CAPITOLO 12

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C'era un'unica finestra nella stanza numero dodici della Clinica privata dei Brown. Da lì si poteva vedere una delle innumerevoli fette di verde che caratterizzavano tanto il Michigan; in realtà, di verde ce n'era veramente poco in quel periodo. Gli alberi erano spogli, i loro rami assomigliavano tanto a una folta folla di gente: tante persone tutte vicine ma sostanzialmente sole, aride, trascurate. Lasciate in balia di se stesse, vuote, fredde.

Era così che si sentiva Mikko in quel momento. Piena di gente attorno ma sola, vuota.

Continuava a fissare quel manto bianco che rischiarava lo sguardo attraverso il vetro della finestra. Il freddo di quella neve sembrava averla raggiunta fino a entrarle nelle ossa, nella mente. Si passava senza sosta le dita sulla cicatrice, sondandone ogni increspatura della pelle, ogni rilievo. Era un gesto meccanico che continuava a fare da oltre un'ora, con lo sguardo fisso là fuori e perso in chissà quale pensiero.

Dopo l'incontro con l'uomo senza un occhio era svenuta e si era risvegliata solo diverse ore dopo. Le infermiere le avevano portato del cibo che aveva a malapena assaggiato. Lo stomaco sembrava contratto in una estenuante morsa che non intendeva lasciarle un attimo di respiro.

Quando l'avevano lasciata sola, si era alzata ed era rimasta per un po' al capezzale di Jamaar. Lo aveva accarezzato infinite volte e gli aveva sussurrato parole di conforto che forse servivano più a lei che a lui. In fondo tra i due era lei quella sveglia.

Nella stanza una tenue sinfonia cercava di rendere quel posto più ospitale. Le musiche si alternavano alle battute dei conduttori radiofonici, che facevano da collante tra uno stacchetto e l'altro. Il suo Jamaar era più bravo, non per niente aveva un programma tutto suo. Strinse la presa del braccio attorno alla vita, improvvisamente anche le più insignificanti e stupide battute del fratello le mancavano.

«Signorina Wall, è tutto a posto?» domandò un'infermiera sul ciglio della porta.

Mikko si sistemò il camice coprendo la cicatrice prima di voltarsi e accennare un sorriso. «Sì, grazie. Quando potrò vedere i miei amici?»

L'infermiera sembrò a disagio a quella domanda. «Signorina, cerchi di guarire ora. Ai suoi amici penserà non appena tornerà in forze.» Nonostante il tono cortese, la donna sembrò sfuggente. Come se conoscesse la risposta ma non fosse intenzionata a dargliela.

Questa evasività la metteva sulle difensive. La faceva sentire in costante tensione e da un certo verso perfino diffidente verso tutto il personale medico. «Da quanto sono qui?»

«Oggi è il terzo giorno.» Questo poteva dirlo l'infermiera.

A Mikko sembrò quasi di sognare. Era lì da tre giorni e la ferita che si trovava sulla spalla sembrava vecchia secoli. «E la mia ferita? E quelle di Jamaar ancora aperte?»

L'inserviente impallidì e subito si lesse nel suo sguardo una certa angoscia a trattare un simile argomento. No, non era a lei che Mikko doveva chiedere, lo aveva capito bene a dir il vero e sapeva anche la risposta. «Signorina Wall... se pazienta un attimo il Signor Brown tornerà a farle visita e le darà tutte le spiegazioni di cui ha bisogno.»

Lei sospirò e annuì, tornando a guardare fuori dalla finestra il gelo dell'inverno. «Il Signor Brown è l'uomo con la cicatrice in viso, vero?» domandò consapevole che l'altra fosse ancora lì, sulla porta.

«Sì, Signorina.»

«Grazie» bisbigliò, tornando a tormentare con i polpastrelli la cicatrice. Ogni contatto, seppur delicato, le rimandava una piccola scossa in tutto il corpo che si estendeva dalla punta dei piedi fino alla nuca. Per lei era impossibile credere che fosse guarita a una simile ferita in così poco tempo mentre il fratello era ancora in coma e in condizioni tanto pietose. Ci doveva essere una spiegazione a quella folle vicenda, non poteva essere altrimenti.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora