Sei casa.

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Iniziai a pensare che forse non fu proprio una buona idea partire con lui.

Non riuscivo a capire una parola, mi sentivo spaesato, avevo bisogno quasi che Federico mi tenesse la mano, ma non ero io il bambino, dovevo cercare di riprendermi.

"Ben, la vedi? Dietro a quella verde."

Federico mi indicò la mia valigia.

"Sì." Dissi, recuperandola velocemente.

Non riuscimmo a scambiare altre parole.

Stavamo facendo tutto velocemente, dovevamo arrivare in fretta a casa di Federico, riportare Mathias da sua madre e dopodiché prepararci per la cena a casa dei nonni di Federico, con tutti gli zii e i cugini.

Incubo.

Letizia chiamò un taxi, Mathias non smetteva di piangere.

Federico era praticamente esausto, le stava provando tutte.

Io non potevo fare altro che guardare.

Mi sentivo di troppo.

Mandai un messaggio a Zambo avvisando di essere arrivato, poi lasciai il telefono nella tasca.
Non avevo voglia di vedere nulla.

Quando arrivammo a casa la mamma di Federico portò il bambino in bagno per cambiarlo, così Federico mi mostrò la stanza.

Andai a sedermi sul letto come prima cosa, poggiando il borsone accanto ai piedi.

Sospirai.

Non era una stanza vissuta, si vedeva benissimo. Era abbastanza triste a dirla tutta, diversa da quella in Italia.

Chiuse la porta alle sue spalle e si lanciò sul letto trascinandomi con lui.

"Non ci posso ancora credere, sono serio Ben! Mi hai totalmente sconvolto!"

Vedevo i suoi occhi brillare, lo avevo reso così felice.

Gli carezzai la guancia, mi sentivo leggermente in paranoia, ma ero veramente contento di star rimettendo le cose a posto.

"Mi dispiace per tutto quello che è successo..."
Gli sussurrai.

"Non importa.." Scosse la testa.

"Ora che sai tutto di me mi sento.. libero."

Mi sorrideva.

"L'hanno presa bene.. sembra."

Alludevo ai suoi genitori.

"Ho fatto talmente tanti casini che questo è il minimo guarda."

"Ah io sono un casino?" Scherzai.

Rise.

Ci guardammo negli occhi per un momento: in fondo a noi bastava questo, guardarci, le nostre iridi si dicevano tutto.

"Com'è che stai da quel giorno a questa parte? Come affronti la cosa? Come ti sei sentito all'inizio?"

Avevo tante domande da fargli, avrei voluto tantissimo sapere come fosse stato, come e se si fosse rivolto a qualcuno.

Io avrei davvero voluto essere lì per lui.

Federico semplicemente sorrise dolcemente.

"Male, non te lo nego. Per quanto sia bello averlo adesso tra le braccia non è sempre stato, anzi, non è mai stato facile accettarlo. Ho sentito tutti i giorni il peso di queste responsabilità, alcuni giorni sono stati un incubo continuo, altri di meno. Credo di aver sbagliato proprio nel momento in cui ho deciso di non parlarne mai, il fatto è che ho tutto dentro, non parlandone pensavo che non mi potesse essere d'intralcio ma non è così, non è così che funziona..."

Sentivo nelle sue parole lo stesso dolore di quando in auto, a Modena, mi chiese se fossi soddisfatto della mia vita.

Quella era una parte di Federico che usciva quando eravamo da soli, quando intorno a noi non c'era niente. Si metteva a nudo, lasciava che il lo leggessi, che io ascoltassi tutto il suo dolore, tutta la sua rabbia, la sua angoscia e tutto ciò che da sempre portava dentro.

"È per questo, Ben, che ti ho detto che tu mi hai salvato. Io mi sento un'altra persona da quando ci sei tu. Sono libero di essere quello che sono davanti ai tuoi occhi e ora so che non devo avere paura di nulla, perché sei sempre lì. Sei sempre qui. Sei casa."

Rabbrividii.

Io lo avevo trattato malissimo, non ero stato in grado di comprenderlo, lo avevo lasciato solo, lo avevo abbandonato quando più aveva bisogno di me, non mi ero sforzato nemmeno ad ascoltarlo.

Mi sentivo così male.

Lo abbracciai, forte, forse non l'ho mai più fatto così forte.

Incrociai lo sguardo col suo, i nostri nasi si sfioravano.

"Fidati di me. Fidati sempre di me, sempre, okay?"

Ti dedico tutto. // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora