’Solo perché Ted se ne è andato non vuol dire che devi battere la fiacca, Diana!’’ si lamentò Carl, criticando per l’ennesima volta il modo in cui prendevo a pugni il sacco da box. Con ‘’allenamento’’ io non intendevo esattamente quello, ma alla fine mi andava più che bene.
‘’Non sto battendo la fiacca!’’ mi difesi, ansimando ed interrompendo i miei pugni. Il punto principale era che non avevo guantoni, Carl me li aveva proibiti. ‘’Se devi sferrare un pugno a qualcuno non avrai i guantoni, a meno che non li porti in borsa’’ aveva detto prima di iniziare l’allenamento. Nella prima ora, con Ted presente, era stato anche divertente. Ma ora che era dovuto correre a casa sua, non lo era affatto. Carl sembrava avercela a morte con me. Ted aveva detto che, per essere la prima volta, me la cavavo abbastanza bene- e ne ero convita- ma Carl sembrava invece convinto del contrario.
‘’Forza!’’ urlò.
Quello fu troppo. Dopo due ore e mezza di allenamento, quella semplice parola fu troppo- anche se l’aveva detta altre mille volte. Mi bloccai di colpo, sistemandomi la tuta grigia e voltandomi verso di lui con così tanta violenza che le punte dei capelli della coda mi graffiarono il viso.
Lo guardai rabbiosa, e lui restituì l’occhiataccia.
‘’Si può sapere qual è il tuo cazzo di problema?’’ sbottai, asciugandomi il sudore con il palmo della mano.
‘’Rispondi tu a questa domanda’’ replicò, atono.
‘’Io non ho nessun problema’’ insistetti. ‘’E tu?’’
‘’Nemmeno io’’ affermò, voltandosi di spalle ed iniziando a camminare verso l’uscita dell’immensa palestra.
‘’Dove stai andando adesso?’’ la mia voce rimbombò fra le pareti e gli specchi.
‘’In camera mia’’ continuò a camminare.
Ed io ricordai le parole di Ted- ‘’ti prego non abbandonarlo’’- e agii senza nemmeno pensare. Trovando forza da chissà dove, corsi verso l’uscita prima di lui e mi ci parai davanti.
‘’Non esci finchè non mi dici cosa ho detto, o cosa ho fatto’’
Lui si bloccò e strizzò gli occhi, come se non credesse che effettivamente ero lì e che teoricamente avrei voluto aiutarlo mentre praticamente non riuscivo neanche più a parlare.
Carl mi scrutava con quegli occhi di ghiaccio ed io ero solamente inerme.
Carl era il mio punto debole- il più debole di tutti- e ci arrivai quello stesso pomeriggio. Carl, con la sua apatia e la sua solitudine, aveva fatto breccia in ogni singola fibra del mio essere. Perché era Carl, e- per quanto potesse sembrare stupido, idiota ed impossibile- era l’unico di cui mi fidassi. L’unico che sembrava sprovvisto di una maschera, nudo con solo i suoi demoni a coprirlo.
Chissà, magari anche lui era un demone.
‘’Ti prego, Lucifero. Parlami’’ e non avevo mai utilizzato né sentito provenire da me quel tono lagnoso. Quasi preoccupato, che mi ricordava tanto quello di mia madre quando mi diceva di tornare a casa presto.
‘’Non chiamarmi così’’
Mi sembrava di non sentire la sua voce da una vita. Ma la sua voce vera, quella che aveva usato quando mi aveva accompagnato dal medico e – quando avevo scoperto di essere incinta- mi aveva confortato. Quella che aveva utilizzato quando eravamo al parco, mentre lo costringevo a comprare e mangiare zucchero filato. La voce del vero Carl, del Carl a cui volevo bene nonostante tutti gli ostacoli del mondo.
‘’Così come?’’ domandai, confusa.
‘’Lucifero’’ si strofinò il volto. ‘’Non chiamarmi Lucifero. Mi fai sentire…cattivo’’
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Mors omnia solvit
FanfictionMi guardò con quel suo sguardo vispo e tremendamente tenebroso, poi si fece improvvisamente serio. Questa fanfiction non è scritta da me bensì da una mia amica che l'ha pubblicata su efp. Le ho chiesto il permesso, quindi eccoci qui! Per chi voless...