''Stai piangendo?''
La voce di Carl fece quasi l'eco nella mia stanza quasi spoglia, a parte i miei bagagli rovinosamente gettati a terra.
Asciugai le lacrime e il mascara colato, cercando di ritrovare un briciolo di contegno e di autocontrollo. Ultimamente, mi mancava anche quello. Soprattutto quello.
''No'' dissi, rude. ''Saranno...i pollini''
Ero seduta sul pavimento, come mio solito, con la schiena appoggiata alla spalliera del letto in mogano. La testa che girava, un senso di vuoto incolmabile. Era una settimana che stavamo a Leeds, per impiegare il tempo avevo trovato lavoro in un bar poco lontano da casa e che non conoscevo nemmeno io prima. Tuttavia, mi sentivo tremendamente vacua. Non sapevo nemmeno perché. Forse essere così vicina a mia madre ma così lontana mi distruggeva, o forse mi dilaniava anche essere così lontano da Zayn. Avevo provato a chiamarlo due volte. Non ne aveva risposto neanche una.
E mi sentivo...sola? Ci si può sentire soli senza motivo?
E mi sentivo come se a nessuno importasse di me e di come stessi. Forse erano complessi da ragazzina viziata, ma mi sembravano così insormontabili che tremavo. Forse mio padre aveva sempre voluto solo questo: trovare il pretesto per mandarmi via senza sentirsi in colpa. Altrimenti perché non avrebbe dovuto chiamarmi? Anche lui non aveva risposto, quell'unica volta in cui l'avevo chiamato.
Carl era fuori tutto il giorno, a fare chissà cosa. Christine lo stesso, e poi non mi avrebbe capita comunque. Nessuno l'avrebbe mai fatto.
''Si, certo'' ironizzò Carl, sedendosi accanto a me.
''Non hai qualcosa da fare, come sempre?'' lo aggredii. ''Al momento sono impegnata''
''A fare cosa?'' domandò. ''A piangerti addosso?''
Io mi infuriai di brutto. ''Non mi sto piangendo addosso. Sto cercando di rimettere insieme i pezzi''
''I pezzi di cosa?'' sbottò.
''Della mia vita!'' urlai quasi, alzandomi ed iniziando a sistemare solo allora i bagagli. ''Lasciami in pace, Carl. Torna dai tuoi demoni e dai tuoi incubi, che tanto non mi capisci uguale''
Lui rimase seduto, immobile, a fissare la sua immagine riflessa nello specchio che aveva di fronte, e sospirò.
''Avevo a mala pena un anno'' disse.
Io mi voltai verso di lui, senza capire. ''Come?''
''I miei genitori evidentemente non mi avevano mai voluto'' continuò. ''Avevo quasi un anno quando mi lasciarono in collegio. Abitavamo a New York, il collegio era poco distante dal mio vecchio asilo''
Io mi immobilizzai, perché credevo di aver intuito cosa stava per fare. Il Carl duro e pieno di segreti stava crollando. Carl Stymest, proprio colui che credevo incrollabile, mi stava raccontando il motivo per cui stava male. Il motivo per cui i suoi occhi azzurri erano sempre ed inevitabilmente tristi.
''E dopo?'' lo spronai.
''E dopo crebbi lì per sei anni. Io...non riesco nemmeno a ricordare i volti delle suore e della direttrice, tanto voglio dimenticarli'' la sua voce era rotta e io capii.
''Cosa ti hanno fatto?'' sussurrai, quasi avessi paura che Christine ci sentisse.
''Per cinque, lunghissimi, anni ho sopportato di tutto. Le suore erano...perdevano la pazienza facilmente''
''Ti picchiavano?'' chiesi conferma, sconvolta.
Lui non rispose, ed io interpretai quel silenzio come un si. Improvvisamente mi era più facile immaginarlo dilaniato e malinconico, più facile anche immaginare i suoi incubi. Cinque anni erano tanti.
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Mors omnia solvit
FanfictionMi guardò con quel suo sguardo vispo e tremendamente tenebroso, poi si fece improvvisamente serio. Questa fanfiction non è scritta da me bensì da una mia amica che l'ha pubblicata su efp. Le ho chiesto il permesso, quindi eccoci qui! Per chi voless...