Capitolo 12

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Avevo così tante buste in mano, che avevo dovuto cedere la metà a Carl. Mio padre mi aveva regalato una carta di credito la settimana prima, ma non credevo che ci avesse versato su così tanti soldi.

Ne rimanevano pochi, comunque.

Carl mi sembrava un controsenso. Un ragazzo che- si vedeva da un miglio di distanza- era arrabbiato con il mondo ed odiava tutti, girava per la City con buste rosa e gialle che spuntavano da tutte le parti.

Siccome era già mezzogiorno, l’avevo costretto a portarmi in un parco che era molto simile all’ Hyde Park di Londra. Il nome era così lungo e contorto che non avrei potuto ricordarlo neanche volendo, ma quando mi aveva detto che lì vendevano zucchero filato ed hot dog avevo accettato subito.

E poi mi serviva un giro turistico di New York.

Avevamo posato le buste nella sua macchina e ci eravamo diretti verso una massa di alberi che si vedevano da km e km di distanza.

Il parco era a dir poco meraviglioso. Era molto più grande di Hyde Park, con fontane che zampillavano in ogni dove, alberi e pini che si ergevano verso l’alto come grattacieli. Non era granchè affollato, essendo ora di pranzo, ma c’erano turisti e persone che si dilettavano a fare joking.

‘’Visto che sei stato in silenzio tutta la mattinata, ti sei salvato in corner’’ ironizzai. Iniziammo a passeggiare con la promessa di fermarci al primo venditore di zucchero filato, rosa possibilmente.

‘’Sei una bambina!’’ disse, esasperato mentre gli chiedevo ogni due secondi- più o meno- cosa rappresentava una determinata scultura o monumento.

‘’Non è vero, smettila’’ sbuffai. ‘’Sono solo curiosa!’’.

‘’Ah, va anche meglio!’’.

Dopo aver parlato del più e del meno, principalmente di me e della mia vita a Leeds, decisi che il ghiaccio si era rotto abbastanza e potevo evitare di mettermi dei freni. Nei limiti del possibile.

‘’Carl?’’.

‘’Cos’altro c’è?’’ disse. Ma avevo imparato a capire quando scherzasse e quando no, e quella era senz’altro una battuta. Non era poi così illeggibile, solo…strano.

‘’Perché Zayn ti chiama Lucifero? E non rispondere in modo ambiguo’’.

Lo vidi chiaramente sorridere sotto i baffi e scuotere la testa. ‘’La conosci la storia di Lucifero?’’.

‘’No’’.

‘’Lucifero era uno degli angeli più belli del paradiso, ma- per colpa della sua bellezza- divenne pieno di sé ed iniziò ad annunciare di essere più bello di Dio. Il Signore, per punizione, lo lanciò all’inferno. E la leggenda narra che Lucifero attraversò tutto l’inferno e si incastrò nell’ultimo girone, e rimase bloccato lì per sempre. Nonostante questo continuò a mentire, dicendo che non aveva mai voluto essere migliore di Dio’’.

Ero leggermente confusa.

‘’E quindi, qual è il nesso logico?’’.

‘’Zayn mi chiama Lucifero perché- evidentemente- mi reputa una specie di diavolo’’ sorrise. ‘’E perché mi reputa bugiardo’’.

‘’E lo sei?’’ indagai.

Lui mi guardò e scosse la testa, sorridendo per l’ennesima volta quel giorno. ‘’Forse. Tutti mentono’’.

‘’Che poeta!’’ scherzai.

In quel momento vidi da lontano il venditore di zucchero filato. Lanciai un urletto poco adatto ad una ragazza di ventuno anni, e presi Carl per la mano trascinandolo verso la bancarella. ‘’Ma vacci da sola!’’ si lamentava lui, mentre lo tiravo con tutta la forza che avevo.

‘’Dai, dai, dai! Vieni con me!’’ supplicai, facendo la voce da bimba per irritarlo ancora di più. Lui scosse la testa più volte, ma alla fine si arrese.

‘’Due zuccheri filati’’ ordinai.

‘’Non lo mangio, Diana! Questo non lo faccio proprio’’ si rifiutò categorico. Effettivamente non era neanche il tipo, ma mi sentivo in soggezione a mangiare da sola. Anche se lui insistette per il contrario, pagai io entrambe le ordinazioni e glielo lanciai quasi dietro.

‘’Se non lo mangi mi offendo’’ dichiarai, mentre riprendevamo a camminare.

‘’Ma è una cosa ridicola! E le mani diventano appiccicose’’.

‘’E le lavi. Ci sono trilioni di fontane. E dai, Lucifero’’ sorrisi.

Alla fine, vinsi ancora una volta. Era strano mentre mangiava lo zucchero filato. ‘’Come cazzo si mangia questo coso?’’ si lamentò.

Io mi bloccai di colpo. ‘’Non mi dire che non hai mai mangiato lo zucchero filato! Alle feste e alle fiere lo vendono praticamente dappertutto’’.

‘’Non sono mai andato a questi…eventi’’ scrollò le spalle, guardando il dolce come se fosse una cosa aliena.

‘’I tuoi genitori non ti ci hanno mai portato?’’ mi lasciai sfuggire. E dal colorito che prese il suo volto capii di aver detto qualcosa di sbagliato. Ma insomma, c’era qualcuno dei Dark Roses con cui avrei potuto parlare liberamente?

‘’No’’.

Io non sapevo che dire. Mi avvicinai a lui, forse anche troppo, e staccai un pezzo di zucchero filato con le mani.

‘’Avanti, a mamma, apri la bocca!’’ risi.

‘’Ma che cazzo fai?’’ cercò di fare il serio, indietreggiando. Ma si vedeva che stava morendo dalla voglia di ridere.

‘’E dai, piccolino, non fare i capricci!’’ ingrossai la voce. ‘’Quando viene papà poi sono guai. Dai, apri la bocca’’ mi avvicinai di nuovo a lui.

Stavolta iniziò a ridere e non si allontanò. Era un osso duro.

‘’Su su Carl, comportati bene altrimenti a Natale Santa Claus non ti porta la pista lego! Apri la bocca’’.

Lui, cercando di trattenere la ridarella, aprì la bocca con una lentezza quasi esasperante. Alla fine, trionfante, avvicinai il pezzo di zucchero filato ma- proprio mentre era ad un millimetro dalle sue labbra- lo mangiai io.

Scoppiai a ridere e lui rimase allibito, prima di imitarmi. ‘’Sei una stronza!’’ disse, avvicinandosi ed iniziando a farmi il solletico.

Io, cercando di non far cadere lo zucchero filato a terra, mi dimenai. ‘’No, ti prego!’’ ansimai, fra le lacrime. ‘’Il solletico non lo reggo’’.

‘’Lo immaginavo’’ sogghignò lui.

A finale riuscii a liberarmi, e mi asciugai gli occhi dalle lacrime. ‘’Ora sarà colato il mascara e sembrerò Joker, tutto per colpa tua!’’ ironizzai.

Ma lui non mi fece finire di parlare e proseguire con la mia trafila di insulti, perché mi si avvicinò e mi baciò.

E non sapevo se essere più sorpresa per quello che aveva fatto, e per il fatto che avevo ricambiato il bacio. Carl era freddo fuori, ed avevo il vacuo sospetto che lo fosse anche dentro.

Quando ci separammo, non trattenni la lingua.

‘’Che cazzo fai?’’ sussurrai.

‘’Ti bacio’’.

‘’E perché?’’.

‘’Perché era da sedici anni che non mi sentivo un ragazzo normale’’.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora