CAPITOLO 25

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La tigre mannara sollevò il muso annusando l'aria. Attorno a lei si espandeva una strana fragranza che stonava con il bosco circostante. Osservò con circospezione tutta la zona, la natura innevata si estendeva a perdita d'occhio.

Non capiva.

Quell'odore sembrava provenire da tutte le parti e da nessuna. Sembrava far parte di quel posto ed esserne totalmente estraneo.

Un movimento gli fece voltare di scatto la testa verso un punto indefinito del bosco, troppo fitto di arbusti per lasciargli libera la visuale. Un fremito in un cespuglio la fece scattare in avanti, azzannando il nulla.

Il vuoto. Non c'era niente.

Nemmeno i piccoli abitanti del posto.

Si spostò per continuare la sua perlustrazione. Avrebbe finito il giro per l'ennesima volta e poi sarebbe tornato dal suo Sumtrae a fare rapporto. Duba, il capobranco delle tigri mannare, avrebbe sicuramente apprezzato il suo impegno. Sperava che questa sua iniziativa personale lo aiutasse a ingraziarselo. Insomma, ci doveva pur essere un modo per convincere quell'uomo a dargli una carica maggiore di un semplice harimau, un banale membro del branco.

Era da tempo che ambiva al posto di Zendo e stava facendo di tutto pur di attirare le benevolenze del capo. Certo, ricoprire la carica di guardia non era qualcosa da prendere alla leggera, soprattutto dopo gli avvenimenti dei mesi scorsi. L'assalto ai mannari da parte dei cacciatori aveva mobilitato tutti i branchi e ora, nonostante il pericolo fosse stato scongiurato, mantenevano attive una fitta rete di pattuglie. Il loro stesso Sumtrae Duba, aveva a cuore che tutta l'area del Michigan fosse sgombra di pericoli.

Nessuno aveva intenzione di incappare nell'ennesima imboscata. Questa volta, si sarebbero fatti trovare preparati. Ecco perché era andato a fare quel giro extra, per mostrarsi interessato, anche se a dir il vero lui aspirava al posto di Zendo solo per i benefici che si traevano.

Diventare la guardia del capobranco aveva sicuramente sia pro che contro, ma la tigre mannara era talmente accecata dai privilegi che non dava l'equo peso agli aspetti negativi di quel ruolo.

Uno scricchiolio. Una folata di vento. Il sovrannaturale voltò la testa di scatto guardando il vuoto davanti a sé. I fiocchi di neve continuavano a scendere volteggiando come ballerine di danza classica, danzavano nel vuoto posandosi lievi su ogni cosa. Quella luminosa distesa di bianco rendeva quel posto immacolato, quasi puro.

Le zampe della tigre scricchiolarono sul leggero strato di neve. Si spostò in quella piccola radura annusando nuovamente l'aria. Per quanto si sforzasse di percepire attorno a sé quella strana presenza, i suoi sensi non riuscivano a captare altro che quel profumo persistente. Un odore selvatico e selvaggio.

Quando alle sue spalle ci fu l'ennesimo rumore di ramoscelli spezzati, la tigre si lasciò sfuggire un bruito basso e prolungato dal fondo della gola. Il vento si alzò soffiando in mezzo agli alberi, fischiando come un lamento.

C'era qualcosa lì.

C'era qualcosa e lui era solo e dannatamente inesperto per poter anche solo pensare di riuscire a sostenere uno scontro. Era stato uno sciocco ad aver preso con leggerezza quella ronda solitaria.

Con cautela fece un passo indietro, senza staccare lo sguardo dal punto in cui aveva sentito arrivare l'ultimo rumore. Un brivido gli scivolò sulla pelliccia e i peli si accapponarono non appena il suo potere sovrannaturale captò nell'aria una fonte di potere ben più grande della sua.

Cosa o chi diavolo c'era in quel posto? Doveva fuggire da lì. Subito.

Il suo stesso corpo, il suo istinto, il suo inconscio continuavano in maniera allarmante a gridargli nella testa di fuggire da quel luogo.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora