Voglio tornare a casa.

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Quando entrai in camera Federico era rannicchiato sul letto, con la luce spenta.
L'accesi, tolsi il giubbino lanciandolo sul divanetto.
Misi il cellulare in carica.

Alzai gli occhi involontariamente, stavo facendo di tutto per evitarlo ma non potei evitare di sentire un suo singhiozzo.

Incrociai il suo sguardo.
Aveva gli occhi rossi, ancora il segno di qualche lacrima sul volto.
Di nuovo quelle occhiaie viola, non era per niente difficile che gli venissero.
Aveva addosso la felpa che gli avevo regalato, stringeva tra le braccia uno dei cuscini del divano.

Si aspettava forse che dicessi qualcosa, io, a mia volta, mi aspettavo che fosse invece  lui dire qualcosa.

Nessuno dei due parlò.

Andai in bagno a sciacquarmi il viso, poi ritornai in camera.

Aveva cambiato posizione, ora era seduto sul letto con le gambe al petto.

Mi sedetti dal mio lato del letto.

"Posso sperare di spiegarti tutto adesso?"
Mi chiese, con la voce rotta.

"Fino a quando non mi annoio, fa pure."
Risposi, mentre scioglievo le stringhe delle scarpe.

"Ben, puoi guardarmi per favore?"
Chiese ancora.

Tolsi le scarpe e lo guardai.

Incrociò le gambe a mo di indiano, prese un respiro profondo.

"Innanzitutto.. voglio dirti che i ragazzi sono stati pregati da me di non dirti niente finché non lo avessi fatto io. Non ho mai parlato con loro del bambino, solo lo sapevano. Probabilmente ho tirato fuori l'argomento 3 volte in tutto questo tempo."

Capii, me lo aveva già detto Zambo a telefono.

Fece un sospiro.

"Quando avevo 15 anni, ero in vacanza dai miei nonni, iniziai una relazione con questa ragazza, quella che hai sentito al telefono, Gesine si chiama. Non era niente di serio, solo avevamo scambiato qualche bacio. Per me lei più che altro era una scusa per giustificare il fatto che non parlassi mai di ragazze e che non mi andasse uscire con chi mi capitava.
Non pensavo di essere gay, solo mi sentivo inferiore agli altri."

Cominciò a spiegare mentre faceva continuamente su e giù con le mani sui pantaloni bianchi.

"Ero in terza superiore, avevo 16 anni, nelle vacanze di natale come al solito tornai ad Amburgo, nella città di mia mamma. Mi ero stancato di tutta quella farsa, volevo finirla con lei. Quando glielo dissi lei era convinta che fosse solo per la distanza e perché avevamo pochi rapporti fisici, io non ne ero tanto convinto, però poi.. cominciò a baciarmi, a toccarmi, a spogliarmi.. insomma facemmo sesso. Lo avevamo fatto forse una o due volte prima di quella, forse troppo inesperti non avevamo capito ancora nulla, quella volta però, l'unica cosa che non capimmo fu che il preservativo era rotto. Io pensai che si fosse rotto nel momento in cui lo sfilai, ma era rotto già da prima. Comunque il giorno dopo la lasciai definitivamente."

Rimasi in silenzio incapace di dire qualcosa.

I suoi occhi si riempirono di lacrime, non erano capaci di restare fissi sui miei.

"Era circa la fine di gennaio quando i suoi genitori chiamarono i miei, eravamo già in Italia. Ci dissero che Gesine era incinta, e che doveva essere per forza mio. Naturalmente tornammo ad Amburgo.
Io ero sconvolto, credimi. Non riuscivo a crederci.
Quando suo fratello mi vide mi diede un pugno qui, sul sopracciglio. Svenni, mi portarono in ospedale e mi misero qualche punto, nulla di grave, ma servì ai genitori di Gesine a non provare così tanto odio nei miei confronti."

Mi avvicinai un po' a lui, ricordo come nelle prime settimane mi ero chiesto come si fosse provocato quella cicatrice, non glielo avevo mai veramente chiesto.

"E poi niente. Dissi ai miei che avrei potuto sposarla se me lo avessero chiesto, avrei lasciato gli studi in Italia e continuato lì.
Non sapevo che fare, ero veramente mortificato."

Rimase in silenzio a guardarsi le mani.

"Però non è servito. Non hanno voluto che lasciassi l'Italia, né che la sposassi.
Ho la fortuna di avere due genitori che mi hanno sempre capito e accettato. Hanno parlato con i genitori di Gesine, lei vive con loro e io con i miei.
È nato a settembre, mi sono perso qualche settimana a inizio scuola, poi ci sono stato di nuovo a dicembre, a fine febbraio-inizio marzo, a Pasqua e poi ancora per tutta l'estate. Ho fatto in tutti i modi per essere lì e vedere le prime cose di mio figlio."

Alzò gli occhi per guardarmi.

"Quando ci siamo visti la prima volta io ero tornato solo per dare l'esame di latino, poi sono ripartito per il suo primo compleanno. Ero alla sua festa, per questo ho preso tardi l'aereo e sono venuto a scuola in condizioni pietose."

Rimanemmo a guardarci per minuti interi.

"Perché non mi hai detto tutto subito?"
Gli chiesi.

Scosse la testa.

"Non volevo che tu.. non volevo che mi conoscessi e che ti innamorassi di me sapendolo. Volevo che ti innamorassi di me e basta. Avrei voluto dirtelo tante volte.."

Sospirò.

"Avresti dovuto farlo. Federico, è un bambino, non stiamo parlando di qualcosa che si può superare. Lo capisci?"

Ero ancora così nervoso.

"Lo so, Benjamin. Credimi io amo mio figlio, ogni giorno cerco di vederlo almeno per dieci minuti in videochiamata con la madre, cerco in tutti i modi di fargli memorizzare il mio viso. So che è piccolo, ma non sai quanto ci sto male se penso che magari la prossima volta non mi riconosce e non mi vuole nemmeno vedere!"

Sembrava così addolorato dal pensiero.
Io cosa ne potevo sapere delle sue paranoie?

Ad un certo punto mi sembrò di non riconoscerlo, non mi sembrava più lo stesso Federico.

Mi ero innamorato di quello che in realtà lui non era, mi sentivo preso in giro, sentivo come se avessi perso in lui tutta la fiducia.

Non sapevo che cosa dirgli.
L'unica cosa che sapevo con certezza era che non avevo alcuna intenzione di restare in quell'hotel con lui.

Mi sembrava di starlo trattenendo, di strapparlo via da suo figlio.

"C'è un aereo stasera? Voglio tornare a casa."

Ti dedico tutto. // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora