Aspettare.

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La testa di Federico si era spaccata, così come il vetro del suo cellulare, appoggiato su una delle tante sedie del corridoio.
Un affarino così piccolo non trovava un posto, o forse nessuno voleva trovarglielo.

Il suo posto era nella tasca di Federico, lì doveva essere.

Lo sbloccai, non mi aveva mai detto il suo codice ma lo avevo visto qualche volta sbloccarlo in classe.

Entrò automaticamente su whatsapp.
Non mi interessava sapere con chi parlava, in realtà.

Entrai sulla mia chat, notai un cuore accanto al mio nome.

Non riuscii a guardare altro.

Quella notte lasciammo un post-it attaccato alla porta della nostra camera da letto, con cui avvisavamo i nostri genitori di guardare i messaggi, dove Zambo gli avrebbe spiegato dove eravamo e perché.
Subito dopo prendemmo un taxi e velocemente arrivammo all'ospedale.

Aspettavo una chiamata da mia mamma seduto sul marciapiede appena fuori all'entrata dell'ospedale.

Addosso avevo un maglioncino leggero senza neanche una giacca, era ormai quasi la fine di ottobre e faceva abbastanza freddo all'alba.

Penso fosse la quinta sigaretta che fumavo, forse ne avevo fumate di più, non mi ricordo, so solo che quando Zambo venne a riprendersi il pacchetto che mi aveva prestato era ormai quasi vuoto.

Si sedette accanto a me, restammo alcuni minuti senza parlare.
Si accese anche lui una sigaretta.

"Era un po' che non ti vedevo fumare."
Commentò.

"Lo so."
Gli dissi, avevo quasi del tutto perso il vizio.

"Non dovresti fumare così tanto, tutto insieme poi. Non devo ricordarti io che potrebbero aumentare le tue crisi respir-.."

"Non mi interessa, ora come ora sarei felice se me ne venisse una, almeno occuperei il tempo."
Non so perché lo dissi, non ero in me.

Zambo mi guardò con una faccia che sembrava a metà tra lo sconvolto e l'impietosito.

Mia madre telefonò, la tranquillizzai.
Ci portò qualcosa da mangiare, del caffè e mi portò la giacca, in una tasca c'era l'inalatore.

Poi andò con il padre di Zambo a parlare con i genitori di Federico.

Aveva insistito affinché tornassi a casa; tutti erano ritornati almeno un paio d'ore per riprendersi, io non volevo tornare, volevo restare lì.
Federico non aveva ancora ripreso coscienza, i dottori stavano aspettando che lo facesse per capire le sue condizioni, ma Federico non si svegliava e non lasciavano che nessuno lo vedesse.

La probabile emorragia interna era ormai sicura. Si era formato un'ematoma all'interno del suo cervello e avrebbero dovuto operarlo.
L'operazione sarebbe durata molte ore e non era detto che non avrebbe creato ulteriori problemi.

Ero arrabbiato: lo ero con i dottori che non lasciavano che io lo vedessi, con quel bastardo che lo aveva messo sotto senza fermarsi nemmeno a controllare se fosse ancora vivo, lo ero con mia mamma che alle 10 della sera dopo mi costrinse a lasciare quell'ospedale, lo ero con me stesso per avergli detto che sarebbero stati "problemi suoi", io non volevo perderlo.

L'operazione sarebbe iniziata presto il mattino successivo.
Alle 6:00 mi svegliai di colpo, non ricordo cosa sognai, so solo che iniziai a piangere e mi fiondai nel letto di Zambo, iniziò a piangere anche lui, mentre cercava di confortarmi abbracciandomi.

Andai a scuola solo perché avevo intenzione di smerdare quei poveretti della nostra classe che non si erano mai cagati Federico e che ora postavano ovunque sue foto con "riprenditi presto, ti aspettiamo."
Esibizionismo.
Esibizionismo del cazzo.

Ma alle 11 era già troppo tardi per me in quella scuola, in quel banco, e Zambo chiamò mia madre per farci venire a prendere.

Nelle ore che seguirono Federico era ancora in sala operatoria.
Io avevo girato così tante volte quell'ospedale che quasi lo conoscevo come le mie tasche.
La sala operatoria era al piano terra, se mi fossi messo accanto all'ascensore dove portavano tutti gli operati velocemente per andare in camera, sarei riuscito a vederlo un paio di secondi.
E così fu.

Nel pomeriggio inoltrato uscì prima il dottore, che volle di nuovo vedere solo i suoi genitori.

Poi gli infermieri e Federico sulla barella.

Aveva tutta la testa fasciata, il viso pieno di lividi e un tubetto per l'ossigeno attaccato al naso.

Lo vidi solo per due secondi, ma non riuscirò mai a dimenticare il suo volto pallido e le labbra viola. Non riuscirò mai a dimenticare quegli attimi.

Speravo che l'operazione fosse andata bene, doveva essere andata bene.

Ma qualcosa dentro di me mi diceva che non avrebbe mai più riaperto gli occhi.

Non riuscivo a muovere un solo dito dopo averlo visto, Zambo mi trovò seduto sul pavimento accanto all'ascensore, io non avevo avuto il coraggio di salire al suo piano.

Mi disse che i dottori avevano fatto tutto quello che potevano, che secondo loro era andata bene, ma che stava a Federico svegliarsi e dare la conferma che fosse tutto a posto.

E doveva farlo nelle 48 ore immediatamente successive all'intervento.

Qualche nostro compagno di classe dopo la grande scenata che avevo fatto quella mattina appena arrivato a scuola si era degnato di venire a chiedere come stesse direttamente in ospedale, poi arrivò qualche parente, Giovanni si assentò per tutto il pomeriggio, ma poi tornò verso le 18, Yuri non si era staccato da sua madre mentre suo padre andava avanti e dietro per tutto l'ospedale cercando dottori, infermieri e facendo telefonate.

Zambo era rimasto con me tutto il tempo, non avevo la forza di parlare e nemmeno lui.

Non so dirvi perché nessuno voleva tornare a casa, effettivamente non potevamo fare niente lì se non aspettare e aspettare.

Suppongo che ognuno di noi volesse essere lì nel caso Federico si fosse svegliato, o nel caso fosse morto, perché era quella la verità: ci aspettavamo tutti che morisse.

Ti dedico tutto. // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora