EPILOGO

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Avanti e indietro. Avanti e indietro. Come un animale in gabbia. Come un condannato a morte in attesa del patibolo.

Amarok stringeva e allentava i pugni, camminando a grosse falcate per casa. Alto com'era la percorreva tutta in pochi attimi. E ricominciava. Ricominciava di nuovo.

Lo stava facendo da oltre un'ora. Da quando Mikko era andata via e il suo cuore era diventato un ammasso informe di sentimenti contrastanti.

La voglio. No, non la voglio. La riprendo. No, non la riprendo. Deve stare al mio fianco. No, deve andare per la sua strada.

Si lasciò cadere sul letto, usando il braccio per coprirsi il viso quasi tentasse di chiudersi fuori dal mondo. Di tagliarsi fuori dai suoi stessi pensieri. «Coglione. Sei un assoluto, totale, coglione» biascicò a se stesso, con rabbia e ancora quel tumulto in petto che sembrava aumentare di minuto in minuto. Una tempesta. Un uragano.

Chiuse l'occhio tirando su una boccata d'aria e il profumo che lo investì fu peggio di una scarica di pugni nello stomaco.

Lei. Lei, ovunque.

Quel posto sapeva tutto di lei. Ogni cosa. Ogni singolo angolo. Ogni minuscolo oggetto o stanza gliela ricordava.

In un mese Mikko era riuscita a riempire i vuoti di quella casa, e incredibilmente, anche quelli del suo cuore.

Nella disgrazia si erano trovati, si erano leccati a vicenda le ferite, avevano cercato di raccogliere i cocci dei loro cuori rotti e tirarne fuori qualcosa che non fosse un esperimento mal riuscito.

«Sei un coglione. Coglione, coglione, coglione» ripeté ancora, lasciando che il profumo di Mikko gli solleticasse le narici e gli facesse riaffiorare anche la loro ultima notte passata insieme. Quella notte per lui era stata un susseguirsi di scoperte, a partire dal rituale di connessione con la Luna a finire con i Drakos. Senza parlare poi di quello che era successo tra loro. Arrossì. «Merda.» Era cotto. Cotto a puntino.

Lo era così tanto che l'idea di non vederla mai più continuava a bruciargli l'occhio. Si sentiva una mezza sega in procinto di un pianto isterico, come quei ragazzini alle prese con la prima cotta; quella che ti fa fare un mucchio di stronzate e figure di merda.

Si sollevò a sedere di scatto, passandosi le mani nei capelli. «Merda. Merda. Merda» ringhiò alzandosi in piedi e riprendendo a camminare.

Una bestia senza via d'uscita.

Gli veniva pure da vomitare.

Si sentiva uno schifo.

Non avrebbe mai pensato di stare così per una femmina. Lui. Lui che era devoto solo al suo branco e a sua sorella. Lui che nella sua vita si era gettato nel lavoro e nel ruolo di Ursid con tutto se stesso, senza risparmiarsi. Quasi facendone la sua unica ragione di vita.

E allora perché si sentiva così? Perché gli veniva voglia di mollare tutto? Di mandare al diavolo ogni cosa?

Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò con le chiavi del furgoncino tra le mani, vicino alla porta, come se il proprio corpo cercasse di assecondare un bisogno anche fin troppo palese. E lui lo sentiva quel bisogno, continuava a crescergli e bruciargli in petto. «No. Non posso.» Strinse il mazzo nel pugno, così forte da far sbiancare le nocche. Con che diritto poteva andare da lei? A fare cosa poi? Lei stessa aveva detto di sentire il bisogno di tornare a casa. Non aveva alcun diritto di fermarla.

Eppure aprì il portone di casa e si mosse verso il vialetto.

Solo una volta. Aveva bisogno di vederla solo un'altra volta. Un istante. Sentirle dire di nuovo che doveva andare e che era finita lì, finita così. Leggerglielo negli occhi, leggerle la convinzione di quella scelta nello sguardo. Almeno si sarebbe messo il cuore in pace.

ARTIGLI - BACIO SELVAGGIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora