Capitolo 33

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MADDY

Col capo rivolto verso il finestrino osservavo lo scorrere della strada mentre la luce diffusa del sole intersecava le ombre lunghe dei palazzi circostanti.

Quella mattina, io e John eravamo diretti a casa dei Morgan.

Ero stata incastrata nel modo più gentile possibile dato che non ebbi il tempo di obiettare!.

Non capivo il motivo per il quale John volesse che ci fossi anche io a quel pranzo. Il signor Philip era amico suo, non mio, per non parlare del figlio. Un misto tra avvocato provetto e cavaliere dell'800.

Continuavo a scrutare fuori dal finestrino, riflettendo sugli innumerevoli disastri che avvolgevano la mia vita.
La lettera di mia madre, il rapporto con Ian, la crisi con me stessa...
Mi sentivo chiusa in una bolla gigante, incapace di respirare.

Quella lettera era ben salda nella mia mente e quelle parole ancora incastrate sulla bocca dello stomaco come un marchio indelebile.

Mi dispiace di non esserti stata accanto come avrei dovuto, di non essere stata una buona madre e mi dispiace ancor di più di averti data in pasto ad una bestia come lui...

Non ebbi il coraggio di finirla e forse, in fondo, non l'avrò mai.

Quelle ultime parole ebbero il potere di scuotermi fortemente tanto da farmi sprofondare in uno stato di semincoscienza.
Rinvenni dopo un lasso di tempo indefinito, sommersa dall'acqua in una vasca da bagno con Ian che cervava di tranquillizzarmi.

Già, Ian...

Quando ero agitata, lui mi tranquillizzava. Quando non trovavo coraggio, lui me lo infondeva.

Mi era vicino senza il bisogno che glielo chiedessi.

Ian sembrava essere il mio pezzo mancante, quel pezzo che pensavi di aver trovato dopo una vita di ricerca ed invece, era lui che stava cercando te.
Ian era quel pezzo di puzzle che ricongiungeva tutta la parte sconnessa della mia vita.
Mi stava "aggiustando" senza che me ne accorgessi.

Ancora oggi, se dovessi dare un nome a quel tipo di legame che ci tiene uniti, non riuscirei a trovarne uno adatto, perchè ciò che ci lega sembra essere più forte di ciò che ci sta dividendo.
Mi sentivo tremendamente in colpa per averlo lasciato di nuovo senza ulteriori spiegazioni.

Quei suoi occhi....
Mi guardò con lo sguardo di chi aveva capito di non essere abbastanza ma che continuava ad insistere per reclamarmi... per volermi.

In cuor mio, seppi di provare qualcosa di molto forte per lui, anche se non ebbi il coraggio di ammetterlo.

Mi agitava e calmava allo stesso tempo. Esercitava un grande potere sulle mie sensazioni, sul mio corpo, su di me. Eppure, nonostante ciò, continuavo a scappare.
Non volevo rovinargli la vita, non volevo che precipitasse con me nel baratro più totale, non potevo fargli questo.

Dovevo dimenticarlo!.

I miei occhi si posarono su quel cartello stradale con scritto in grande BROOKLYN.

Il cuore mi saltò in gola ed il respiro divenne sempre più irregolare.
Un'ondata di collera e dolore mi avvolse completamente.

Ero nata e cresciuta a Brooklyn eppure ritornarci mi provocava sempre uno strano effetto, come se avessi appena valicato un confine apparso soltanto nei miei sogni.
Brooklyn non era più casa mia. Aveva ancora quell'odore di paura, di rabbia, di tristezza, di lacrime...e di quelle ne versai tante.

《Tutto bene, tesoro?》, mi chiese d'un tratto John mentre guidava.

《Sì..》, risposi distratta col viso perso tra gli alberi spogli che scorrevano velocemente.

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