Capitolo 6

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IAN


«Ieri ti sei comportato da vero coglione» continuava a rimproverarmi Jared mentre uscivamo dalla palestra del campus. «Dovevi proprio trattarla in quel modo?»

Non mi andava di dare spiegazioni né di giustificare i miei comportamenti del cavolo.

«Stamattina, Zoe mi ha detto che Maddy non è venuta a lezione e come se non bastasse ha iniziato a sbraitare anche con me. Cazzo, perché ti comporti così? Odio litigare con lei per queste stronzate» continuò a lamentarsi, infastidito.

Ammettevo di aver sbagliato, ma lei non era stata da meno. Mi aveva dato dell'idiota, pirata della strada e altri nomignoli che avrei fatto a meno di ricordare. Inoltre la definizione di "figlio di papà"non mi calzava per niente, ma questo lei non lo sapeva... non conosceva nulla di me, come io di lei. Eppure, quella notte sul terrazzo, quando fu tra le mie braccia percepii qualcosa di molto simile allo smarrimento nei suoi occhi, come se avesse paura dello stesso contatto, ma al contempo essere protetta e rassicurata.

Dio, quanto mi piaceva quel suo modo di essere. Fragile e insicura, ma allo stesso tempo caparbia e ribelle. Ripensandola non potei fare a meno di sorridere.

Cavolo! Aveva davvero questo potere su di me?

«Fermi un attimo! Voglio immortalare questa scena. Ian Davis che sorride come un idiota.»

Mi ricomposi. «Jared, piantala. Stavo ripensando a quella volta in gita in cui ti addormentasti sulla tavoletta del water e noi tutti che continuavamo a cercarti» mentii, scherzandoci sopra. Sembrava l'unica scusa plausibile anche se, probabilmente, non se la sarebbe bevuta.

Uscimmo dall'edificio. Fuori tirava un leggero fruscio che smuoveva gli alberi circostanti, mentre i raggi di sole furono diretti sul mio viso.

«Vuoi davvero farmi credere che sia io il reale motivo? Andiamo, amico. Ci conosciamo da una vita, ricordi? Sono il tuo braccio destro e di conseguenza conosco anche quando cerchi di prendermi per il culo», insisteva mentre raggiungevamo le nostre auto. Presi il mio borsone da palestra e lo sistemai dietro. Quella giornata, dopo la lezione di fisica avevo deciso di scaricare un po' di tensione nella palestra.

Continuai a prendere a pugni il sacco da box quasi volessi disintegrarlo completamente. Non ero mai stato bravo a gestire la rabbia fin dai tempi del liceo. Ero sempre coinvolto in qualche rissa, spesso ero proprio io a scatenarle e Jared correva a riparare i miei danni.

Ero quello sbagliato, quello egoista.

Ero ciò che gli altri avrebbero fatto meglio ad evitare. Chiunque fosse entrato nella mia vita non ne sarebbe uscito salvo.

Mi voltai verso di lui. «Jared, ascoltami bene. Non so cosa tu voglia insinuare in questo momento, ma fidati, non riguarda nessuna ragazza. Lo sai bene che non voglio impegni, una notte e poi "Arrivederci è stato un piacere". Questo sono io, ficcatelo bene in testa!»

Feci per aprire la portiera dell'auto quando appoggiò la mano sulla mia spalla. «Anche se quella ragazza fosse Maddy?»

Mi bastò sentire pronunciare il suo nome e una scarica elettrica mi percorse la schiena.

«Ci vediamo a casa, Jared.»

Senza degnarlo di una risposta, salii in auto.

Perché quella ragazza ha la capacità di farmi provare tutto questo?


***


Arrivato a destinazione mi incamminai verso il secondo piano. Inspiegabilmente mi fermai lì, davanti alla porta 204, l'appartamento di Maddy. Aveva saltato le lezioni per colpa mia.

Alzai una mano posizionando il dito sul campanello.

Cazzo Ian, che stai facendo? Sei diventato una femminuccia?

Ritrassi il dito, non volevo farlo o forse semplicemente non ne avevo il coraggio. Indietreggiai e proseguii verso il mio appartamento. Posai il borsone sul divano, afferrai il telefono e digitai un numero. Qualche squillo e poi...

«Signorino Ian, che piacere sentirla.»

Era Strand, l'impiegato di mio padre. Aveva preso il posto di mio fratello e ora si sentiva l'onnipotente. La sua voce da leccaculo mi dava decisamente i nervi. Odiavo lui, odiavo l'azienda e odiavo i miei genitori.

«I soldi?», chiesi senza girarci intorno.

«Diecimila come sempre sul suo conto.»

«Okay, stammi bene.» Riattaccai senza aggiungere altro.

Non mi interessava chiedere di mio padre. Se quello era il prezzo affinché mi tenessi lontano da casa, mi andava più che bene.

Mi scaraventai sul letto, allungai la mano per aprire il cassetto e tirai fuori la foto. Eravamo io e mio fratello il giorno della sua laurea. Pe run breve istante chiusi gli occhi; potevo quasi rivivere quel momento. La musica, l'euforia, le grida degli altri studenti e le sue parole: "Un giorno proverai tutto questo anche tu, fratello e io sarò lì con te."

Riaprii gli occhi, il nodo che avevo in gola quasi mi impediva di respirare.

«Mi dispiace, Derek» sussurrai con le lacrime agli occhi, ma era troppo tardi e troppo lontano per potermi sentire.

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