Capitolo 20

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L’aria era pungente e fresca, quella mattina.

Nella sala d’attesa del medico, che sinceramente mi stava sulle scatole-come tutti i medici, non riuscivo a stare ferma. Avevo consumato il pavimento a furia di fare avanti e indietro. La visita non era durata molto, ma la fila era stata sfiancante. Quando finalmente il medico aveva finito di visitarmi, gli era squillato il telefono e ci aveva gentilmente scortati fuori.

Eravamo lì fuori da almeno un quarto d’ora. Carl mi irritava ancora di più, perché era seduto immobile e troppo- troppo- tranquillo. Insomma, non era nemmeno per la visita, ma quale cazzo di medico fa aspettare fuori la sua paziente per quindici minuti? Se, al posto del rosso, ci fosse stato Zayn sarebbe stato incazzato come me.

Visto che stavo ribollendo, più volte Carl aveva cercato di distrarmi- dicendo che il medico era particolarmente scortese perché aveva sempre lavorato a New York, e odiava il fatto di essere stato trasferito nel Bronx.

‘’Ma questi non sono cazzi miei’’ ringhiai. ‘’E’ un frustrato sessuale di merda’’.

Carl aveva sorriso a mezze labbra, per poi alzarsi e raggiungermi. Visto che eravamo della stessa altezza, più o meno, non gli ci era voluto molto per passarmi una mano gelida fra i capelli, arruffandoli. Io mi ero scansata quasi subito, cercando di ricompormi.

‘’Carl, smettila’’ avevo detto.

‘’Siete identici’’ aveva constatato, forse fra se e se- ma l’avevo sentito comunque. Mi ero avvicinata di nuovo a lui con uno sguardo curioso. ‘’Chi?’’ avevo domandato.

‘’Tu e Zayn. Siete identici’’

‘’Non è vero. Io ho gli occhi azzurri e sono alta’’ e perché stavo negando l’evidenza? Perché mi dava fastidio che Carl dicesse che ero identica a mio fratello?

‘’Non intendevo fisicamente, stupida’’

Non avevo avuto il tempo di dire null’altro, perché la porta del medico si era- finalmente!- aperta. Quell’uomo pelato e con il camice bianco ci aveva squadrato per un bel po’ di tempo, secondo me non ricordava nemmeno chi fossimo tanto era rincretinito, e ci aveva fatti accomodare di nuovo dentro. ‘’Allora, signorina Pearson…’’

‘’Diana’’ lo avevo interrotto. ‘’Mi chiamo Diana’’

‘’Diana’’ aveva sospirato lui, come se avesse a che fare con una lattante. ‘’Come si sente?’’

‘’Questo non dovrebbe dirmelo lei?’’ replicai, piccata, sedendomi assieme a Carl su di una sedia di fronte la scrivania. Sentii il rosso trattenersi dal sorridere.

‘’Non ci sono fratture, se è questo quello che vuole sapere. E’ sana come un pesce’’

E, alle parole del dottore, Carl non si trattenne più e scoppiò a ridere. Ma che immaturo! In queste situazioni emergeva il fatto che avesse poco più di sedici anni, e si comportasse proprio come un adolescente in astinenza.

Il mio calcio al di sotto della scrivania dovette recapitargli – chiaro e tondo, anche- il mio messaggio, perché tacque all’istante.

‘’Va bene’’ cercai di evitare che la faccia del medico diventasse ancora più schifata ed odiosa. ‘’Quindi possiamo andare, giusto?’’

‘’Sì’’ si sollevò lui. ‘’E state attenti, mi raccomando. Nelle prime settimane, la percentuale di perderlo è dell’ottanta percento’’

‘’PREGO?’’ urlò quasi Carl, svegliato improvvisamente dal suo stato comatoso.

Il dottore Non-Mi-Ricordo-Il- Nome sobbalzò, seguito a ruota da me. Io, dal canto mio, ero convinta che quel rimbambito avesse sbagliato cartella. Evesse proprio sbagliato persona.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora