Capitolo 1

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Ero sempre stata una ragazza perfettamente nella norma.

A scuola andavo abbastanza bene, avevo una migliore amica- Abbie, anche se ci eravamo allontanate perché si era fidanzata ufficialmente-, frequentavo i corsi pomeridiani di canto e poesia e avevo la mia ristretta comitiva di amici.

Uscivo quasi tutti i sabati quando ne avevo voglia, e avevo anche frequentato qualcuno. Che poi, ovviamente, avevo lasciato poco dopo perché quelle cose non facevano proprio per me. Mi irritava l’idea di dover sempre dare conto a qualcuno delle mie azioni, di dover stare con il cellulare in mano ventiquattro ore al giorno.

A scuola avevano tutte l’iphone. Io non ero ricca, siccome lavorava solo mia madre, ma un cellulare del genere potevo permettermelo, volendo. Mamma non aveva mai voluto comprarmelo, e mi ero rassegnata. Avrei anche potuto comprarlo da sola, trovando un lavoro part-time, ma non ne avevo voglia.

Ero schifosamente svogliata.

E mi sentivo sbagliata quasi sempre, come se fossi in un posto che non mi apparteneva. Quella storia andava avanti da quando avevo compiuto sedici anni e mi ero accorta che nemmeno Leeds faceva per me. Troppo piccola ed insignificante, con troppi abitanti pettegoli.

Ma, almeno fino a che  non avessi finito il liceo, non potevo evadere. Purtroppo per me.

Mi sentivo come in una specie di bolla, ovattata e fuori dal mondo. O meglio, fuori da Leeds. Me ne sarei andata, un giorno. Quello era poco ma sicuro.

Per questo, e per tanti altri motivi, avrei tanto voluto sapere dove fosse mio padre e perché fosse lì. Magari sarei potuta andare a vivere con lui. Sapevo che era in America, però, e questo mi bastava. Preferivo mille volte lAmerica all’Inghilterra. Ma mia mamma era muta come un pesce a riguardo.

Ricordo benissimo il giorno in cui, inaspettatamente, mi raccontò tutto.

Mi disse la verità, proprio lei, e io non potevo crederci.

Sin da bambina ero sempre stata negativa fino al midollo, paradossalmente macabra e effettivamente pessimista. Avevo pensato a trilioni di ragioni per la quale mio padre se ne fosse andato. Ma mai- MAI- avevo pensato ad una cosa del genere.

Già da anni in America, e in alcune zone dell’Inghilterra (come Leeds), erano nati dei gruppi criminali composti per lo più da una decina di persone cadauno, che si occupavano principalmente di indirizzare poveri ragazzini disagiati sulla strada dello spaccio e della droga. Oppure, e secondo me ancora peggio, comprare ragazze dai paesi al Sud del mondo- principalmente Africa e Marocco- per poi costringerle a prostituirsi.

Erano vere e proprie sette in continua competizione le une con le altre, che arrivavano addirittura ad allestire vere e proprie sparatorie per sbarazzarsi della concorrenza.

Mia madre mi disse che, una volta, uno di quei gruppi aveva ricoperto il ‘’territorio’’ di un altro di bombe ad orologeria. Avevano creato un vero e proprio campo minato, in cui morirono più di venti persone.

Fu chiamata ‘’la strage del Bronx’’, ma nessun telegiornale ne parlò mai. Da quello che avevo potuto capire, questi gruppi avevano rapporti intimi e stretti con capi di Stato e sindaci vari, per cui avevano le spalle protette.

Ed erano maestri nei ricatti.

A quel punto del racconto mi si era già attorcigliato lo stomaco.

Feci ricerche su ricerche, soprattutto sulla ‘’Strage del Bronx’’. Lessi articoli fino alla nausea, vomitai anche l’anima guardando fotografie allucinanti.

Ma, sopra ogni cosa, mi sentii sprofondare sottoterra quando lessi un articolo in particolare:

‘’STRAGE DEL BRONX’’

Coinvolti due clan, definiti anche come ‘’dominatori’’ e ‘’dominati’’.

Circa trenta persone appartenenti al clan dei ‘’TIGER’’

stamani sono morte nel Bronx, a Walls Street, in una soffiata

organizzata dal clan avversario, meglio conosciuto come ‘’DARK ROSES’’.

Le motivazioni sono ancora sconosciute, e le forze dell’ordine

sembrano completamente disinteressate.

Si spera si riesca a catturare queste sette criminali, impiegate nei campi

della droga e della prostituzione minorile, in modo da placare

queste morti continue.

In per sé questo avvenimento non avrebbe dovuto toccarmi più di tanto, anche perché era accaduto dieci anni prima e non conoscevo neanche lontanamente uno dei nomi elencati nella lista delle vittime.

Ma mi toccò, e anche parecchio.

Semplicemente perché sapevo che ogn’uno di questi gruppi aveva un capo, anche se agivano tutti insieme.

Semplicemente perché, come sapevo che il capo dei Tiger si chiamava Bill Thorne, sapevo anche il nome del capo dei Dark Roses.

Peter.

Peter Pearson.

Per il successivo anno non feci altro che tormentarmi.

Avevo la testa piena di domande, il novanta percento delle quali erano su mio padre. Avevo sempre creduto fosse un brav’uomo. Ennesima dimostrazione che le apparenze ingannano.

Ma la domanda da un milione di dollari era: perché? Perché aveva deciso di darsi alla malavita? Cosa l’aveva spinto a farlo? Oppure faceva parte dei Dark Roses ancora prima di conoscere mia mamma? Improvvisamente capivo perché l’aveva lasciato e sbattuto fuori casa. Anche se lo amava. Ero sicura che lo amasse. Lei non lo sapeva, ma ogni notte la sentivo piangere. Non doveva essere facile per lei, se per me- che lo sapevo da un anno- non lo era minimamente.

Avevo deciso di non rispondere più alle chiamate di mio padre, e dopo un po’ lui si arrese e non chiamò più. Sicuramente aveva capito che sapevo e che non l’avrei mai perdonato. Neanche conoscendone i veri motivi probabilmente.

‘’Ma perché?’’ avevo chiesto a mia madre, una sera. ‘’Perché ha deciso di diventare…così?’’.

Mia madre, in diciannove anni di vita, non aveva mai risposto ad una sola mia domanda su papà. Quella sera, con gli occhi lucidi, urlò addirittura.

‘’Non lo so’’ disse. ‘’Non lo so. L’ho scoperto per caso, per colpa di un giornalista. Non appena l’ho saputo ho chiesto spiegazioni ma… non lo so. L’ho solo sbattuto fuori quella sera stessa’’.

La vidi distrutta come non mai. Non aveva mai parlato apertamente di Peter, o almeno non con me. Mio padre possedeva una catena di pompe di benzina prima di… Non avevamo per niente bisogno di soldi. Ma allora, perché?

‘’Mamma’’ le avevo sussurrato, abbassandomi fino a raggiungere la sua sedia. ‘’Stai calma. Abbiamo vissuto senza di lui per tanto tempo, ce la faremo’’.

Mi sentii un verme per tutte le volte che l’avevo giudicata. Per tutte le volte che l’avevo reputata una stronza senza cervello.

Lei, ormai in lacrime, mi guardò negli occhi azzurrissimi e disse ‘’Diana… Io l’ho mandato via non solo per me. L’ho mandato via per te. Per proteggerti. Tu non hai idea di cosa sono capaci di fare quelle persone, delle ripicche e delle vendette. Eri un bersaglio troppo facile per colpire tuo padre’’.

‘’Lo so’’ riuscii solo a dire. ‘’Lo capisco’’.

‘’Ascoltami’’ aveva soffiato, prendendomi le mani con le unghie laccate di nero. ‘’Io ti ho portata via da quella vita. Non sai quante volte ho dovuto cacciare Peter, che voleva vederti. Quante chiamate ho dovuto rifiutare e quanti numeri e case ho dovuto cambiare per questo. Ti prego’’ singhiozzò ‘’Non rendere vani tutti i miei sforzi. Te lo chiedo per favore. Stai lontana da lui, d’ora in poi, e stai lontana da quella vita’’.

Avrei voluto dirle che non doveva preoccuparsi, ma riuscii solo a balbettare un flebile ‘’Mamma…’’.

‘’No’’ mi interruppe lei, asciugandosi le lacrime. ‘’Promettimelo’’.

‘’Io…’’ sussurrai. ‘’Te lo prometto’’.

Allora non avrei mai potuto neanche immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora