Capitolo 45

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Eccola.
Ecco la ragione della terribile sensazione che avevo. Era tutto troppo bello per essere vero. 
Mi sembra di ricevere un pugno diritto allo stomaco.
- No. - dice a un tratto Newt.
Rimango in silenzio per qualche secondo.
- "No" cosa? - replico, senza osare guardarlo.
- Non ti lascerò fare una cosa così fottutamente stupida. - ribatte - Non ti muoverai da qui, cacchio. - 
Alzo gli occhi verso di lui. Mi sta guardando con una tale sicurezza, il tono non ammette repliche.
Non so nemmeno come abbia fatto a intuire così rapidamente le mie intenzioni, perfino prima che le avessi intese completamente io.
- Non voglio avere morti sulla coscienza. - dico lentamente, il mio tono suona più freddo di quanto vorrei.
- E non ce li avrai. - replica - È solo un bluff. Cercano di spaventarci. -
Scuoto leggermente testa.
- Ne sei certo? - ribatto. 
Lui non risponde, lancia un'occhiata al suolo come per sfuggire a quella domanda.
Non lo è.
Nessuno di noi è mai certo di mai niente, qui.
Sento torcermi le budella solo al pensiero di quello che sto per dire. Ma non posso fare altrimenti.
- Non correrò il rischio - dico. - Devo farlo. Me ne andrò. -
- No, che non lo farai. - replica - Ti tratterrò a forza, se necessario. Ti chiuderò in Gattabuia, ti legherò ad un fottuto albero, se non ci sarà altro modo, farò qualunque cosa per tenerti qui. - 
Il suo tono è così serio da farmi dubitare fortemente che stia solo scherzando. Ma io faccio roteare gli occhi.
- Invece no, Newt. Non pensi a tutti i tuoi amici? Faranno tutti una brutta fine se... - inizio.
- E tu non pensi a me? - ribatte, zittendomi. 
Guardo quei suoi profondi occhi marroni, che ormai per me dicono tutto. Tutto quello che sono diventata, quello che amo, quello che odio, è scritto in quegli occhi.
Certo, che ci ho pensato.
- Non pensi mai che non sei sola, in questo cacchio di mondo, Giulia? - continua - Che c'è qualcuno a cui interessa, se schiatti o meno? - sibila - Perché a me sembra che non te ne freghi un caspio di niente - 
Io non dico niente, senza parole.
Come fa a credere che non mi interessi?
- Sai, avevi ragione. Sei una cacchio di egoista. - sbotta.
Io guardo a terra, mentre sento una forte e profonda tristezza penetrarmi in tutte le ossa, nelle viscere più profonde.
- È ovvio che ho pensato a te - replico piano - Non posso permettermi di avere te sulla mia coscienza - mormoro - Sei... sei tutto quello che ho. - 
- Magari potresti dimostrarlo senza abbandonarmi come un sacco di sploff. - ribatte acido. - Siamo Radurai, Giulia. Praticamente indistruttibili ormai. Non ci succederebbe niente. Evita queste cazzate. -
Non riesco a dire niente, guardo verso i miei piedi.
Come fa a non capire? Perché non capisce che da tempo ormai lui è alla base di ogni mio pensiero? Non immaginavo sarei mai stata capace di pensare una cosa tanto sdolcinata. Eppure è la pura verità.
Lui prende un profondo respiro, come se stesse per perdere la calma.
- Se te ne andrai, ti odierò. Non ti perdonerò mai. - dice freddo.
Poi si volta, lo sento allontanarsi. Penso di poter crollare in questo momento.
- Preferisco il tuo odio. - sussurro tra me e me, così piano che sono certa di averlo sentito solo io.

- Non stai dicendo sul serio - dice Minho, mentre torniamo lentamente al Casolare.
Alby ha appena informato tutti gli Intendenti del biglietto. 
Bene. Grande. Perfetto.
Che vita di merda.
Dal canto mio, tutto quello che ho potuto fare è stato andare a parlare delle mie intenzioni con Minho.
È l'unico a conoscenza di questa storia di cui mi fidi almeno un po'.
- Senti, non mi è facile ripetertelo. Si, sto dicendo sul serio. Me ne vado, domani sera. - replico fredda.
Lui mi guarda per alcuni secondi, poi torma a fissare davanti a sé e non dice nulla.
- E Newt? - chiede a un tratto, riempiendo quel silenzio con una domanda a cui non vorrei rispondere.
- Non sono affari tuoi. - ribatto. 
Lui si ferma, facendomi quasi andare a sbattere contro di lui.
- Invece si, che sono affari miei. - risponde, voltandosi verso di me, e guardandomi dritto negli occhi. - Quella testa di caspio è il mio migliore amico. Non voglio vederlo soffrire. Non più di quanto non faccia già. - il suo tono, il suo sguardo, è così serio, per una delle rarissime volte.
Io distolgo lo sguardo.
- Nemmeno io. È per questo, che devo andarmene. - dico piano, alzando poi di nuovo gli occhi verso il ragazzo, che mi guarda come se fossi completamente rincoglionita - Ragazzi, siete come una famiglia per me. Non posso permettere che vi accada nulla di male per colpa mia -
Lui mi lancia una lunga occhiata indagatrice.
- Non credo che lui la veda così. - dice solamente.
Scuoto la testa, guardando il cielo.
- Caspio, no, non la vede così, ok? - sbotto - Speravo di poterne parlare con te, perché l'avresti presa con la tua solita ironia del cacchio, ma no, anche tu devi farmi la predica! Bene. Mi sento già abbastanza in colpa da sola, non ho bisogno di sentirmi dire da te quello che già so. -
Dopo questo mio sfogo, mi volto, e me ne vado, diretta verso chissà dove.

Le Cucine. 
Davvero sono andata alle Cucine?
Non avevo un'altra fottuta idea di dove andare?
Porca sploff.
Sto male.
Non è niente di curabile. È qualcosa di più profondo.
Mentre cammino, mi scontro con qualcuno. Strano che non mi sia accorta della presenza di qualcun'altro, dato che non c'è anima viva in giro.
- Scusa - mugugno irritata.
- Ehy, tutto bene? - chiede una gentile voce familiare.
Alzo gli occhi leggermente sgranati verso il ragazzo contro il quale ho sbattuto.
George mi guarda con le sopracciglia leggermente aggrottate, ma con quella sua solita espressione gentile sul viso.
- Sì. Ciao. - mormoro, proseguendo in avanti.
Sento la sua mano stringersi delicatamente attorno al mio polso.
- Risposta sbagliata - replica.
Io alzo gli occhi al cielo, lui sospira.
- Eh dai, lo si vede a un miglio di distanza che stai tutto tranne che bene. - dice.
Io mi volto lentamente.
- Che succede? - chiede dolcemente.
Io mi siedo sul tavolo più vicino.
Scuoto leggermente la testa. Lui non sa del biglietto, dato che non è un'Intendente. Ma, nonostante Alby abbia dato il chiaro ordine di non parlarne con nessun'altro, io glielo devo dire. Sento il bisogno di farlo
- Se ti dico una cosa, giuri che non la dici a nessuno? - chiedo incerta. 
Lui si siede accanto a me.
- Ora mi stai facendo preoccupare - replica - Hai ucciso qualcuno? -
- Ti prego, è una cosa importante. È un segreto, e deve rimanere tale. - dico io, più seria che mai.
La sua espressione si fa ora più seria.
- Giuro che non lo dirò a nessuno. - risponde.
Io sospiro.
- Quando è arrivata la Scatola, oggi... c'era un biglietto. Dai Creatori. - dico.
- Sì, questo lo avevo sentito dire - dice.
Inarco un sopracciglio.
Lui scrolla le spalle.
- Le voci girano. - risponde alla mia domanda muta - Vai avanti -
- Beh... non penso che tu sappia cosa c'era scritto. - dico, lui scuote la testa. Prendo un profondo respiro. - "Consegnate la ragazza. O uccideremo gli altri uno ad uno, finché non saranno tutti morti. Vi diamo tre giorni. La scelta è tua, Giulia." - recito a memoria, sorprendendo la mia voce a tremare leggermente.
Lui sgrana leggermente gli occhi, l'espressione preoccupata. 
Io non dico nulla, guardo a terra, rimaniamo in silenzio per parecchi attimi.
- E tu, cosa hai deciso? - chiede.
Alzo gli occhi verso di lui.
- Me ne vado. Domani. - rispondo piano.
Lui annuisce, chiudendo gli occhi.
- Immaginavo. - dice solamente. 
Lo guardo stranita. 
- Non sei arrabbiato? - chiedo confusa.
- Perché dovrei? - replica - Non è colpa tua. Sei con le spalle al muro. Capisco perché lo fai. - dice - Non sto dicendo che mi fa piacere l'idea di spedirti dai maledetti Creatori, anzi. Sarà difficile da accettare. E l'idea mi terrorizza. Semplicemente, ti capisco. - aggiunge.
Lo guardo stupita. È un ragazzo incredibile. 
Poi, faccio una cosa che mi viene stranamente naturale: lo abbraccio.
Lui si irriggidisce per alcuni secondi, confuso, poi mi avvolge con le sue magre braccia lentigginose.
- Ehy - dice - Dov'è finita la Giulia impavida e sprezzante del pericolo? - cerca di buttarla sul ridere.
Io mi sforzo di farmi uscire una lieve risata.
- Che paroloni - dico ridacchiando.
- Guarda che sono uno colto, eh - replica.
Io sospiro. Rimaniamo in silenzio per un po'.
- Vedrai, andrà tutto bene. Qualunque cosa vogliano da te quei bastardi, ce la farai. - dice dolcemente.
Ci sciogliamo dall'abbraccio, allontanandoci piano.
- Grazie - dico, sinceramente grata.
Lui sorride lievemente, e tristemente.
- Figurati - risponde.
Sospiro.
- Ora vado a farmi una dormita - dico. - O almeno ci proverò - aggiungo.
Lui annuisce.
- Buonanotte Giulia - dice.
- 'Notte George - rispondo.
Mi volto, dirigendomi verso il Casolare.

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