CAPITOLO 10

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Stava guidando nel silenzio più totale, senza proferire parola ma lanciando di tanto in tanto occhiate preoccupate a Marie Anne, seduta al posto del passeggero. Da quando erano usciti di casa quella mattina, non si erano detti nulla e lui temeva che la piccola se la fosse presa per non aver risposto alle sue insistenti domande.

Avrebbe voluto farlo, però non poteva dirle per quale motivo andava da King, né cosa avrebbe fatto da lui.

Era il fratello maggiore e come tale, doveva proteggerla da tutto, perfino da quelle verità scomode e di cui ancora non voleva renderla partecipe, finché poteva.

Imboccò la Royal Avenue e si fermò davanti al vialetto della piccola abitazione azzurra che stagliava tanto in contrasto con le altre. Fece un lungo respiro prima di parlare: «Bene, siamo arrivati.» Scese dall'auto prima di ripensare a ciò che si sarebbe apprestato a fare, altrimenti avrebbe preso Marie Anne e l'avrebbe riportata dritta a casa. Non era sicuro che lasciarla lì fosse la scelta migliore, ma non aveva alternative.

La raggiunse aggirando l'auto e insieme si avviarono verso l'abitazione. La piccola si teneva ben stretto lo zaino al petto e nonostante gli tenesse il muso, sembrava serena. «Hai preso i compiti da fare?»

«Sì.»

«E il pigiama?»

«Sì.»

«E i vestiti di ricambio?»

Marie Anne gli scoccò un'occhiata gelida e poi sollevò gli occhi al cielo. «Senti... non sono più una bambina, okay?» glielo disse con un velo di rimprovero nella voce e quel tono fu come una stilettata per Amarok.

Sapeva di essere apprensivo, opprimente, forse petulante e sicuramente pedante, ma lo faceva per lei. Era così preoccupato per quello che le era successo che la punizione che avrebbe ricevuto dal branco era passata in secondo piano, perfino l'idea delle Sei Punte riusciva a sbiadire a confronto con tutti i timori che aveva per Marie Anne.

Lei non stava bene, lo sapeva, lo fiutava; eppure fingeva che fosse tutto okay. Amarok non aveva alcuna intenzione di forzarla a parlare ma sperava che crollasse prima o poi e che buttasse fuori tutto il dolore che si teneva dentro. Non aggiunse altro e quando arrivarono davanti alla porta si voltò a guardare per un ultimo istante la sorella, lasciandosi sfuggire un sospiro carico di apprensione. Bussare fu quasi un'impresa titanica per lui, non tanto per il gesto in sé per sé, quanto più per la consapevolezza di ciò che ne sarebbe seguito; il semplice fatto di doverla lasciare lì e magari non aver la certezza di poterla tornare a prendere gli facevano contorcere lo stomaco in piroette degne di un giro in giostra.

La porta si aprì qualche istante dopo e il buon umore dell'Ursid scivolò ancor più sotto i piedi. Amos White gli elargì uno dei suoi smaglianti sorrisi con la sua solita faccia da schiaffi. I capelli erano come sempre scompigliati, accompagnati da due profondissimi occhi ghiaccio e l'espressione di uno che ha visto qualcosa di estremamente divertente. Si appoggiò allo stipite della porta a braccia incrociate e sorrise sornione. «Ehi, Ciclope... ci si vede, eh? Beh... più o meno, vero?»

In tutta risposta l'orso mannaro emise un grugnito degno di mille vaffanculo.

Il sorriso del pasura, si allargò maggiormente. Amarok doveva ancora capire come aveva fatto a ottenere quell'incarico così prestigioso, in fondo non era da tutti essere la guardia del corpo del proprio capobranco e Amos non sembrava un tipo affidabile; eppure Damian, il Mithpala dei pardi di cui faceva parte, sembrava aver cieca fiducia in lui. Assurdo.

«Allora? Ti hanno mangiato la lingua, oltre che un occhio?» domandò il leopardo mannaro, passandosi una mano nei capelli e scoccandogli uno sguardo divertito.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora