24) Senza parole

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Kayra's POV

Mi ero trincerata nel mio silenzio.

Non riuscivo a pensare razionalmente, figuriamoci a dire qualcosa.

Fabrizio era sempre vicino a me, lo avevo ritrovato al mio fianco quando avevo ripreso conoscenza.

Eravamo sull'ambulanza. Lui mi guardava, tenendomi una mano, senza dire una parola.

Aveva pianto, era evidente. E guardando i suoi occhi lucidi, quegli occhi che tanto amavo, avevo iniziato a piangere anch'io, sentendomi un fallimento come donna e, soprattutto, come madre.

Avevo permesso che nostro figlio morisse. Non valevo niente. Ero assolutamente inutile.

Lui non aveva parlato. Si era limitato a stringere la mia mano un po' più forte, non lasciandola mai per tutto il tragitto.

Quando eravamo arrivati, i paramedici mi avevano portata dentro su una barella, ed era stato un tripudio di voci concitate, mentre io perdevo l'unica cosa che per me contava veramente, ovvero la mano dell'uomo che amavo che stringeva la mia.

- Donna, ventiquattro anni, ferita da arma da fuoco sul braccio sinistro. Aborto causato da un forte impatto sulla pancia.

Quella parola aveva iniziato a turbinare nella mia mente sconvolta e sovreccitata da tutta l'adrenalina che avevo in circolo.

Mi avevano portata in sala operatoria per estrarre la pallottola dal braccio, ma senza farmi l'anestesia totale.

Poi però, mi avevano dato un sedativo, spiegandomi che mi avrebbero ripulita dai resti.

Resti?

Come si poteva parlare così di un bambino?

Ero scivolata gradualmente nell'incoscienza, con il pensiero del sorriso di Fabrizio fisso nella mia mente, l'unica cosa veramente in grado di salvarmi.

Quando mi ero svegliata, non avrei saputo dire con esattezza quanto tempo dopo, lui era seduto su una di quelle scomode serie di metallo che trovi negli ospedali. Dormiva, con la testa piegata di lato.

La mia gola era secca e, quando deglutivo, mi sentivo come se avessi ingoiato carta vetrata.

Tossii, e lui si svegliò di soprassalto, scattando in piedi e venendomi subito vicino.

- Come stai? - mi chiese a bassa voce, come se temesse di parlare un po' più forte.

Scossi la testa, ricominciando a piangere, portandomi istintivamente una mano sulla pancia, accarezzando quella vita che non c'era più, quella vita che mi era stata brutalmente strappata via da un ragazzino psicopatico che una volta avevo creduto essere mio amico.

- Mo' te porto a casa. Mo' ce ne annamo. - aveva detto lui, uscendo dalla stanza, probabilmente alla ricerca di un qualche dottore.

E lo aveva fatto, anche contro il loro parere.

Gli avevano detto che non potevo camminare, che non avrei potuto farlo almeno per un paio di giorni. Lui semplicemente aveva annuito, sollevandomi tra le braccia e portandomi fuori di lì.

Jen era rimasta a casa con Pietro. Ma sapeva. Sapeva ogni cosa.

Ci aveva travolti, al nostro ingresso, mettendosi sulle punte per riuscire a raggiungermi anche tra le braccia di Fabrizio. Lui non accennava a volermi mettere giù. 

Jen mi aveva abbracciata come poteva, tenendomi una mano.

In tanti anni di amicizia, non l'avevo mai vista così sconvolta.

- Fa' piano, Jen... nun lo vedi quant'è debole? Nun riesce nemmeno a sta' n'piedi... - l'aveva richiamata Fabrizio con voce incolore.

Lui, proprio lui, che aveva una voce meravigliosa, piena di sfumature e con la quale trasmetteva emozioni. Invece adesso, per la prima volta da quando lo conoscevo, la sua voce era piatta, vuota, inespressiva.

Fammi tremare l'anima. Di nuovo {Completa, leggete il sequel}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora