Capitolo 18

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IAN


Eravamo un disastro, un incredibile disastro e il guaio era che tutto ciò mi piaceva, non che adorassi il suo essere scontrosa, ma stavo iniziando ad avere bisogno di quei piccoli momenti... di lei, di noi. Era l'unica amica, oltre Jared ovviamente, che avessi da quando mi ero trasferito e l'unica ad aver cercato di farmi sentire a casa con un solo gesto; significava molto per me nonostante volessi completamente dimenticarmene, nonostante stessi scappando da una vita piena di guai e di dolore, nonostante mi sentissi costantemente un uomo sconfitto. Ritrasse la sua mano dalla mia, delle volte diventava schiva e ancora non riuscivo a comprendere il motivo. Era il suo modo di fare oppure si celava qualcos'altro dietro quell'aria da dura?

«Ho intenzione di farti assaggiare uno dei migliori hot-dog» mi disse, scrollandosi la sabbia di dosso.

«Perché? Cosa hanno di speciale i vostri hot-dog?» replicai, seguendola in quel gesto.

«Si dice sia nato qui il primo hot-dog e posso assicurarti che sono davvero ottimi.»

«Non posso fare altro che seguirti allora» accolsi quell'idea sorridendo e facendole segno di mostrarmi la strada. Ci incamminammo fino al locale senza dire alcuna parola eppure con lei anche i silenzi erano ricchi di significato.Ogni volta che mi giravo a guardarla, scoprivo che mi stava fissando già da un pezzo e quando veniva colta sul fatto, subito distoglieva lo sguardo, imbarazzata.

Era così buffa.

Comprammo due hot-dog, io l'avevo farcito con formaggio e lei con patatine fritte. Decidemmo di gustarcelo all'aria aperta, sedendoci su una delle panchine di legno.

«Allora, come ti sembra?», mi chiese mentre sfilava una patatina e se la portava alle labbra.

«Come guida turistica non posso lamentarmi» risposi ironico.

«Adesso cosa vorresti insinuare?», mi guardò accigliata.

«Oh, niente capo», bofonchiai.

Mi lanciò una patatina con aria minacciosa, poi scoppiammo a ridere.

«Come conosci questo posto?» tornai serio in volto.

«Venivo con John quando ero piccola. Mi comprava sempre un aquilone e mi divertivo a rincorrerlo per tutta la spiaggia. Ho dei bei ricordi in questo posto», lo disse con lieve nostalgia, allontanando lo sguardo verso un punto preciso al di là del pontile.

«John? Il tuo datore di lavoro?»

«Lui non è solo il mio datore di lavoro, mi ha accudita come fossi sua figlia. A lui devo tutto, mi ha salvata.»

Salvata? Cosa intendeva?

Notai la rigidità del suo corpo, sembrava una corda di violino. Non volevo essere invadente, ma se c'era qualcosa che avessi potuto fare per lei, l'avrei fatto volentieri. Dietro quel bel caratterino, probabilmente si sarebbe celata un'anima fragile.

Decisi di non fare altre domande che avrebbero potuto metterla in difficoltà. Volevo godermi quella giornata insieme a lei, rimandando tutti i nostri problemi.

Finimmo di pranzare in silenzio, dopodiché mi alzai dalla panchina, stiracchiandomi. Mi guardai intorno; nonostante non fossimo in piena estate c'era un bel po' di gente e il parco era ancora aperto. Subito qualcosa in lontananza catturò la mia attenzione.

«Vieni con me.»

«Dove?»

La presi per mano senza ascoltare obiezioni. «Proprio lì», indicai con un dito la ruota panoramica.

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