Capitolo 49

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A pranzo non parlo mai con nessuno. 

Me ne sto seduta in un angolo, a mangiare svogliatamente quello che trovo nel piatto. Tutti gli scienziati sono invece seduti sempre insieme a parlare di progetti, premi e avanzamenti di grado che riceveranno dai piani alti.

Mi piace stare sola, generalmente.

Ma oggi no... sto pensando troppo. 

Qui, seduta in solitudine, non ho null'altro su cui concentrarmi.

Non mi viene in mente solo la Radura, ma anche quello che c'era prima.

Quando vivevo ancora con i miei in un piccolo e semiabbandonato stabile di Chicago. Allora, avevo solo 6 anni, ancora non sapevamo che una, solo una, dei tre era immune.

Perciò, quando l'Eruzione arrivò anche alla nostra città, colpì prima mio padre. Quando si accorse di aver contratto il virus, abbandonò la casa, per la nostra sicurezza.

Non ci salutammo nemmeno, anzi, non avevamo idea che fosse infetto fino a quando, una mattina, ci svegliammo, e lui non c'era più. 

Ci aveva lasciato solo un biglietto scritto a matita.

Diceva poco.

Poche righe, ma che rimasero impresse nella mia memoria di bambina, e che rimangono con me anche ora, che sono passati 12 anni da quel giorno, nitide e chiare nonostante tutto.

"Lo faccio per proteggervi. Vi voglio bene."

Ricordo che furono giorni duri, i seguenti, eravamo rimaste sole.

Poi, la malattia colpì anche mia madre, due anni dopo.

Lei se n'era accorta, questo è certo, ma io, piccola com'ero, no.

Io credevo ancora che la mia mamma stesse bene, che noi fossimo al sicuro.

La nostra squadra perfetta.

Una notte sentii un grido. Un grido d'aiuto. 

Entrai di corsa nella stanza della mamma, ma lei era tranquilla, seduta sul bordo del letto.

- Che ci fai qui, tesoro? - mi chiese.

- Ho sentito un urlo - risposi io, terrorizzata.

Lei mi sorrise dolcemente.

- Torna a dormire. - mi disse.

Andò avanti così per giorni.

Ogni volta le grida si facevano più forti, più frequenti, e più comprensibili.

"Basta, basta!" urlava la voce.

Era la voce di mia madre, lo sapevo, ma ogni volta che entravo nella sua stanza, lei era calma, e mi sorrideva. Mi illusi che fosse qualche altro spaccato nei dintorni, a urlare così tutte le notti.

Poi, un giorno, mia madre mi disse che d'ora in avanti mi sarebbe stato vietato entrare nella sua stanza. Le urla ogni notte continuavano, ma io davo ascolto alla mamma, e rimanevo sotto alle luride coperte del mio letto.

L'ErroreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora