Capitolo 28

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L’equazione di Dirac è l’equazione più bella della fisica.

Grazie ad essa si descrive il fenomeno dell’Entanglement quantistico. Il principio afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.

Ricordavo ancora quando la professoressa Abigail Newton ce lo aveva spiegato. In realtà, nonostante la mia memoria corta, ricordavo anche il suo volto. La prof Newton era la professoressa più grassa e con il setto nasale deviato che avessi mai conosciuto in ventun anni di vita, nonché la più frustrata (si, in tutti i sensi). Come se non bastasse avevo sempre odiato la fisica- non solo la professoressa-, nonostante me la cavassi abbastanza bene in chimica e biologia. Ma quell’equazione mi era rimasta incollata nel cervello, fin sotto le cellule, e temevo che sarebbe rimasta lì per sempre. Peccato che all’esame non mi avesse chiesto quella, altrimenti sarei uscita con un voto un po’ più alto.

E, per giunta, quell’equazione descriveva esattamente la mia situazione con Zayn. Almeno per me, era esattamente così: quello che accadeva a Zayn, e qualunque cosa gli fosse accaduta, mi avrebbe sempre influenzata, anche se fossimo stati separati da mari e montagne. Il punto era che non l’avrei mai accettato, né tantomeno ammesso. Ero troppo orgogliosa, ed odiavo dipendere da qualcun’altro.

E’ strana la vita. Ti sottopone a continue prove, che riesci anche a superare brillantemente e che ti aiutano a formare il tuo carattere, e poi arriva la batosta e perdi tutto. Non sai più chi sei. Non che lo sapessi prima, ma ora mi sentivo anche peggio.

‘’Carl’’ lo chiamai, quando scesi in cucina e lo vidi poggiato all’isolotto della cucina, accanto a Ted. ‘’Buongiorno’’ sorrisi, cercando di non essere del tutto apatica.

‘’Perché mi guardate così?’’ domandai, curiosa, vedendo i loro occhi spenti e considerando che non mi avevano nemmeno risposta.

‘’Io direi che Peter ha ragione’’ disse Ted, rivolto chiaramente a Carl. ‘’Tu che ne pensi, Lucifero?’’

Carl si scostò dall’anta della cucina e mi si avvicinò, girando attorno a me e facendomi una radiografia. Lo vidi annuire debolmente.

‘’Posso capire di che state parlando?’’ sbottai. ‘’E perché mi sento come un vetrino sotto un microscopio?’’

Ted sorrise sornione, facendo apparire quelle adorabili fossette che lo distinguevano. In tutta la sua notevole stazza, mi si avvicinò e mi passò un braccio tatuato sulle spalle.

‘’Tuo padre ci ha chiesto di fare una cosa’’ ironizzò. ‘’Stavamo valutando se accettare o meno’’

Se avessi conosciuto un po’ meglio mio padre, o il mio nuovo padre, probabilmente avrei intuito qualcosa ma- ahimè- in quelle condizioni mi era pressappoco impossibile.

‘’Ed avete intenzione di dirmelo o devo tirarvelo fuori con il cucchiaino?’’ insistei, sperando che finalmente parlassero.

Fu Carl a prendere parola. ‘’Ci ha chiesto di insegnarti delle mosse di difesa’’

‘’Mosse di cosa?’’ sgranai gli occhi. ‘’Mi rifiuto di fare qualsiasi cosa che comporti movimento fisico. Sono troppo pigra’’

‘’E dai Diana!’’ sorrise Ted. ‘’Vuoi rimanere segregata in casa per sempre?’’

‘’E questo che diavolo c’entra?’’ incrociai le braccia al petto, col muso lungo. Ero perfettamente consapevole che mi stavo comportando da bambina, ma al momento mi andava bene così.

Mors omnia solvitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora