Capitolo 3

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LIZ
Ella apre lentamente una porta ed entriamo nella stanza. Devo dire che mi piace molto: è molto semplice, con due letti con un comodino vicino, su cui è poggiata una lampada, due armadi, due scrivanie e una finestra. Il parquet è liscio e lucido. Una scrivania è piena di oggetti: trucchi, gioielli, riviste, persino un piccolo specchio. Il tutto è perfettamente in ordine, niente è fuori posto. Presumo che Ella sia una maniaca dell'ordine.

- Non è il massimo, ma è comoda. - ammette Ella.

- A me piace. - dichiaro, avvolgendo le braccia intorno alle spalle per il freddo. L'autunno sta per arrivare, così come il gelo. La ragazza al mio fianco viene in mio soccorso, porgendomi una felpa rossa che afferro e indosso subito.

- Grazie. - sussurro, timidamente, mentre tiro su la zip dell'indumento.

- Di nulla. Tranquilla, presto accenderemo i riscaldamenti. Abbiamo un sistema di riscaldamento molto efficiente e, cosa più importante, è gratis. - Ella si siede su un letto. - Quello è il tuo. - col dito indica il letto a fianco.

- Come fate ad avere un sistema di riscaldamento gratuito, non pagate le bollette? - domando, curiosa.

- Di questo non devi preoccuparti. - mi fa un'occhiolino. I miei occhi puntano al materasso vuoto. Senza indugio, mi stendo su di esso, saggiando la morbidezza delle coperte e chiudendo gli occhi, per godere del momento. Finalmente un po' di riposo, gli ultimi giorni sono stati un inferno con tutto quello che è successo.

- Vuoi da bere? - la ragazza si alza e si dirige ad un mobiletto, vicino la scrivania. Ogni suo movimento è perfettamente aggraziato. I candidi capelli mossi le arrivano fino alle scapole, il fisico è snello, con forme del seno prosperose, la carnagione è chiarissima, a tratti bianco latte, i lineamenti del viso sono dolci, le guance rotonde, labbra poco carnose e gli occhi di un profondo azzurro.

- Sì, grazie. - non bevo da un po' e la mia gola secca reclama una bibita.

Ella mi porge una lattina di Coca-Cola, tirata fuori dal comodino.

- È gelata. - mi lamento, sentendo il gelo giungere ai denti.

- Certo, te l'ho raffreddata un po'. - afferma con un sorrisetto. Mi osserva e scoppia in una fragorosa risata. - Che faccia buffa che hai fatto. - trilla, ridendo come una pazza e coinvolgendo anche me. La sua risata è contagiosa. - Allora, dimmi: perché hai deciso di restare? - mi chiede, incuriosita.

- Non lo so. Per tutta la vita mi sono sentita speciale, diversa rispetto a tutti gli altri. Ho sempre pensato che ero una stupida, a sognare di essere diversa come i protagonisti di un libro, ma forse... con voi tutto può cambiare. E poi ormai non so più dove andare visto che... - ammetto, sincera, mentre una lacrima sfugge dal mio occhio destro. È strano che mi stia confidando, sono sempre stata una persona molto riservata.

- Capisco. - Ella mette una mano sulla mia spalla per rassicurarmi. Non mi sta più antipatica come prima.

- C'è qualcun altro oltre a te, Jack e Richard qui? - cerco di cambiare discorso, o resterò a piangere per troppo tempo.

- Li conoscerai più tardi. A parte Jack ed Helena, siamo tutti coetanei. -

- Helena? -

- Poi ti spiego. -

- Okay. Senti, perché ci facciamo chiamare exodus? - ed ecco la mia indole che si fa avanti. Sono una persona molto curiosa e faccio mille domande, a volte posso sembrare davvero fastidiosa.

- Conosci la storia di Mosè, narrata nell'Esodo? - la ragazza diventa improvvisamente seria.

- Sì. - non sono una persona molto religiosa, ma conosco le storie narrate nella Bibbia.

- Bene, Esodo significa "uscita". Noi siamo coloro che sono usciti dall'umanità. Quelle che non hanno più niente a che fare con gli umani. Ma non prenderla con un'accezione negativa. - dice la ragazza, vedendo la mia espressione triste. - Non è una brutta cosa. - si avvicina e mi scosta alcune ciocche di capelli dal viso. - Questo è il tuo destino, Elizabeth. Tu sei un exodus, e non devi vergognartene. - sussurra con tono pacato.

Questa ragazza è così dolce, mi fa piacere condividere la stanza con lei, anche se la conosco da solo qualche ora.

- Grazie mille, Ella. Ora perché non mi parli di te. - sono giusto un po' invadente, ma se devo fidarmi di queste persone, le devo conoscere fino in fondo.

- Se proprio vuoi. Sono nata qui, a Londra. Precisamente ad Earl's Court, un piccolo quartiere. I miei genitori erano due persone molto umili. Non volevano dei figli, perché le spese erano troppe. Ma una notte successe quel che successe, e ne venni fuori io. Ero una bambina tranquilla, ma sin dalla più tenera età, soffrivo di piccoli attacchi. - Ella guarda il vuoto e i suoi occhi si fanno improvvisamente malinconici.

- Di panico? -

- No, - dice con un velo di tristezza. - facevo apparire del ghiaccio. I miei genitori si preoccuparono tantissimo e mi portarono da ogni medico possibile e inimmaginabile. Non mi fecero neanche più andare a danza, sport che amavo praticare. Danzare era una certezza, un modo per sfogarmi, per essere libera. Quando me l'hanno tolta, mi sono sentita... vuota. Un giorno, però, mi svegliai con i capelli bianchi e gli occhi azzurri come il ghiaccio. Prima avevo i capelli e gli occhi castani, quindi puoi bene immaginare. I miei si scandalizzarono, cominciarono ad urlare e mi intimarono di stare lontana da loro. Terrorizzati, chiamarono la polizia. Non li riconoscevo più. - tutto questo sembra farle davvero male, forse ho sbagliato.

- I poliziotti entrarono in casa e mi presero, mentre i miei genitori mi guardavano con pena, con disgusto e vergogna. Non ero più la loro bambina. Riuscii a scappare usando questi. - alza le mani, mentre una nebbiolina bianca fuoriesce da esse.

- Ricordo che lanciai dardi di ghiaccio, creai spade e scudi per difendermi da quelle persone, ma non dimenticherò mai questa. - si abbassa una spallina del vestito e mostra una piccola cicatrice rotonda all'altezza della spalla destra.

- Come te la sei fatta? - le chiedo.

- Dopo aver messo KO un agente, cercai di scappare, ma venni colpita alla spalla. Mi girai e vidi... mia madre. Mia madre con la pistola di uno degli agenti in mano. - Ella non piange. Anzi, prova rabbia per i suoi genitori.

- Per fortuna, riuscii a scappare, e Jack mi trovò, mi portò qui e mi curò. - la ragazza termina il racconto, tirando su col naso e passandosi le mani sotto le orbite.

Che stupida che sono. Non dovevo chiederle di una cosa tanto personale.

- Mi dispiace. - riesco a dire. È l'unica cosa che mi viene in mente.

- Tranquilla, ormai non ci penso neanche più. Ho trovato il mio posto qui e anche tu lo troverai, ne sono sicura. -

Mi alzo, e il corpo si muove da solo, cingendo con le braccia il petto di Ella. Rimaniamo entrambe sbigottite da questo gesto, ma lei... ricambia l'abbraccio. Anche se ci conosciamo da poco, si sta comportando davvero bene con me e sono felice che si sia aperta subito.

- Grazie. - bofonchia. - A proposito, posso chiamarti con un diminutivo? È noioso dire sempre Elizabeth. -

- Liz... Puoi chiamarmi Liz. -

- Bene, Liz. È ora di cena, ci conviene andare. -

Non mi sono accorta che sono le otto di sera. Il mio stomaco inizia a brontolare.

Ora ne sono sicura, questo è il mio posto e devo accettarlo. Stringo il ciondolo tra le dita. No, ora devo chiamarlo totem. Sento mia madre vicino a me, come se fosse qui.

- Andiamo. - dico, e insieme ci incamminiamo verso la sala grande.

Instagram: viepsilon

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