Capitolo 11

58 2 0
                                    

Quella mattina avrei volentieri ucciso qualcuno seriamente, senza nemmeno pentirmi. Erano due notti che non riuscivo a dormire, perché la faccia di quell’uomo del cazzo continuava ad apparirmi in sogno.

Non ero un’assassina. Non avevo ucciso nessuno. E allora perché mi sentivo così in colpa? Avrei dovuto farmela passare, e anche urgentemente.

Come se non fosse abbastanza, Carl aveva urlato nel sonno praticamente ogni notte e mi era ancora più difficile coricarmi. Sembrava un film dell’orrore, e la piega che stava prendendo quella storia- la mia- non mi piaceva per niente.

Volevo Leeds, volevo mamma e volevo casa mia. Che era la metà, anzi i tre quarti, di quella ma poco importava.

Quella mattina, visto che- come al solito- nessuno era in casa, decisi di infrangere le regole. Non seppi perché, ma mi venne una voglia immensa di ritornare in quella palestra. Visto che i Dark Roses mi avevano categoricamente vietato di andare in giro per il Bronx- e nemmeno ci tenevo- il tempo doveva passare in qualche modo.

La strada la ricordavo molto bene ed in quei giorni avevo continuato a sentire musica sparata a tutto volume.

Quando vi entrai, principalmente per fare la superiore visto che ero la figlia di PETER PEARSON, fui accolta da una sola ragazza. Era la stessa che avevo notato la volta scorsa, al centro della sala. Stessi capelli castani, stessi occhi scuri, stessa pelle diafana. Doveva essere l’unica lì dentro ad essere inglese.

‘’Nikita non c’è?’’ domandai, visto che non avevo assolutamente nulla da dire.

E quando lei rispose ‘’sono tutte a lavoro’’, provai l’istinto di chiederle perché lei fosse lì e non con loro. Ma mi trattenni, non sarebbe stato carino.

‘’Ah’’ dissi, portando le mani all’interno del mio jeans a cavallo basso. ‘’E tu che fai? Balli?’’.

Lei sorrise così velocemente che pensai di essermelo immaginato, e forse fu così. Questo non lo seppi mai. Si passò una mano nei capelli lunghi e disse: ‘’Ho la bronchite, e non ce la faccio a stare al freddo. Nikita ha aspettato che peggiorasse per rendersene conto’’. E fu scossa da un forte spasmo di tosse. Era palese che non stesse bene, e Nikita doveva essere una donna di marmo per averla costretta ad andare in mezzo ad una strada per chissà quanto tempo.

‘’Perché non ti ribelli?’’ mi lasciai sfuggire. La sua espressione corrucciata mi fece capire che avevo appena detto una grandissima minchiata.

‘’Perché non posso’’ sussurrò. ‘’E poi Zayn mi ucciderebbe’’.

‘’Che cazzo c’entra Zayn?’’ chiesi, punta sul vivo. ‘’E poi non farebbe proprio nulla’’.

‘’Non è come sembra, Diana. Si comporta bene perché sei sua sorella’’.

‘’Cosa? Cosa te lo fa pensare che lo faccia solo per questo?’’.

‘’Lo so e basta’’ sussurrò. Mi si avvicinò e mi tese la mano. ‘’Comunque piacere, mi chiamo Aisha Hakman’’.

Io strinsi la sua mano dicendo: ‘’Tanto il mio nome lo conosci già’’.

E da vicino mi resi conto che era molto più bella, e nemmeno tanto scontata. ‘’Sei straniera?’’.

‘’Ucraina’’.

‘’E…come mai sei qui?’’.

‘’Una serie di eventi sfortunati’’.

E allora capii che aveva dei segreti che non avrebbe mai detto, tantomeno a me. Capii che quella non era la vita che avevo scelto, ma una vita che mi avevano imposto. E forse era stato lo stesso per lei. Forse dovevo accantonare i pregiudizi.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora