Capitolo 5

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Con mia somma sorpresa, quella notte, riuscii a dormire. A parte qualche sogno i cui soggetti erano pistole e coltellacci, non mi svegliai neanche una volta.

A casa mia, soprattutto nel periodo invernale, mi svegliavo sempre alle tre. Mi alzavo, andavo in cucina e mi preparavo una tazza di latte al cacao. Era sempre stato così, da quando avevo compiuto diciotto anni. Ed ora ne avevo ventuno, per intenderci.

Era questa la mia preoccupazione: che mi svegliassi e non sapessi che fare. Se non bevevo quella stramaledettissima tazza di latte caldo non sarei mai riuscita a dormire di nuovo. Era fisiologico. Ma non fu così.

Dormii davvero bene, anche perché la casa era molto più silenziosa della mia. Senza il rumore incombente e fastidioso di quella lavatrice di merda che mamma si ostinava a non voler cambiare, perché ‘ci era abituata’, senza quell’odioso ticchettio di quell’altrettanto odioso orologio a pendolo che mia nonna aveva regalato a Lana.

Iniziai a pensare che forse erano proprio quei rumori che non mi facevano dormire bene, a Leeds. Già. Leeds…l’avevo sempre considerata casa mia. Era casa mia, no? Tecnicamente, lo era ancora. Avrei chiamato presto mia madre, comunque.

Mentre mi rigiravo placidamente sotto le coperte di lana, qualcosa mi svegliò. ‘’Fantastico’’ pensai, vedendo che erano solo le quattro del mattino. ‘’A quanto pare sono destinata a svegliarmi nel bel mezzo della notte’’.

Il rumore che avevo sentito, poco dopo, realizzai che fosse un urlo. Un maledetto urlo. Chi cazzo urlava alle quattro di mattina? In un gesto inconsulto e convulso, mi catapultai fuori dal letto e uscii nel corridoio. Era lunghissimo, e pieno di porte. Stanze di cui, supponevo, la metà fossero vuote.

Il mio primo pensiero fu mio padre.

Chissà perché, forse semplicemente perché era diventato la mia ossessione. Ma, in quel momento, sentii di nuovo quell’urlo, che proveniva dalla camera di fianco alla mia.

Siccome nessuno uscì dalla sua stanza, pensai che l’avessi sentito solo io. O forse era un’abitudine. Sperai per la prima.

Senza neanche pensarci e spinta dall’istinto che mia madre mi aveva sempre trasmesso, essendo infermiera, ruzzolai verso quella stanza e bussai alla porta. Piano. Ma nessuno rispose. Sospirai, essendo in imbarazzo e in pigiama, e provai di nuovo a bussare.

Forse era Zayn.

‘’Zayn vai via!’’ sentii dire dall’interno. No, sicuramente non era Zayn. Mi pareva la voce di Ted, ma lui alloggiava al piano inferiore.

‘’Non…’’ balbettai ‘’Non sono Zayn. Sono Diana. Va tutto bene?’’.

‘’Vai via comunque’’ disse, attraverso la porta. Fu allora che capii chi fosse. Mi sorpresi di non aver riconosciuto la sua voce roca subito. Carl. Il rosso. O Lucifero. O come altro diavolo si chiamava. Ora avevano anche i nomi in codice, quelli della Dark Roses?

Feci per andarmene, ma volli assicurarmi che…almeno non stesse morendo. ‘’Vuoi che…chiami Zayn? O mio padre?’’ chiesi.

‘’No!’’ esclamò lui. ‘’Assolutamente no. Vai a letto, angelo’’ sentii dire.

‘’Sicuro?’’.

Non ce lo volevo un morto sulla coscienza. E neanche il senso di colpa. Come si dice? Prevenire è meglio che curare.

Lui non rispose, ma sentii dei passi e mi irrigidii. Probabilmente si stava dirigendo verso la porta, ed era scalzo. Mi stava aprendo la porta? Non ebbi il tempo di scoprirlo, perché sentii una voce dietro di me che mi fece sobbalzare.

‘’Che cazzo ci fai tu qui?’’ urlò Zayn, cogliendomi di spalle. Con un movimento fulmineo mi girai verso di lui, e finsi di non essere morta di paura. ‘’Ho sentito un…’’.

Ma Zayn non mi fece terminare la frase, perché mi afferrò saldamente un braccio e mi condusse nella stanza di fronte la mia. La sua. Era identica a quella che avevano affidato a me, forse erano tutte uguali, solo MOLTO più disordinata,

Non mi aveva ancora lasciato il braccio, e sentivo il sangue che aveva smesso di fluire nelle mie vene.

‘’Non’’ ringhiò, scandendo le parole. ‘’Non avvicinarti mai più a lui, sono stato chiaro ragazzina?’’.

‘’Guarda che ho quasi sei anni in più di te’’ lo sfidai, facendo solo sì che stringesse ancora di più il mio esile braccio. Dio, quanto era forte!

‘’Mi passa per il cazzo’’ sputò. ‘’Stai lontana da Lucifero’’.

‘’Non mi pare di averlo mai voluto sposare. E poi perché lo chiami Lucifero?’’ sentenziai, con chissà quale spavalderia. In realtà sotto la luce tenue della lampadina di Zayn, lui mi faceva un po’ paura. Pieno di tatuaggi, con gli occhi davvero troppo scuri e profondi.

‘’Perché è rosso e… bugiardo. Ma non sono fatti tuoi. Diana, non sto scherzando. Mi hai capito?’’.

Che Zayn fosse innamorato di Carl, non riuscii a capirlo. Comunque annuii, principalmente perché il mio braccio stava diventando viola. Ma lui continuò a fissarmi e non mi mollò neanche allora.

‘’Zayn’’ sussurrai. ‘’Lasciami’’.

Lui abbassò lo sguardo sulla sua mano che stritolava il mio braccio, e sgranò gli occhi. Ebbi come l’impressione che non se ne fosse nemmeno accorto. Mi lasciò immediatamente, scuotendo anche la testa.

Io, che senza rendermene conto mi ritrovai attaccata al muro, mi allontanai e feci per uscire. Ma lui, con la voce, mi bloccò.

‘’Hai paura di me?’’ chiese. E non c’era neanche lo scheletro di un’emozione, in quella domanda. E nemmeno nei suoi occhi, che mi voltai a guardare tre secondi dopo.

‘’Perché dovrei?’’ incrociai le braccia al petto.

‘’Lo fanno tutti. E non mi conosci, per giunta’’.

Scossi la testa. Ma che razza di domande faceva? E non mi aveva mai dato ragione per avere paura di lui, a parte quell’innocua stretta al braccio. In poco tempo, paradossalmente, avevo capito che tutti avevano paura o perlomeno timore di Zayn. Quasi tutti. Forse, anzi quasi sicuramente, l’unico che riusciva a domarlo e controllarlo era mio…nostro padre. Mi era ancora impossibile crederci.

Ma io non credevo di avere paura di Zayn.

Oddio, secondo me, sotto tutti quei percing, quei tatuaggi e quelle muraglie che aveva abilmente eretto attorno a se, c’era una persona…normale. Un ragazzo come tutti gli altri.  Anche se era cresciuto chissà dove, anche se a cinque anni sparava, e anche se faceva parte di un clan criminale.

‘’Penso che dovresti andare a dormire, Pearson’’ gli dissi, girandomi di nuovo verso la porta. ‘’E anche renderti conto di una cosa’’.

‘’E sarebbe?’’.

Quando parlai, ero già con mezzo corpo fuori dalla stanza. ‘’Che forse, solo forse eh, fai più paura a te stesso’

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora