CAPITOLO 11

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Quando i cancelli di Villa King si erano aperti lasciando passare il furgone di Amarok, l'orso aveva finalmente preso coscienza di ciò che gli sarebbe accaduto. Non era spaventato ma una tensione considerevole aveva iniziato a farsi spazio nel suo cervello, facendogli vagliare ogni possibile tortura a cui lo avrebbero sottoposto.

Una delle sue maggiori preoccupazioni era la possibilità di non poter più tornare a casa da Marie Anne. Il timore della morte non lo tangeva ma quello di abbandonare la sorella era una spina nel cuore che non gli lasciava respiro.

Parcheggiò vicino all'entrata, sulla ghiaia, e scese dal furgone osservandosi attorno con curiosità. C'era stato poche volte a Villa King, l'ultima era stata pochi mesi prima, quando insieme ad Amos White e il suo Mithpala erano andati a denunciare l'arrivo in città di alcuni cacciatori. Era un ricordo che gli bruciava ancora, nonostante il tempo trascorso. A quel tempo non era riuscito a tenere al sicuro la sorella che per la sua negligenza era stata rapita.

Sospirò. Aveva molte cose di cui sentirsi colpevole. Non era certo un bravo fratello e ancor meno un bravo Ursid. Ancora non capiva il motivo per cui il proprio branco gli fosse tanto fedele. Forse era pura e semplice rassegnazione, forse non vedevano tutte quelle mancanze che lui stesso si sentiva impresse addosso.

Dopo un'ultima occhiata al furgone si diresse verso l'enorme portone d'ingresso ma non fece nemmeno in tempo a bussare che il maggiordomo di Villa King andò ad aprirgli con un sorriso tirato ad accoglierlo. «Buongiorno, sono venuto per un'udienza con King.»

«Lo so, prego.» L'uomo aprì maggiormente la porta, lasciandolo passare e subito la richiuse alle loro spalle. «Il Signor King l'aspetta nel salone» aggiunse.

Villa King era rimasta come la ricordava, un enorme agglomerato bianco e luminoso. Un gigantesco posto pieno di mobili serpeggianti e dall'aria futuristica. Amarok attraversò l'atrio al fianco del maggiordomo, adocchiando le pareti ricoperte di quadri e le mensole cariche di libri. Quel posto era così bello da togliergli ogni capacità d'espressione. A parole sue non sarebbe mai riuscito a descriverlo.

Il piccolo atrio che si apriva sull'enorme salotto sembrava solo il preludio di ciò che si poteva trovare all'interno di quell'abitazione. Una sorta di assaggio. Era proprio lì che si trovava King.

Gli dava le spalle, con entrambe le mani posate sulla mensola del camino; le braccia allungate e tese, e la schiena inarcata. Aveva lo sguardo perso nelle lingue di fuoco che si agitavano come amanti avvolgendo i ceppi di legno al suo interno. Un tenue tepore si diramava dal focolare arrivando fino a lui che in fondo era ancora distante da lì. Per un attimo Amarok si chiese se King non provasse dolore a rimaner fermo immobile lì davanti.

«Signore, il Signor Brown è arrivato.»

«Lasciaci soli, David» la voce del giovane Magister uscì greve.

Il maggiordomo fece un rapido inchino defilandosi in qualche stanza adiacente e così rimasero solo loro.

«A che ora arriveranno?» domandò Amarok facendo qualche passo in sua direzione e andando dritto al sodo. In realtà non sapeva cosa gli spettava. Voleva solo che tutto finisse in fretta.

Arthur strinse i pugni lasciando schioccare le nocche. «A breve.» Gli stava ancora dando le spalle. Il suo sguardo restava perso nel fuoco, alla ricerca di un controllo che forse non avrebbe mai trovato. Troppo giovane e acerbo per essere un Magister, eppure era lì e doveva svolgere il ruolo che ogni King aveva svolto per secoli. Sperava di esserne all'altezza; era quella l'unica speranza a cui si aggrappava.

«Senti, King... prima che arrivino volevo dirti che» non riuscì a terminare la frase.

Arthur si girò di scatto, la mano serrata a pugno. Le nocche si infransero sulla guancia di Amarok come una sassata, mandandolo a tappeto. L'orso crollò in terra ma non si ribellò a quel colpo, in fondo era consapevole di meritarlo.

Tra i due ci fu uno sguardo di fuoco, carico di mille parole prive di suono. La mascella del Magister si tese mentre digrignava i denti, gli occhi gialli fiammeggianti del suo potere mannaro.

L'aria raggelò all'istante mentre estendeva l'energia fuori da sé, dando una breve prova di se stesso ad Amarok che fu travolto da una sferzata di vento bollente. «Questo è per non avermi avvisato prima» disse massaggiandosi la mano che aveva usato per colpirlo. «Come ti avevo detto, odio venir a scoprire per ultimo le cose che accadono nei miei territori.»

Amarok si frizionò il mento biascicando un vaffanculo. King sapeva essere un gran bastardo quando voleva, inoltre il leone mannaro picchiava duro. «Ho afferrato» grugnì in risposta.

A quel punto il Magister gli allungò la mano con un sorriso. «Bene. Allora avrai molto da raccontarmi, presumo.» Non appena Amarok la strinse, l'altro lo tirò in piedi con un leggera flessione delle gambe. I due si ritrovarono nuovamente uno di fronte all'altro. Rimasero a guardarsi per un lungo istante prima che l'Ursid chinasse il capo e facesse un passo indietro.

King era stato cresciuto con la consapevolezza che davanti a lui sarebbero passati molti capibranco; alcuni lo avrebbero rispettato, altri no. A quelli che non sarebbe riuscito a imprimere il proprio rispetto con le parole, era costretto a dare dimostrazioni fisiche. Non si tirava indietro, non aveva paura. Nemmeno l'enorme stazza di Amarok lo spaventava.

Per lui era sempre stato così, in fondo sin dall'infanzia la sua famiglia lo aveva educato a essere un buon Magister, a non abbassare mai la testa di fronte a nulla e nessuno. Era così che crescevano i King, con una fanciullezza mai realmente vissuta, dove i giochi non esistevano ma vigevano solo regole e lezioni da imparare.

«Cosa vuoi sapere?» chiese l'orso mannaro, andandosi a seder stancamente su una poltroncina poco lontana da lì.

Arthur si spostò per la sala, i piedi nudi si muovevano silenziosi sul pavimento gelido. Afferrò due bicchieri lasciando tintinnare al loro interno alcuni cubetti di ghiaccio poi ci versò dentro una dose abbondante di scotch. Quando tornò da Amarok gliene porse uno, lasciandosi cadere nella poltroncina a fianco. «Tutto. Voglio sapere tutto.»

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora