GIULIA'S POV
Non so esattamente quando mi sia addormentata. So solo che, improvvisamente, mi sono risvegliata.
Sono distesa su una superficie dura, metallica.
Apro gli occhi.
Attorno a me c'è solo buio.
Mi alzo a sedere lentamente, come intontita.
Cerco di distinguere qualche forma familiare, qualche segno che mi dia un indizio su dove mi trovo. Aguzzo la vista, e riesco a vedere parte di cosa mi circonda. Sono in una piccola stanza di mattoni, grigi probabilmente, seduta su una sorta di lettino di ferro, e vedo su una parete una porta.
Mi alzo in piedi, barcollando leggermente sulle mie gambe.
Non riesco a mantenere bene l'equilibrio, la vista mi è leggermente offuscata.
Dove diavolo sono? Cosa caspio è successo?
Raggiungo la porta, e abbasso la maniglia.
È chiusa, naturalmente.
Guardo verso l'alto, dove suppongo possano esserci delle telecamere.
- Allora? - grido, ho la voce roca - Siete contenti, ora? Cos'altro volete da me? -
Non succede nulla.
Prendo un profondo respiro, e mi lascio scivolare a terra, a sedere contro una delle spoglie pareti grigie.
L'unica cosa positiva, è che mi ricordo tutto ciò che è accaduto alla Radura. Non si sono presi i miei ricordi, non di nuovo.
Ma ancora non capisco perché sia in questa piccola camera, così tetra e scura.
Se volevano che tornassi indietro, perché poi mi hanno abbandonata qui?
Non so come spiegarmelo.
Non indosso più i miei abiti della Radura, mi sento pulita e fresca come dopo una lunga doccia.
Come è possibile?
Altro grande mistero.
Decido allora di rimanere seduta, a pensare, dato che non posso fare nient'altro.La porta si apre con uno scatto secco.
Da quanto tempo sono qui sola? Non lo so. Almeno due ore.
Alzo gli occhi, mentre una forte luce bianca si sprigiona dalle lampade al led sul soffitto.
C'è una figura, proprio sulla soglia della porta. Stringo gli occhi, cercando a fatica di metterla a fuoco a causa dell'improvvisa luce accecante.
È una donna, alta, sui quarant'anni.
Indossa un tallieur grigio cenere, porta i capelli biondi stretti in uno cignon alto sulla testa, che la fa somigliare a una caciotta. Quasi mi verrebbe da ridere, a pensare alla reazione che avrebbe Minho a questo mio commento.
Sento un'improvvisa fitta di dolore solo a pensarci.
Non devo farlo.
La donna mi squadra.
Non ha un'espressione cattiva, anzi. Sembra piuttosto gentile.
Ma, se quello che i ragazzi mi hanno detto della C.A.T.T.I.V.O. è vero, è tutta una farsa, e questa tizia è solo un'altra bastarda.
E io credo prima di tutto a loro.
- Buongiorno, signorina Giuliana. - esordisce.
Tra tutte le domande che vorrei porle, quella che spicca di più è: "Giuliana"?!
- Ora può alzarsi, e avvicinarsi, non corre alcun pericolo. - continua, con un lieve sorriso cordiale.
La guardo sospettosa. Sembra troppo cordiale.
Poi, lentamente, mi alzo in piedi.
Ora vedo meglio la stanza in cui mi trovo: è esattamente come la avevo immaginata, con la differenza che una parete non è grigia, bensì interamente a specchio.
- Immagino che sia tutto molto confuso per lei ora, e immagino che abbia molte domande da porgermi, ma, se permettete... - inizia.
- Chi caspio sei tu? - chiedo, il tono più sprezzante di quanto pensassi mi fosse possibile.
La donna mi guarda inarcando un sopracciglio.
- Gradirei se utilizzasse parole più consone, signorina. - replica, facendo difficoltà a mantenere il tono gentile.
- Io parlo come cacchio mi pare. E ti ho fatto una domanda, se non sbaglio. - sibilo a denti stretti.
La donna strabuzza gli occhi, e non dice nulla per un po'. Poi sospira, guardandomi con la testa lievemente inclinata, come se mi stesse studiando.
- Immagino che sia naturale, un tale degrado, dopo l'esposizione a soggetti così particolari... - la sento borbottare tra se è sé.
Aggrotto le sopracciglia.
Di cosa diavolo sta parlando? Soggetti?
Poi si schiarisce la gola, e si stampa un sorriso tirato e visibilmente finto sulle labbra sottili.
- Bene. Si, ho sentito la tua domanda. Sono la Dottoressa Elen Smith, sono... - dice.
- Lavori per i Creatori? - la interrompo.
Vedo la sua mascella contrarsi per alcuni secondi.
- Sì. Io... - riprova, seccata dalla mia interruzione.
- Mi basta e avanza. - replico gelida, appoggiandomi al muro dietro di me con le braccia incrociate.
- Non vuoi sapere nient'altro? - insiste l'altra, sta evidentemente perdendo la pazienza - Se mi seguissi, potrei mostrarti... -
- I miei amici. I Radurai. Stanno bene? - la interrompo di nuovo, solo per irritarla.
Lei sospira esasperata, assottigliando lo sguardo.
- Sì, stanno tutti bene. - risponde - Non avremmo mai proceduto, data l'importanza di alcuni soggetti in particolare. -
Aggrotto le sopracciglia.
- Cosa intendi dire? - replico.
La donna fa roteare gli occhi.
- Non avremmo mai eliminato i tuoi amici. Non ora, per lo meno. Sono troppo importanti. - risponde.
Sgrano gli occhi.
- Cos... - inizio, mentre inizio a prendere coscienza di quello che effettivamente ha detto.
Non li avrebbero uccisi. Era un bluff. Newt aveva ragione.
- Quindi, è stato tutto fottutamente inutile? - sibilo a denti stretti, staccandomi dal muro, e facendo qualche passo verso la donna, piuttosto minacciosamente a mio avviso - Spero tu stia scherzando, brutta stronza, perché io non li ho abbandonati per niente, è chiaro? -
La "Dottoressa" non si sposta di un millimetro.
- Modera i toni, ragazzina. - risponde. - Tu non sai niente. Sei nell'ignoranza più totale. -
Riduco gli occhi a due fessure.
- Chiudi quella fogna, stupida testapuzzona - grugnisco.
Poi, agisco senza pensare. Che novità.
Le salto addosso, letteralmente, facendola cadere a terra.
Cerco di afferrarla per la gola, almeno credo.
Voglio solo farle più male possibile.
Da dove viene tanto odio?
Non lo so.
Sta di fatto che, dopo pochi secondi, sento delle braccia forzute strapparmi via dalla donna, mentre le sbraito contro ogni genere di insulto.
Guardo alle mie spalle, cercando di divincolarmi, ma subito altre mani si stringono attorno alle mie braccia.
Ci sono due uomini, in una strana tuta blu, che mi trattengono dall'avventarmi di nuovo contro la dottoressa.
Si era portata dietro delle guardie. Evidentemente si aspettava questa mia reazione.
Perciò, non ho più dubbi: questa gente non è come dice di essere.
Noto con piacere un graffio sulla guancia della donna, probabilmente provocato dalle mie unghie. Lei si passa un dito su di esso, lasciandosi una striscia di sangue sul volto.
Sorrido in maniera alquanto inquetante.
- Mi dispiace, non siamo riusciti a fermarla in tempo... - inizia una delle guardie ai miei lati.
Ognuna delle due mi tiene per un braccio, impedendomi di muovermi.
La donna non sembra sentirla nemmeno, e mi raggiunge, fermandosi a pochi centimetri dal mio viso.
Ha uno sguardo di ghiaccio.
- Sei solo una stupida ragazzina, Giulia. - sibila, prendendomi il mento con due dita. Io cerco di divincolarmi dalla sua presa, ma lei conficca le unghie nella mia carne, io stringo i denti per non urlare dal dolore. Non le darò questa soddisfazione. - Non sai niente. Non ricordi niente. - dice - Ma a questo rimedieremo. L'operazione è fissata ad... oh, ad adesso. - dice, fingendo di dimenticarsene - E farò in modo che sia il più dolorosa possibile. -
Io, in tutta risposta, sputo a terra.
Se prima questo gesto tipicamente maschile, compiuto da Minho, mi faceva
schifo, ora lo trovo perfettamente sensato.
Mi accorgo con una certa soddisfazione della faccia schifata che fa la donna.
Non riesco a capire nulla di quello che dice. Di che operazione parla?
Ma soprattutto, perché questa bastarda mi odia tanto?
Evidentemente la domanda mi si deve leggere negli occhi, perché lei sorride fredda.
- Non sai nemmeno perché sei arrivata nella Radura, vero? -
Qui mi coglie di sorpresa.
Ha ragione, non ne ho idea.
Sono curiosa, ma non devo darlo a vedere.
- Non mi interessa - replico gelida.
- Lavoravi per noi, Giulia. Eri una delle guardie addette ai soggetti del Gruppo B. - ribatte comunqur - Ma poi ci hai tradito. - sibila - Dopo tutto quello che avevamo fatto per te, ci hai tradito. Ti sei spedita nel Gruppo A, sostituendoti a uno dei soggetti. Stavi per rovinare tutto. Tutto il nostro lavoro. -
Io la guardo sbalordita, senza capirci un caspio. Di cosa sta parlando?
No, non è possibile. Deve essere un'altra farsa.
- Oh, ma non preoccuparti. Dopo l'operazione ricorderai. Capirai. E te ne pentirai. Ti pentirai di averci tradito. - aggiunge con un ghigno malefico.
Poi si allontana, e si rivolge alle guardie.
- Portatela al Laboratorio 10. - ordina.
Entrambe annuiscono, e iniziano a trascinarmi, non senza difficoltà, verso un lungo corridoio bianco, lasciandoci la donna alle spalle.Dopo aver attraversato parecchi corridoi tutti uguali, ci fermiamo davanti ad una doppia porta scorrevole.
Sopra, torreggia una targa di metallo, con su scritto a caratteri cubitali: "Lab. 10".
Una delle guardie sfila qualcosa dalla tasca dei pantaloni.
È una sorta di carta magnetica, che, quando l'uomo la fa scivolare su un pannello a destra, fa aprire la porta. La oltrepassiamo, ed entriamo in una strana, grande, stanza bianca, con solo tanti tavoli metallici e degli strani apparecchi sospesi sopra di essi. Le guardie mi lasciano andare, senza dire una parola, ed escono in fretta dalla stanza, prima che possa aggredirli di nuovo.
Mi guardo intorno, di nuovo sola.
Cos'è questo posto?
Mi volto verso la porta scorrevole, ma naturalmente non è apribile dall'interno senza la carta.
Provo a forzarla, le dò dei forti pugni sperando di romperla, invano.
- Ogni tuo sforzo sarà inutile, il vetro è antiproiettile. - mi avverte una voce maschile, che scopro provenire da un'altoparlante appeso in alto a destra. - Ti consiglio di conservare le forze, l'operazione sarà piuttosto invasiva. -
- Chi sei? Cosa volete da me?! - grido.
- Oh, più di quanto immagini. - dice chiunque sia oltre l'altoparlante, evitando di rispondere alla prima domanda.
- Cos'è questa operazione di cui parlate? - chiedo, confusa, arrabbiata, stanca.
Stanca di tutto questo casino.
- Rimuoveremo un dispositivo impiantato nel tuo cervello: ti restituiremo i tuoi ricordi. - risponde.
Sgrano gli occhi.
Non sono certa di volerli riavere indietro. Sto bene così, grazie.
- E se io non li volessi? - replico, senza essere certa di voler sapere la risposta.
- Sta tranquilla, non sarà doloroso. - dice.
Ha evitato un'altra volta di rispondere.
Significa che, con tutte le probabilità, me li restituirebbero a forza.
La domanda che mi pongo è: perché vogliono che abbia i miei ricordi? Ma non mi azzardo a darle voce, perché tanto sarebbe inutile, l'uomo non mi risponderebbe.
- Bene, lo staff medico è pronto. Ti consiglio caldamente di non opporre resistenza, se vuoi evitare complicazioni. - dice la voce.
Io non rispondo, senza parole. Sto per ricevere i miei ricordi. Sta succedendo tutto così in fretta, troppo in fretta.
Nemmeno un giorno fa ero con i miei amici, nella Radura, immersa in una sorta di sicurezza fittizia, e oggi sto per essere operata al cervello in un laboratorio.
Non biasimatemi se ho davvero paura. Ma non voglio darlo a vedere.
Non devo. Sono più forte di loro.
Posso farcela.
La porta scorrevole si apre, ci sono quattro persone sullo stipite, due donne e due uomini. Indossano dei camici bianchi, come dei veri medici.
Vedo dietro di loro le guardie, ora armate di grandi fucili dalla forma curiosa.
I quattro si fanno avanti.
- Buongiorno. - dice una delle donne - Immagino che sia già stata informata di a che tipo di operazione sarà sottoposta. -
Annuisco piano.
- Allora la prego di distendersi sul lettino dietro di lei - dice indicando uno dei lunghi tavoli di metallo.
Ah, allora sono letti.
Faccio come mi dice, lentamente.
I quattro torreggiano sopra di me, come dei giganti mostruosi.
- Sentirai solo un lieve pizzicorio, e forse avrai un po' di mal di testa all'inizio - dice la donna che ha parlato prima. - Pronta? -
Annuisco di nuovo, anche se no, non sono pronta. La donna guarda i suoi colleghi.
- Procediamo - dice.
Inizia ad abbassare uno degli strani macchinari verso il mio viso.
Sembra una grande maschera, con dei tubi in corrispondenza della bocca e del naso, collegata con dei cavi ad una specie di computer.
Lo fisso, sgranando gli occhi.
- Non farà alcun male - dice un uomo- Rilassati -
Cerco di calmarmi, e chiudo gli occhi.
Andrà tutto bene, mi ripeto più volte.
Mi calano la maschera sul viso. Inizio a respirare pesantemente attraverso di essa, in ansia. I medici smanettano con dei pulsanti sul computer, guardando lo schermo.
- Il soggetto è pronto. - dice l'altro uomo.
- Perfetto. - risponde la donna di prima.
Sento degli strani "bip bip", sempre più veloci.
Poi, accade tutto improvvisamente.
Se potessi, urlerei.
Dolore.
Dolore lancinante.
È insopportabile.
Chiudo gli occhi, stringendoli forte dal dolore. Piango senza fare alcun rumore.
Perdo i sensi.Angolo aurtice
¡Buenos dias!
Vi è piaciuto il capitolo?
Ora, miei cari, inizieranno i casini veri. Già, perché per ora, nella, tutto sommato, sicurezza della Radura, non è successo molto, e probabilmente tutte cose già lette e rilette su altre ff di Wattpad... spero di essere riuscita a non annoiarvi, in realtà 😅 In ogni caso, cosa pensate che succederà a Giulia? Il nostro caro Newt ha giurato a se stesso che la troverà, ma riuscirà a mantenere la parola?
Mi sa che vi lascerò con il fiato sospeso per un po', dato che devo finire di mettere a posto i capitoli successivi, quindi aspettatevi il prossimo capitolo almeno tra una settimana sorry😬😏
Bye bye 🤙
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L'Errore
Fiksi PenggemarGiulia. Il suo nome, questo è tutto ciò che sa di sé, oltre al fatto di essere particolarmente testarda. Cosa succederà quando la prima ragazza arriverà alla Radura? Naturalmente, come se la situazione non fosse già abbastanza disastrosa, si introme...