Capitolo 10

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IAN


Non mi era mai successo di scappare di fronte a una ragazza ovviamente escludendo quelle racchie da far paura anche ad un mostro ma con lei era appena accaduto. Ero uscito dall'aula per prendere una boccata d'aria, stare troppo tempo al chiuso quasi mi soffocava, così avevo deciso di esplorare un po' la parte restante del campus. Camminare, pensarla e ritrovarmela poco dopo contro il mio petto. Più cercavo di tenermi alla larga e più me la ritrovavo davanti, più l'allontanavo e più ritornavamo vicini come due calamite che continuavano ad attrarsi pur consapevoli che, alla fine, ci saremmo solo fatti del male. Stava diventando la mia droga, con la sola differenza che la prima mi avrebbe ucciso mentre lei stranamente mi faceva stare bene.

Ogni volta che me la ritrovavo di fronte, la lucidità andava a farsi fottere; quegli occhi che potrei quasi perdermici dentro a furia di scrutarli così a lungo e quelle labbra... potevo sentire ancora il suo sapore nonostante fosse trascorso così tanto tempo. Mi incamminai in compagnia dei pensieri lungo i gradini della Law Library e mi ci sedetti sopra. In soli due mesi la mia vita era completamente cambiata.

L'incidente, il distacco, la partenza. Un po' mi mancava Los Angeles ed ero sicuro che mancasse anche a Jared. Il distacco con i suoi genitori era stato abbastanza difficile. La sua famiglia era molto unita e un po' lo invidiavo. Aveva due fratelli: Steven, il più grande, commissario del dipartimento di polizia di Los Angeles e infine la più piccola, Sophia, che frequentava il terzo anno di liceo. Il loro legame era un qualcosa di unico, solido come una roccia... un po' come quello che avevo con mio fratello, a parte la diversità di carattere; Derek era sempre stato accondiscendente nei confronti di nostro padre, mentre io ostacolavo i suoi voleri. Lavorare nell'azienda di famiglia non era nei miei pensieri e nemmeno nei suoi, solo che Derek non aveva mai avuto il coraggio di rischiare tutto e abbandonare. Coni miei genitori era un litigio continuo, una lotta ogni giorno. La famiglia più ricca della California aveva un figlio "deplorevole", così ero definito da mia madre. La pecora nera della famiglia, la disgrazia, ecco cosa rappresentassi per loro.

Chiusi le mani in due pugni stringendo con tutta la forza che avevo. Volevo impedire al dolore di sopraffarmi, volevo cancellare tutto il marcio che aveva sporcato la mia anima, tutte le mancanze avute e soprattutto avrei voluto cancellare dalla mente quella maledetta notte.

«Fratello!» Una pacca dietro al collo mi riportò al presente. Jared mi sorrise, sedendosi al mio fianco.

«La prossima volta che salti alle mie spalle in questo modo, ti farò pentire di essere nato» scherzai, sferrandogli una finto destro sulla spalla.

«Okay, Tayson», alzò le mani in segno d'arresa. Prese un pacchetto di sigarette dalla tasca e me ne offrì una. Subito dopo estrasse l'accendino e mi fece accendere. Cerchi di fumo si formarono nell'aria. «Non è poi così male qui» ammise, espirando fumo dalla bocca.

«Sembrerebbe di sì.»

«Ti ha versato i soldi?»

«Puntuale come sempre», ironizzai

«Ian, so che non è mio diritto intromettermi, ma credo dovreste parlarne, entrambi.»

Lo guardai come se avesse detto la cosa più sciocca al mondo. «Spero tu stia scherzando.»

«Andiamo, se quel vigliacco – come lo chiami tu – continua a mandarti quei fottuti soldi, vuol dire che tiene ancora a te e alla tua vita.»

«Jared, sai benissimo perché continua a pagarmi.»

Stavo iniziando ad alzare i toni; parlare dei miei genitori mi rendeva nervoso.

«Ma potrebbe non farlo. Anche lui, in fondo, non ti ritiene responsabile e nemmeno tu dovresti. Perché continui a darti colpe che non hai? Lo sai che Derek non vorrebbe questo.»

«Non nominare più il suo nome!» esclamai furioso. Se volevano scatenare la parte peggiore di me ci stavano riuscendo. La rabbia ritornò alla carica e il più delle volte perdevo completamente il controllo di me stesso. Feci l'ultimo tiro dopodiché la spensi sotto i piedi.

Stavo spegnendo la sigaretta o stavo schiacciando qualche insetto?

Mi alzai di scatto e mi allontanai a passo spedito. Dove? Non ne avevo idea, ma avrei dovuto scaricare tutta la rabbia.

«Ian dove stai andando? Torna indietro, amico.»

Non osai voltarmi.

«Non è colpa tua, mi hai sentito? Non è colpa tua!»

Era troppo tardi. Ormai non lo ascoltavo più già da un pezzo.


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