CAPITOLO 47

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La temperatura del sotterraneo era schizzata alle stelle. Il viso di Evis era rosso e imperlato di sudore mentre tentava di sorreggersi con le mani al braccio di Jamaar, nel tentativo di non soffocare. Le punte dei piedi a malapena arrivavano a terra. «Ti – ti prego» rantolò, cercando d'inspirare. L'aria gli entrò nei polmoni con un fischio stridulo, l'Anziano tentò ancora di liberarsi dalla presa ma Jamaar sembrava decisamente più potente di lui. Lo sovrastava senza il benchè minimo sforzo. «Ti – ti prego» rantolò ancora.

«Oh, che patetico... mi preghi? Davvero? Mi preghi?» lo canzonò. Un sorriso mefistofelico si dipinse sul volto del ragazzo. «Sono proprio l'ultima persona che andrebbe pregata.» Senza alcuna apparente fatica, lo sollevò da terra e lo scagliò contro il muro davanti a sé. Una volta liberate le mani dall'ingombro dell'uomo, le congiunse sulla testa sgranchendosi. «Un mese a dormire... ti rendi conto? Un mese sprecato.» Si massaggiò il collo, le spalle e lasciò schioccare gli omeri. Mugolò di piacere quando sentì gli arti distendersi, flettendo i muscoli ancora assopiti, risvegliandoli. «E ora, dimmi... dove mi trovo? E chi diavolo sono?»

Evis si sollevò meglio a sedere. Cercò di respirare, di prendere fiato. La gola gli bruciava. «Ti chiami Jamaar... Jamaar» Non ricordava il cognome. Dannazione! Non gli era mai interessato realmente qualcosa di lui a dir il vero. Non si era nemmeno informato a dovere. «E sei – sei in un luogo sicuro» fu l'unica cosa che riuscì a dire.

«Sicuro per te... o per me?» Gli occhi di Jamaar tornarono neri, i piedi nudi schioccarono sul pavimento in pietra mentre si avvicinava all'Anziano. «Niente è al sicuro quando si trova nei miei paraggi.» Le parole gli uscivano dalla bocca in un tono soave, suadente. Parlava piano, quasi in un sussurro di pura seduzione o tremenda consapevolezza della propria maestosa potenza.

Evis tentò di proteggersi il viso mentre la mano artigliata del giovane lo afferrava malamente per gli abiti. «Noi – noi ti possiamo aiutare» rantolò.

Sul volto di Jamaar spuntò un sorriso malvagio, fatto di denti scintillanti e affilati come sciabole. «Oh, sì... hai ragione... potete aiutarmi.» Con un movimento brusco lo sollevò, spingendolo contro il muro. «È un mese che non mangio... e stranamente, sento una forte necessità di mangiare carne.»

Una densa e opprimente energia si sprigionò dal corpo del giovane. Calda come lava, bollente come fuoco vivo, avvolgente come il calore di una stufa.

Evis aprì la bocca per gridare di paura ma quella forza sembrò incanalarsi in lui, avvolgerlo, penetrarlo. Scalciò con forza cercando di liberarsi, fuggire. Alle sue spalle il muro iniziò a creparsi, piccole fenditure si allargarono come tanti raggi di sole, o rami di alberi. Evis sembrava il fulcro di quella raggiera, come se quegli squarci fossero opera sua.

Diverse scintille scoccarono in aria attorno al corpo di Jamaar, improvvisamente tutta quella energia crepitò con forza nella stanza e l'Anziano comprese quanto pericoloso e letale fosse il ragazzo che gli stagliava di fronte. Non c'era umanità in quello sguardo, né compassione. Non c'era nulla, il vuoto.

Sul volto di Jamaar si aprì un lungo e profondo taglio, che spurgando liquido lasciò intravedere una distesa di scaglie. Scaglie nere. Scaglie di Drakos. Con la mano libera si sfiorò la guancia e tornando a guardare il mannaro, sorrise maliziosamente. «Dio... mi sento tutto un fuoco.»

Gli occhi di Evis sgranarono per la sorpresa ma non fece in tempo a fare nient'altro. Un'onda di energia si abbatté su di lui con potenza devastante, dal braccio del giovane si estese una scossa che raggiungendogli le dita si trasmise sul corpo dell'Anziano trasformata in fuoco.

Lingue di fiamme avvolsero la figura di Evis e in pochi attimi il mannaro divenne una torcia umana. Il suo corpo prese fuoco come se fosse cosparso di combustibile, bruciò così veloce e così tanto intensamente che non trovò nemmeno tempo per gridare.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora