Capitolo 45

31 1 0
                                    

Niente è come sembra.

Certe volte, quando siamo abituati quasi per inerzia a sentire certe cose, ci sembra poi impossibile scoprire che in realtà non sono vere. Avevo passato tutti gli otto mesi nel Bronx convinta di Zayn e convinta di chi fosse. Nel profondo del mio cuore sentivo e sapevo che c'era qualcosa che non andava, ma avevo sempre attribuito quella sensazione alla consapevolezza che Zayn era mio fratello e che lo amavo.

Avevo ignorato tutte le volte che mi aveva chiesto scusa senza un motivo, come se avesse un qualche peso che gli premeva sul petto, e avevo ignorato tutto il vuoto che aveva negli occhi. Non avevo dato peso all'irrequietezza che sentivo nascere e crescere dentro di lui, né a tutte le lacrime che riuscivo a vedere bloccate sotto le sue pupille.

Zayn Pearson, mio fratello, non era chi diceva di essere.

Non lo era mai stato e non lo sarebbe stato mai.

E potevo cercare di non pensarci, desiderare di non averlo mai scoperto e anche fingere che fosse così, ma niente cambiava.

Niente è come sembra, continuavo a ripetermi. Una parte di me sperava che Niall avesse mentito, che Aisha avesse fatto lo stesso, ma l'altra parte- quella più razionale e meno innamorata- non aveva bisogno di altre conferme.

Niente è come sembra.

E adesso Zayn era di fronte a me, con un jeans consunto e una felpa troppo leggera mentre fumava una sigaretta, dopo aver ricevuto il mio messaggio: ''Ci vediamo fuori l'isolato''

''Che succede?'' mi aveva chiesto, ma non avevo risposto perché mi serviva tempo.

Il cielo era nero e faceva abbastanza caldo, per gli standard del clima, da lontano riuscivo a scorgere la punta di casa nostra mentre altri palazzi mi sorgevano accanto. Non c'era una macchina che sfrecciava per strada, a parte qualche eccezione, perché dopo le dieci di sera- nel Bronx- scattava il coprifuoco se volevi restare vivo.

Gli occhi di Zayn brillavano nel buio di quella strada, mentre un profumo di fresco e di pino si alzava nell'aria. Lui mi guardava come se avesse paura di quello che dovevo dirgli, magari me lo si leggeva semplicemente in faccia.

Ed io, come avevo immaginato, non trovai le parole da dire. Abbassai il volto e presi ad osservare la punta consumata delle sue converse bianche, e scoppiai a piangere. Era da tanto che non piangevo e da tanto che desideravo- e dovevo- farlo.

Mi sembrava semplicemente impossibile che fosse reale, che fosse anche solo in parte vero. Non avevo il coraggio di guardare Zayn negli occhi, convinta che così avrei iniziato anche a singhiozzare, ma li immaginavo sotto le mie iridi.

L'avevo guardato negli occhi quando mi aveva baciata per la prima volta in bagno, nel buio della mia stanza quando era venuto a vedere come stavo, quando aveva preso a sorridere davvero il giorno del suo compleanno e quando avevamo fatto l'amore.

Non poteva essere che aveva sempre finto anche in quei momenti, non poteva essere e basta.

Non poteva aver messo a rischio la vita di noi della Dark Roses tutte quelle volte, e poi aver finto di stare male e preoccuparsi con noi. Non poteva essere un mostro. Non fino a quel punto.

''Diana mi stai mettendo paura'' disse, avvinandosi e allungando un braccio per toccare la mia spalla.

Io indietreggiai e mi allontanai quasi d'impulso, mentre alzavo come precauzione le mie mani davanti a me. Lui mi guardò sconvolto e allibito. ''Ma che...?'' iniziò, ma lo interruppi.

''Non mi toccare'' singhiozzai. ''Stai lontano da me''

Lui sbiancò e mi sembrò quasi di vedere le sue pupille e i suoi occhi ingrandirsi. Si passo una mano sul volto in segno di disperazione, e si allontanò di un passo da me. Scosse ancora la testa.

''Io...'' iniziò. ''Ero piccolo quando parlai con il capo dei Tiger. Giurai fedeltà ma ero un bambino di appena sei anni, non potevo sapere che...''

''Non mi interessa'' lo interruppi ancora, asciugando le mie lacrime e fingendo indifferenza. Alzai attorno a me un muro. ''Non mi interessa se eri un bambino quando sei passato dalla parte dei Tiger e sei diventato una spia. Questa è la tua vita, e a me non interessa. Volevo soltanto avvisarti che lo so, e lo dirò a nostro...a Peter''

''Tu sei la mia vita'' disse, quasi con una nota di disperazione nella voce e avvicinandosi di nuovo a me. ''Non tutto questo'' indicò il Bronx. ''Non mi interessa di tutto questo''

Io mi allontanai ancora una volta, stringendo la mia borsa con le unghie e anche con i denti per non cedere alla tentazione e abbracciarlo e baciarlo e iniziare a piangere. ''Non...non dire questo'' ringhiai. ''Se eri davvero un bambino quando sei passato dalla parte del nemico, se eri piccolo e sei stato vittima di un errore che ti ha incastrato, avresti dovuto dirlo. Avresti potuto dirmelo''

''Per che cosa?'' domandò. ''Per mettere in pericolo anche la tua vita, come se non lo fosse già abbastanza? Non sai quante volte, da quando ti ho incontrata, ho provato ad andarmene. Loro mi hanno minacciato, dicevano che ti avrebbero rapita e...''

''Non sai tu quante volte, da stamattina, ho cercato di non piangere'' quasi urlai. ''Eri un bambino, forse è vero, hai sbagliato e tutti sbagliamo. Ma hai idea di quanto mi abbia fatto male? Ne hai una vaga idea?''

Lui non rispose, semplicemente si passò una mano nei capelli e notai che i suoi occhi erano diventati lucidi. ''Mi dispiace'' sussurrò, e dovetti sforzarmi per sentirlo.

''Peter non te la farà passare liscia'' continuai. ''A lui non importerà che eri un bambino, e questo lo sai. Hai fatto una stronzata ed ora ne pagherai le conseguenze, con dieci anni di ritardo. Non posso fare niente per impedirlo''

''Non te lo chiederei in entrambi i casi'' ammise amaramente. ''Accetterò tutto quel che ne verrà, probabilmente mi manderanno via ma va bene. Solo...perdonami Diana. Ti supplico, perdonami''

E quelle parole entrarono fin dentro le mie ossa. Ti supplico, perdonami. Avrei davvero voluto perdonarlo con tutta la mia anima, ma non ce l'avrei mai fatta. Non sarei mai riuscita neanche a guardarlo di nuovo negli occhi scuri, non presto almeno.

''Guardami'' disse, come se mi avesse letto nel pensiero. Portò una mano sotto il mio mento e alzò la mia testa, facendo incontrare- e scontrare- i nostri sguardi. La verità era che era sbagliato e lo era sempre stato. Non solo perché era mio fratello e io sua sorella, ma anche perché eravamo troppo diversi. Diversi in tutti i sensi. ''Diana perdonami. Ti prego, scusa''

Io scossi la testa e iniziai a piangere di nuovo, evitando il suo sguardo. ''Perché? Perché dovrei farlo?''

''Perché ti amo. Sei l'unica persona che abbia mai amato veramente in tutta quanta la mia vita'' sussurrò, distrutto. ''Sei l'unica luce che io abbia mai visto''

Ti amo. Mi aveva detto ti amo, e io scoppiai a piangere ancora più forte. Mi allontanai da lui perché non ce l'avrei mai fatta a respingerlo, altrimenti, e scossi il capo.

''Ti amo anche io'' ammisi. ''Ma non ce la faccio. Scusami tu, ma non ce la faccio''

Poi voltai le spalle e corsi via, diretta in camera mia pronta per passare una notte insonne e persa fra le lacrime. E il giorno dopo avrei detto tutto a mio padre, perché era così che doveva andare.

E perché era giusto, anche se non era giusto per me.

E ricordai le parole di Emma, la quasi-moglie di Gabriel, al suo funerale: ''Diana Pearson, ti auguro di perdere la persona a cui tieni di più al mondo''

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora