Capitolo 7

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‘’Dovresti farti i cazzi tuoi’’.

Lui sorrise sornione, evidentemente per niente toccato dalle mie parole. Avrei voluto seriamente prenderlo a schiaffi. Chi diavolo si credeva di essere?

‘’Zayn’’ esclamò ‘Nikita’. ‘’Io e te abbiamo un conto in sospeso’’.

Zayn sogghignò, come suo solito nelle situazioni meno opportune. ‘’Non preoccuparti, Niki. E’ tutto sotto controllo’’.

Sinceramente, neanche mi sforzai di capire. C’erano troppi segreti fra quelle quattro mura, e a me faceva già male la testa e soffrivo di emicrania acuta. Quindi, che si fottessero tutti. Zayn mi fece cenno di uscire da quella sottospecie di palestra puttanesca, e io fui ben felice di accontentarlo. Una volta uscita da quella stanza, feci per recarmi in camera mia quando lui mi afferrò per un polso.

‘’Credevo che Ted ti avesse detto che non puoi assolutamente entrare lì dentro’’ disse, senza nemmeno un accenno di emozione nelle iridi.

Mi liberai dalla sua stretta anoressica. ‘’Si, ma non sono abituata ad obbedire come un cagnolino ammastrato’’.

‘’No, in effetti somigli più ad una giraffa’’.

‘’E tu ad uno scimpanzé, come la mettiamo adesso?’’ sputai, incrociando le braccia al petto. L’unica cosa che avevo voglia di fare era chiudermi in camera ed ascoltare musica house (quando la gente la reputava odiosa voleva dire che non capiva un’emerita minchia) fino a che le orecchie non mi fossero scoppiate.

Ma dalla vita non si poteva proprio avere tutto.

‘’Diana’’ esclamò mio fratello, improvvisamente più serio. ‘’Non immischiarti con quella gente. Dico sul serio. Non sono persone affidabili’’.

Allora mi passarono per la mente i volti che ero riuscita a scannerizzare. In quella palestra sembravano tutte delle grandissime stronze, in primis Nikita. Però c’era una ragazza che, ora che ci pensavo, era stata in disparte per tutto il tempo. Era la classica tipa alta un metro e uno sputo, con anonimi capelli neri e anonimi occhi scuri. In confronto alle altre era vestita, e non dava neanche minimamente nell’occhio. Se l’avessi vista per strada le avrei addirittura dato della secchiona. Quella, per dirne una, non mi pareva una ragazza inaffidabile.

‘’Non fare di tutta l’erba un fascio’’ la difesi, che poi perché? Bha.

Lui scosse la testa. ‘’Si vede che non sei cresciuta qui. Le persone si adeguano al gruppo in cui vivono. E credo di avere più esperienza di te, quindi stai alla larga da Nikita e da quelle altre puttane’’.

‘’Le tratti male, per essere tue amiche’’ sogghignai, mentre lui stava per andarsene.

‘’Difatti non sono mie amiche. Il mio unico amico è Carl, e mi basta e avanza. Ora fai la brava, principessa’’.

Poi, scomparve.

Il cielo era letteralmente plumbeo e si prospettava una grande giornata di pioggia e di lampi e tuoni. Ma, ovviamente, non vedevo il meteo da una vita e quindi non potevo saperlo.

Quel giorno faceva un mese che abitavo nel Bronx.

Normalmente una ragazza che aveva superato i venti anni era abituata a dire ‘’oggi faccio un mese con il mio ragazzo’’ oppure ‘’oggi è un mese che mi sono laureata’’. Ma, come avrei anche capito bene più tardi, io non avevo niente di normale. Punto e peggio la mia vita.

Avevo sentito mia madre un paio di volte, e l’avevo tranquillizzata anche se stava soffrendo come un cane e glielo si leggeva nella voce flebile e appesantita dal tempo, per telefono. Le avevo detto che sarei tornata presto, che papà avrebbe risolto con quel clan che voleva utilizzarmi come arma contro Peter. Ma, in verità, non sapevo neanche a che punto fosse la storia della mia vita. Insomma, la domanda sorgeva spontanea: sarei mai tornata a casa?

Avevo ventun’anni e dei progetti.

Con Zayn avevo parlato poco e niente, in compenso avevo instaurato un buon rapporto con Ted e con Gabriel, che era un altro membro della Dark Roses. Aveva trentacinque anni e stava per sposarsi. Speravo che la compagna fosse al corrente del suo lavoretto. Con Lucifero avevo perso completamente ogni tipo di rapporto. Da quella sera in camera sua, quando lo avevo sentito urlare senza motivo, era letteralmente evaporato. Non lo vedevo quasi mai, e quando succedeva (tipo a pranzo, visto che lui non cenava) Carl evitava il mio sguardo e scappava prima di arrivare al dolce.

Zayn non parlava mai di lui.

Negli occhi azzurri, Carl non aveva assolutamente niente. Forse quella cosa avrebbe dovuto spaventarmi. Paradossalmente anche incutermi un certo timore. Insomma, era un criminale e si sapeva, ma che fosse anche misterioso… Carl non parlava mai con qualcuno che non fosse Zayn e- qualche volta- mio padre. Non sorrideva mai. Non si esprimeva, non diceva quando aveva fame (come faceva ventiquattro ore al giorno Zayn) né si lamentava del fatto che il bagno fosse costantemente occupato da Gabriel e la sua mania di avere un ciuffo perfetto quanto quello dei figlio di Peter Pearson (come Ted). Era assolutamente anonimo, e mi sarei anche dimenticata il suo nome se non ci fosse stato quell’avvenimento dell’urlo.

Un pomeriggio, visto che Gabriel era il pettegolo della casa, provai ad estorcergli qualche informazione. Semplice curiosità, nulla di trascendentale.

‘’Carl?’’ aveva detto, come se gli avessi appena chiesto dei piani di Satana. ‘’Cosa vuoi sapere?’’.

‘’Niente…’’ avevo balbettato, torturandomi un ricciolo castano. ‘’Solo…perché sembra che mi odi’’.

‘’Non ti odia’’ aveva detto Gabriel, ostentando così tanta sicurezza che mi destabilizzò. Con i suoi capelli biondo platino e i suoi occhi azzurri, Gabriel pareva più un angelo che una perpetua. ‘’Carl è semplicemente fatto così’’.

‘’Ah. Quindi detesta tutto e tutti?’’.

‘’Lui non detesta proprio nessuno, Diana. E’ solo che…la vita è un insieme di strade. Alcune sono tortuose e scoscese, altre asfaltate e dritte. Però, in base alla strada che prendi o che ti costringono a prendere, ci possono essere anche vicoli ciechi’’.

‘’Evitami queste perle di saggezza. Volevo solo assicurarmi che non fossi un’antipatica cronica’’.

‘’Non lo sei’’ aveva sorriso lui, scompigliandomi i capelli. Io mi ero allontanata di botto. Odiavo essere toccata, e soprattutto odiavo che mi toccassero i capelli.

Avevo semplicemente deciso di andarmene.

E mentre guardavo il cielo del Bronx dalla finestra della mia camera, mi venne una voglia irresistibile di biscotti. Abbandonai la mia comoda e rilassante postazione e mi recai in cucina. Non ricordavo ancora bene dove fossero tutti gli ingredienti e la spesa, ma sapevo che i biscotti erano nel secondo mobiletto a destra.

Solo che la cucina non era vuota.

Ultimamente ogni volta che pensavo a qualcuno, quello appariva. Avrei dovuto pensare più spesso a Leonardo Di Caprio, allora.

Non appena Carl si girò e mi vide mutò espressione. Credevo non avesse capito il significato della parola ‘’mimica facciale’’, ma evidentemente mi sbagliavo.

‘’Scusa’’ balbettai. Che poi, da quando balbettavo? ‘’Ero solo venuta a prendere dei biscotti’’.

Senza salutarmi né dire uno schifo di parola, lui si abbassò a prendere il pacco di biscotti e me li lanciò. Li afferrai a volo, ero sempre stata fortissima a pallavolo.

‘’Va bene’’ sussurrai. Che poi, da quando sussurravo? ‘’Torno in camera. Buona giornata’’.

Mi voltai e mi recai verso le scale che portavano al piano superiore, quando lo sentii parlare di nuovo. All’inizio pensai di essermi sbagliata. Non sentivo la sua voce da una vita. Ma non era così, perché ripetè la domanda che mi aveva fatto.

‘’Hai mai sentito il bisogno…di evadere?’’.

Quella domanda mi destabilizzò. Lucifero, alias Carl, non parlava mai. Non domandava niente. Non mutava espressione. Non aveva sentimenti. Non si dimostrava interessato a niente, neanche al più cretino degli hobby e…ed era capace di formulare domande del genere? Non ci voleva Freud per capire che era una domanda molto più profonda di ‘’che ore sono?’’ oppure ‘’mi passi la marmellata?’’.

Cercai una risposta degna di quell’assurda richiesta.

‘’Non credo si possa evadere da se stessi’’.

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