecco, così si chiamava quella robaccia. «È solo un mucchio di musica e basta.»

«Un mucchio di musica? Sarei curioso di sapere, invece, quale musica ascolta la signorina», precisò col suo tono ironico.

Parcheggiò la macchina in una sola manovra.

«Hai mai sentito parlare di Ed Sheeran?»

Spense il motore e si voltò a guardarmi. «Quindi sei una tipa sentimentale?» mi chiese quasi sorpreso.

«Non sono sentimentale, solo mi piace il significato che racchiude ogni singola parola... e comunque basta fare domande.» Scesi dall'auto e richiusi la portiera; inaspettatamente si rivelò piacevole trascorrere del tempo in sua compagnia.

Non abbassare mai la guardia Maddy, sotto quei muscoli si nasconde il diavolo in persona.

Salimmo le scale in silenzio fino alla porta del mio appartamento. «Allora... corro dentro a prendere l'occorrente. Non ci impiegherò molto.»

Inarcò un sopracciglio. «Davvero vuoi tenermi alla porta?»

Aspetta un attimo, credeva davvero che l'avessi fatto entrare?

Dio mio, adesso cosa faccio? Innanzitutto calma e respira... poi rifletti!

Mentre lottavo con la mia vocina interiore, Ian continuava ad osservarmi confuso.

Rifletti... Rifletti...

«Be'... Io...»

Maddy ti si è fuso il cervello? Non riesci nemmeno a concludere una frase, santo cielo.

«Tu, cosa?»

«Io... Entra pure», mi arresi mentre mi spostavo per lasciarlo passare. Richiusi la porta e mi ci appoggiai contro.

In che grosso guaio mi stavo cacciando?


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