Capitolo 26

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Le mani di Zayn stringevano la mia vita quasi disperatamente, mentre le mie erano nei suoi capelli. E se fino ad allora avevo pensato che Zayn fosse inarrivabile, invincibile ed apatico dovetti ricredermi. Sentivo il suo cuore battere veloce, forse anche più del mio, e niente in quel momento avrebbe potuto farmi pensare al contrario.

‘’Mi dispiace’’ sussurrò, fra un bacio ed un altro. Io mi fermai di colpo, guardandolo anche con una certa preoccupazione negli occhi. Zayn pareva scosso, irrequieto più del suo cuore e non riuscivo neanche a vedere i suoi occhi.

‘’Di che cosa?’’ soffiai, quasi spaventata. Avevo l’impressione di conoscerlo da una vita, anche se erano passati solo dei mesi, e lo capivo dalla posizione della sua mascella- che qualcosa non andava.

Lui non mi rispose, e si avventò di nuovo sulle mie labbra. Avrei voluto avere la forza necessaria per respingerlo, sbattere i piedi a terra e chiedergli che diavolo intendesse dire, perché non ero stupida. Non fino al punto da credere che fossero state delle parole buttate lì per caso.

Ma non ce la feci.

Non ce la feci perché quando Zayn era distante dal mio volto di tre centimetri, o quando la distanza non c’era affatto, io non ero capace di ragionare lucidamente. Quando infilò le mani sotto la mia tshirt nera, fino a sfiorare la mia pelle vitrea e bollente, io ebbi un brivido. E cercai di autoconvincermi che l’avessi avuto per la distanza ridicola che c’era tra me e Zayn, ma sapevo che non era così. Nel momento esatto in cui sentii le sue mani su di me, mi ritornò in mente quel giorno- come immagini in fila, una dopo l’altra.

Quelle tre facce oscure si erano avvicinate a me, ed avevo capito dai loro occhi che non sarei morta ma che – io stessa- l’avrei preferito in confronto alle cose che stavano per farmi. Theo aveva un’espressione sul volto che non lasciava presagire assolutamente niente di buono, e gli altri due erano così ambigui e immersi nell’ombra di qualcosa che non riuscivo a vedere, che rabbrividii.

Mi rannicchiai alla fine del letto, ma fu inutile. Non mi mossi, non cercai di scappare, non urlai. Non subito almeno.

‘’Ma che carina che sei!’’ ironizzò Theo, sorridendo.

‘’Vaffanculo, bastardo impenitente’’ ringhiai. Se dovevo soffrire, volevo farlo per bene.

‘’Oh oh, che ragazzina ribelle’’ intervenne uno di loro, che pareva marocchino. ‘’Cosa possiamo fare a riguardo?’’.

‘’Voi che proponete?’’ sogghignò il biondo. ‘’Facciamole vedere chi comanda qui, nel Bronx’’.

E lo riconobbi dalla gamba fasciata. Era quell’uomo. L’uomo a cui, quella sera, avevo sparato.

Volevo essere dappertutto, in quel momento, ma non lì. Non con loro.

‘’Cercheremo di trattarti bene, Pearson’’.

Mi scansai di botto, allontanandomi da Zayn così velocemente che rischiai anche di inciampare, prima che potesse sfilarmi la maglia. L’ultima cosa che volevo erano i tremolii e gli occhi lucidi, ma ultimamente il mio corpo non reagiva più ai miei comandi.

Zayn mi guardava con una faccia tra lo stupito e il deluso, credo, e non c’era cosa che potesse peggiorare di più il mio stato d’animo. Avevo rifiutato la proposta di mio padre di mandarmi da una psicologa, convinta di averlo superato. Però, forse, a volte i mostri peggiori li teniamo nascosti per un po’ per paura che ci spaventino.

‘’Scusami’’ balbettai, passandomi una mano fra i capelli e sospirando. ‘’Perdonami ma…non ce la faccio’’

E la mia voce l’avrei definita semplicemente triste, se non fosse che era scandita da singhiozzi.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora