Capitolo 14

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‘’Non credo di aver capito bene’’ ripetei, per la millesima volta.

La cosa che in assoluto odiavo di più al mondo era che una persona non si spiegasse. Avevo chiesto a quell’uomo, che mi aveva detto di chiamarsi Theo, il motivo per cui mio padre avesse scelto di mandare da me proprio lui, visto che il mio ‘beniamino’ era Ted. O Gabriel. Anche Carl, o Zayn. Ma…uno sconosciuto?

Non potevo dire di prevedere le mosse di mio padre, né di conoscerlo come ogni figlia dovrebbe- per natura- conoscere uno dei suoi due genitori. Mio padre se ne era andato quando ero ancora una bambina che, seppur sforzandosi e tormentandosi, non riusciva a capirne il motivo e dava la colpa a se stessa. Forse l’impressione che mi ero fatta di Peter in quel periodo, cioè quella di un uomo affezionato e apprensivo nei confronti delle persone a cui voleva almeno un minimo di bene, era sbagliata. O forse più semplicemente- e ci speravo- si fidava di tutti i membri della Dark Roses a prescindere da tutto il resto. Sostanzialmente era la spiegazione più plausibile. Praticamente mi sembrava strano, così, a pelle. Anche se, sicuramente, conoscevo mio padre ancor meno di quanto lo conoscesse un qualsiasi sconosciuto raccattato per strada.

‘’Mio padre, esattamente, perché ha mandato te che- con tutto il rispetto- non ti sei mai fatto vedere dalla sottoscritta, invece che qualcuno che avessi già conosciuto?’’ riprovai.

Non riuscivo a leggere nulla negli occhi di ‘Theo’, come- al contrario- accadeva con Zayn, Ted, Gabriel, e qualche volta Carl. I suoi occhi neri erano puntati davanti a se, mentre guidava quella macchina che costava più di casa mia (Leeds era casa mia), e non mi rivolgeva neanche uno sguardo.

‘’Perché erano tutti impegnati’’ rispose, statico.

‘’E Peter non ha costretto almeno uno di loro ad interrompere qualche minchiata che stavano facendo, scusa tanto?’’.

‘’Evidentemente no. Quante domande che fai, Diana’’ sogghignò. E, probabilmente, stavo diventando troppo sospettosa a furia di ‘guardarmi le spalle’ (come diceva mio padre), e ‘stare attenta agli sconosciuti (come diceva Ted). Ma quel sogghigno non mi suggeriva niente- proprio niente, eh!- di buono. E, per giunta, non conoscevo le strade del Bronx così bene da sapere dove fossimo diretti.

‘’Non ci stiamo mettendo un po’ troppo?’’ osai domandare. ‘’Dovremmo già essere a casa, o sbaglio?’’.

‘’Quante domande’’ ripetè atono lui. ‘’Comunque non sbagli’’.

‘’Cosa?’’ saltai quasi dal sediolino.

‘’Ora non parlare più, ti prego. Ho mal di testa. La prossima volta mando qualcun altro a rapirti’’ ringhiò.

E fu in quel momento che, nella mia stupida testa, si affollarono mille pensieri. Il primo era la voce acuta e stridula di mia madre (quanto volevo mia madre) che diceva ad una me bambina ‘’Mi raccomando Diana, non accettare niente dagli sconosciuti e non dargli corda’’. La seconda era la voce di mio padre che urlava il mio nome, quando avrebbe scoperto che ero sparita. E chissà se sarei tornata. La terza era la voce di Carl. Stupido maledettissimo Carl di merda. ‘’Te l’avevo detto, Diana’’.

E avrei pagato oro pur di avere Zayn al volante, accanto a me, come mesi prima quando era venuto a ‘prelevarmi’ (rapirmi, insomma) da Leeds. Preferivo tremila volte lui, che quel ventenne malato che avevo accanto a me. Ed ero una stupida.

Mi ero comportata da bambina, ed ora chissà che fine che avrei fatto. Maledetta me, maledetta me, maledetta me. Avevo una paura cane, un terrore boia, e non sapevo nemmeno dove fossimo diretti. Per quanto mi riguardava, potevamo anche avere come destinazione un fiume in cui mi avrebbe affogata. E non sapevo neanche nuotare.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora