II - Lamette nelle iridi

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Mi svegliai ancora, nelle stese condizioni, con lo steso tasso di confusione nella mente. Aprì prima un occhio, poi l’altro; mi sembrava di avere delle lamette conficcate nelle iridi.

Mi guardai intorno, la stanza era cambiata, sembrava la stanza di un ospedale: era sicuramento più accogliente della gelida camera del giorno prima.  Mi guardai le braccia, erano coperte da bende e flebo, aghi piantati nelle vene, piccole suture che il giorno prima non c’erano.

Ero sicuro di non avere tutte quelle ammaccature fino a quel momento, mi chiedevo se il primo risveglio fosse solo un sogno. No, ero sicuro che fosse vero. Ricordavo in modo chiaro quelle sensazioni nonostante continuassi a non ricordare nulla di me o del mio passato.

Luce. Ricordavo anche quella parola a cui avevo affidato la mia esistenza. Osservai il braccio sinistro dal quale avevo imparato quel nome: era coperto da una stretta fasciatura.

Iniziai ad insospettirmi.

Anche quella strana divisa militare non c’era più, indossavo un leggero camice bianco, di materiale sintetico, che prudeva dappertutto.

Alzai lo sguardo; davanti a me un’ampia finestra in vetro opaco, impolverata, dalla quale si riflettevano i raggi di prima mattina che si scontravano con ogni cristallo di neve che fluttuava piano verso il suolo. Mi lasciai incantare da quel loro movimento leggero, ammaliatore e poggiai la testa bendata al largo cuscino bianco che avevo dietro la schiena.

Non avevo alcuna forza o voglia di pormi altre domande.

Rimasi inerte, in silenzio, a fissare la neve dalla finestra per una decina di minuti, poi la porta della stanza si spalancò e in pochi attimi l’ambiente si fece affollato. Entrarono tre o quattro persone, alcuni dottori e un omone burbero con la divisa dell’esercito. Questa volta nessuno si scaraventò su di me bloccandomi le braccia.
Rimasi in silenzio, immobile, terrorizzato.

“Buongiorno,” disse poi uno dei medici dagli occhi chiari. Mi immobilizzò con lo sguardo. “Lei si trova nell’infermeria dell’accademia militare di Verbotener Frieden nella città di Zerstörung. Ha avuto un grave incidente sul campo. È rimasto in coma per parecchio tempo. Ci siamo trovati davanti ad un grave trauma cranico focale, abbiamo fatto tutto il possibile per salvare il salvabile, ma il lobo temporale destro ha subito un forte stress durante l’operazione. Abbiamo bisogno di capire quale zona sia stata colpita maggiormente. Ricorda qualcosa?”
Io rimasi sconcertato. Il giorno prima doveva essere stato solo un sogno da coma.
“I-Io...” balbettai, “Non… ricordo nulla.”
“L’area di Wernicke” sussurrò il dottore ad un suo collega, “sembra a posto. L’ippocampo…”
“Siamo felici si sia svegliato, soldato. I dottori si prenderanno cura di lei” disse quell’uomo tozzo e dalla voce strozzata, prima di voltarsi e andarsene.
“Le faremo qualche esame e poi potrà andare, purtroppo per la memoria non c’è niente da fare se non ha alcun ricordo.”
“Io…” dissi con un filo di voce. “Ricordo… ricordo luce.”

I loro visi si fecero pallidi come la luna d’inverno.
“È il mio nome, giusto?”

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