XXV- Dust and Bones -

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- È la cosa migliore... io posso essere migliore di così- ripetè nuovamente, mentre continuava a guidare lungo la desolata e desertica strada che lo avrebbe condotto fino in Luisiana. Sarebbe arrivato a Phoenix nel giro di un'ora, lasciandosi dietro le prime cinque ore di intenso viaggio, e si sarebbe fermato per sgranchirsi le gambe e comprare qualcosa da poter mettere sotto i denti per l'intero giorno di viaggio.

Non aveva avuto ripensamenti; come sempre Izzy aveva agito senza fermarsi a pensare, mosso solo dalla pulsione di vita del momento. Quei tre giorni di sobrietà e di disintossicazione dalle droghe gli avevano permesso di guardarsi e non gli piacque ciò che aveva visto riflesso: nulla più che una larva fatta polvere e ossa. Erano tutti morti, ma ancora non lo sapevano e quando se ne sarebbero finalmente accorti, sarebbe stato irrimediabilmente troppo tardi.

Frugò nello zaino mezzo rotto e cacciò una bottiglietta di acqua stranamente
ancora tendente al fresco, nonostante la calura che avvolgeva il veicolo. Bevve qualche sorso cercando di spegnere le fiamme che ardevano in gola e nello stomaco, e placare la nausea che ancora gli attanagliava lo stomaco. Non pensava fosse così violento il processo di depurazione fisica, l'astinenza continuava ancora a dilaniare le sue membra, strappando brandelli di carne dall'interno. A detta di Slash, il corpo avrebbe continuato a rigettare le tossine per una settimana intera e sarebbe stato un inferno. Lui era a metà percorso: anche se la nausea non era più così insopportabile, il corpo era ancora febbriccicante.

L'insegna Phoenix comparve in lontananza e Izzy tirò un sospiro di sollievo, ringraziando la sua buona stella di essere ancora vivo e vegeto.

Si fermò alla prima stazione quando erano appena passate le due del pomeriggio e scese dalla macchina, che necessitava di un primo controllo al radiatore e olio. Ne approfittò per acquistare cibo e altra acqua, svuotare la vescica, sciacquare il viso sudato e, sotto l'ombra di una grossa pianta, si stese per riposare il corpo provato. Nessuno a Lafayette sapeva del suo ritorno, come se ne era andato, sarebbe tornato: in punta di piedi.

Si rimise in auto e guidò fino a notte fonda, oltrepassando l'Arizona fino a entrare nel New Mexico, finché le palpebre non rischiarono di chiudersi. Se avesse mantenuto quel ritmo, sarebbe arrivato a destinazione nel pomeriggio, attorno alle tre, contando le ore di sonno che si sarebbe concesso.

Dopo più di un giorno di viaggio e varie soste per controllare quel catorcio, che grazie a Dio non lo aveva lasciato a piedi, nel nulla cosmico del desertico Nuovo Messico, Izzy arrivò a Lafayette, suonando alla porta di quella che era stata casa sua fino all'età di diciassette anni.

- Jeffrey! Oh mio Dio! Sei veramente tu? Ragazzo mio, cosa hai?- la donna che aprì la porta lo abbracciò stretto e gli tastò la fronte sudata, prima di prendergli il viso scavato e sudato tra le mani. Avevano gli stessi identici occhi, se non fosse stato per i demoni che albergavano nello sguardo di Izzy.

- Influenza...- rispose come da copione. Sembrava che, a occhi inesperti, l'influenza e l'astinenza avessero gli stessi identici sintomi, così il ragazzo mise in atto quanto appreso da Slash.

Puntò verso la sua vecchia camera da letto, rimasta identica a come l'aveva lasciata e, glissando sapientemente le domande della donna, si lasciò cadere sul materasso, chiudendo gli occhi e lasciando al tempo e al corpo il compito di smaltire stanchezza e tossine che ancora inquinavano il suo organismo. L'unico a cui era permesso di stare in camera era Treader, il suo fedele pastore.

- Bentornato, Jef- sussurrò la madre, chiudendosi la porta della camera da letto alle spalle.

Izzy sollevò le palpebre e respirò a pieni polmoni un odore che, seppur
non sentiva da tempo, gli ricordava l'ormai trascorso periodo dell'innocenza: un mix di fiori ed erba appena tagliata. Si issò sui gomiti e sollevò appena il busto per guardarsi attorno, non riconoscendo sulle prime l'ambiente circostante.

Sorrise e si lasciò cadere ancora una volta, ruotando sulla schiena e coprendosi gli occhi sensibili alla luce del giorno con il braccio. Indossava ancora i vestiti del viaggio e probabilmente non aveva neppure un buon odore, sebbene fosse uno che sudava relativamente poco. Guardò l'orologio che segnava le tre del pomeriggio e buttò le gambe giù dal letto. Aveva dormito quasi un giorno intero e la mancanza di cibo, acqua e bisogni fisiologici si stavano facendo sentire.

Si trascinò in bagno, con ancora una leggera nausea ad attanagliarli lo stomaco, e si osservò allo specchio. Era diventato l'ombra del giovane che era. Aveva la pelle pallida, molto pallida, coperta da un velo di sudore che gli conferiva quell'aspetto malato tipico del tossico. Gli occhi erano spenti, opachi e contornati da profonde occhiaie violacee che spiccavano sul pallore spettrale del volto. Le guance erano scavate e la pelle appena tirata sulle ossa. Perfino le labbra avevano perso la loro normale tonalità rosea, ora screpolate e secche. Era un disastro; non aveva l'aspetto di un tossico, lo era ancora. Sebbene la mente ne fosse libera da giorni, il corpo sembrava in procinto di sbriciolarsi sotto l'effetto del suo giogo.

Notò che dei panni puliti e un telo di spugna erano stati lasciati sullo sgabello accanto alla doccia e Izzy ringraziò mentalmente la madre per quel piccolo ma grande gesto. Aprì l'acqua della doccia e la miscelò, e una volta tiepida, si liberò dei vestiti sporchi fiondandosi sotto il getto che, dalla testa, scorreva lento lungo tutto il corpo. Restò sotto l'acqua per un tempo che gli parve infinito, lasciando che oltre allo sporco, anche le emozioni e la negatività che aveva addosso scivolassero via.
Un nuovo inizio.
La sua rinascita iniziava così, lasciandosi dietro il passato, ancora una volta.

Seduto sui gradini dell'ingresso, Izzy salutava le ultime luci del giorno mentre le sue dita sfioravano leggere le corde della chitarra, in una serie di note che riflettevano la malinconia della sua anima. Sollevò appena la testa e la debole aria estiva gli scompigliò i capelli, liberando lo sguardo dalle selvagge ciocche ebano che danzavano lungo il viso.

La figura minuta di una ragazza catalizzò la sua attenzione e, continuando a suonare, la seguì con gli occhi finché non svanì dal suo campo visivo, lungo la strada. Non ricordava di averla mai vista prima, o forse se l'era dimenticata dopo tutti gli anni lontano da Lafayette.

Non era riuscito a vederla bene, ma aveva scorto un bel profilo incorniciato da lunghi capelli scuri. Era magra, piccola di statura e con la carnagione olivastra che ricordava appena quella di Slash. Sospirò e tornò a concentrarsi sugli accordi della sua chitarra poggiata sopra la coscia mentre Treader dormiva beato sul prato antecedente alla casa.

Nightrain - Guns N' Roses - IN AGGIORNAMENTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora