CAPITOLO 14

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La neve avvolgeva il bosco, creando giocosi effetti di luce e regalandogli quel velo di mistero e purezza; il cinguettio degli uccelli si estendeva come una musica, gli animali si mimetizzavano tra le fratte cercando nascondigli caldi e rifugi sicuri. C'era una gran frenesia in quel posto dominato dalla natura.

Gli occhi di Arteca si fissarono in un punto lontano, un fruscio aveva attirato la sua attenzione. Le mani affondarono nel terreno imbrattandosi di fango e neve; i vestiti strappati e logori erano bagnati e freddi, troppo consunti per coprirlo davvero. In quel bosco l'odore di cibo sembrava arrivare da tutte le direzioni, era come un gigantesco contenitore di caramelle. C'era solo l'imbarazzo della scelta.

Alzò il viso verso l'alto, annusando l'aria e inspirando rumorosamente. Era vicino, sentiva il battito pulsante del suo cuore. Si passò la lingua sulle labbra, deglutendo con impazienza.

La smania di muoversi e attaccare gli ribolliva dentro; un calderone di sentimenti borbottanti e in continuo mescolarsi. Non capiva più i suoi ragionamenti, era come se la sua mente si dividesse a metà tra pensieri razionali e altri, totalmente primitivi.

Carne. Fame. Cibo.

Preda. Sangue. Mangiare.

Non riusciva a pensare ad altro. Più tentava di sforzarsi, più la testa lo tormentava, bombardandolo di piccoli frammenti di immagini a cui non riusciva a dare un senso.

C'era qualcosa che tentava di ripescare in quel mare in burrasca che era il suo cervello, eppure, non riusciva a trovare nessun appiglio. Si sentiva in balia delle onde, disperso.

L'odore di selvaggina gli solleticò le papille gustative mentre tentava di rimaner lucido.

Peccato che ritrovarsi a carponi dietro un enorme cespuglio non fosse proprio quel genere di lucidità che intendesse lui. Digrignò i denti cercando di acquattarsi e mimetizzarsi come meglio poteva. Troppo grosso per passare inosservato; troppo rumoroso per non essere sentito.

Un rumore di rami rotti e foglie pestate lo riportò sull'attenti; snudò i denti lasciandosi sfuggire un sibilo e come un animale si gettò capofitto dentro l'ennesimo cespuglio. Ancor più vicino, sempre più vicino.

Il corpo gli bruciò, preda di quella febbre che non lo mollava da giorni. Sentì la testa pesante e il calore sembrò dargli tregua per un attimo prima che lo stomaco tornasse a brontolare.

Fame. Aveva fame.

Carne. Sangue. Cibo.

Era un bisogno così primario che il suo stesso corpo ne cercava rimedio, soluzione.

L'odore pungente di bosco e natura selvaggia gli pizzicò le narici, Arteca chiuse gli occhi e sentì i canini pungergli le labbra mentre tratteneva un brontolio cupo e feroce.

Piegò la testa di lato, lasciando schioccare il collo rumorosamente. Si passò la lingua sulle labbra pregustando l'attimo in cui avrebbe affondato i denti nella sua preda, nel suo pranzo.

Mikko. Mikko Wall.

Quel nome. Quell'unico ricordo.

C'era qualcosa che doveva ricordare. Sì, ma cosa?

Sembravano vani tutti quei suoi tentativi. Ricordare cosa?

Si strinse la testa tra le mani. Pulsava come un cuore, non gli lasciava respiro, non gli dava tregua. Una tortura continua, un'angoscia costante. Un male che gli partiva dal petto, irradiandosi in tutto il corpo. Eppure non riusciva a trovare un significato a tutto questo.

Carne. Sangue. Cibo.

Bestia. Fame. Molta fame.

Il tormento di quell'appetito era l'unica cosa che riusciva a comprendere, e che riusciva a placare.

Si lasciò sfuggire un lamento, portò le mani al ventre stringendolo con costernazione. Una gigantesca cicatrice glielo sfregiava da parte a parte e lui non riusciva nemmeno a ricordare come se la fosse procurata.

Ma quello non importava, non ora. La cosa che lo affliggeva maggiormente era il senso di vuoto nel suo stomaco che si estendeva anche alla sua mente. Era come un contenitore vuoto. Vuoto di tutto, pensieri e razionalità. Non sapeva, non ricordava.

Strinse tra le mani la catena che portava al collo, era bella ma per lui non significava nulla. Doveva averla da prima che il suo cervello avesse deciso di fargli quel brutto tiro. Prima che tutto iniziasse a diventare nebuloso, distante, sconosciuto.

Sfamati. Prendi. Mangia.

Cattura. Uccidi. Caccia.

Si morse il labbro guardando oltre il cespuglio. Era lì, così vicino. Il viso si increspò in una espressione furiosa, sollevò le labbra in un ringhio, mostrando i denti.

Erano appuntiti, taglienti, diversi.

Da quando li aveva così? Non lo ricordava.

Era questo, lui. Era sempre stato questo. Solo questo.

Scattò in avanti, con una velocità sorprendente e una risoluta determinazione. Agguantò la povera bestia e si gettò su di lei come un animale: selvaggio, violento, insaziabile.

I denti strapparono carne e pelo mentre quella piccola vita gli sfumava tra le mani e si trasformava nel suo pasto. Il volto immerso nelle viscere calde mentre prendeva tutto ciò che quel sacrificio poteva dargli. Il sangue gli sporcava il mento ma lui non si curava più di aver una parvenza di umanità.

Dilaniò ogni lembo di carne di quel corpo, godendone come mai prima d'ora. Si beò di quella morte e la sua parte inumana ne pretese ancora, e ancora, e ancora.

Non riusciva a smettere. Non voleva smettere.

Quando gettò i resti oltre le fratte, si pulì la bocca con il dorso della mano e gli occhi gialli vagarono verso il cielo. Snudò i denti e dalle labbra trattenute gli sfuggì un grido, qualcosa che non assomigliava a niente di simile all'umano ma nemmeno all'animale. Qualcosa di bestiale, primordiale, primitivo, spaventoso.

Carne. Sangue. Vita.

Cibo. Morte. Mangia.

Dov'era finita la sua umanità?

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora