CAPITOLO 44

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Mikko cercò di parlare. Aprì la bocca per chiedere aiuto ma il gorgoglio del sangue le fece annegare le parole nel denso liquido ancora imprigionato in gola; ciò che le restò da fare fu aggrapparsi alle braccia di Amarok che la sorreggevano con delicatezza. Negli occhi le si leggeva puro terrore.

L'Ursid non riusciva a staccare lo sguardo da quella macabra reazione, stringendola al petto e pregando che il corpo accettasse il mutamento; tentava di restare più a lungo possibile aggrappato alla propria razionalità perché sapeva che se avesse lasciato spazio alla bestia, non sarebbe più riuscito a tornare indietro e, in quel momento, aveva bisogno di restare lucido. Stava succedendo tutto così in fretta che non aveva trovato nemmeno tempo per razionalizzare l'accaduto. Ogni cosa sembrava sfuggirgli di mano. Era lì, imbambolato, eppure sapeva di dover fare qualcosa. Si sentiva perso, spaesato.

Il corpo della giovane fu attraversato dall'ennesima fitta; Mikko si piegò in avanti, si tenne lo stomaco e gridò per il dolore, sulle guance le rotolarono due enormi lacrime che si mescolarono al sangue di cui ormai era interamente ricoperta.

Anche lei aveva capito che c'era qualcosa che non andava. Dopo tutte le volte che Amarok le aveva ripetuto l'intera procedura del mutamento, sapeva che quel sangue che il corpo stava rigettando non faceva parte del normale decorso del processo. Di attimo in attimo sentiva qualcosa scivolarle via dalle mani, e probabilmente si trattava proprio della sua vita. «È – è tardi» cercò di dire, tossendo. Le lacrime scesero ancora. Non riusciva a smettere di piangere, non riusciva a frenare quell'incontenibile sofferenza. Le emozioni le sembravano esplose in petto, gettandosi fuori dagli occhi come un ruscello in piena.

Aveva sperato fino all'ultimo istante che quella notte passasse liscia, senza alcun intoppo; eppure, in cuor suo si era fatto strada uno strano presentimento che le aveva fischiato nelle orecchie per tutto il giorno e le aveva appesantito lo stomaco come un macigno.

Non ci aveva voluto pensare e invece ora si ritrovava lì, nel gelo di quel bosco, affondata nella neve a perdere tutto il sangue che il suo corpo poteva contenere. Si maledì per non aver trascorso più tempo con Jamaar, per non avergli parlato più spesso, non averlo tenuto più a lungo per mano o non avergli detto quanto lo amasse. Si sentì in colpa per non essere riuscita ad aiutare Arteca come avrebbe voluto, non essere riuscita a ritrovarlo dopo quell'ultimo loro incontro.

Era giovane e piena di rimpianti. Era giovane e stava morendo.

«È – è troppo tardi» disse di nuovo, alzando la mano e accarezzando il viso di Amarok. Le dita sporche di sangue tracciarono sul volto del mannaro la scia di una carezza macabra e gelida. Sentiva le energie scivolarle via come i granelli di sabbia dentro una clessidra.

Così poco tempo, così pochi istanti ancora.

L'Ursid scosse la testa, trattenendo un grido di rabbia. Non voleva arrendersi proprio ora, a un passo dalla risoluzione dei loro problemi. Per entrambi era stato un mese intenso, pieno di nuove scoperte, di dolori e colpi bassi; ma erano andati avanti. Nonostante tutto, non si erano arresi.

Dopo l'iniziale diffidenza, Mikko si era fidata di lui; gli aveva messo in mano la propria vita ed era arrivato il momento per Amarok di dimostrarle che era all'altezza di quella fiducia, che se la meritava tutta e che la fedeltà che qualche attimo prima gli aveva giurato non faceva parte di un banale meccanismo rituale.

La giovane gli strinse la mano, i due si scambiarono uno sguardo silenzioso e che faceva male più di una trafittura nel cuore. Le labbra di Mikko si sollevarono in un sorriso triste e stanco, scosse un po' il capo e lo tornò a osservare come a volergli dire che andava bene così, che accettava il proprio destino, che si era arresa.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora