XXVI - Nube elettrica color lilla

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Sgattaiolai via a gambe levate e raggiunsi gli altri.
Ero terrorizzato per Andrew.

Non resisteranno a lungo senza rinforzi.

Se gli fosse successo qualcosa, ne sarei morto. Avevo bisogno di sapere che stesse bene, non capivo il perché ma non riuscivo a pensare ad altro se non a lui e ai miei compagni. Come se la mia vita fosse meno importante, mi interessava solo sapere che stessero tutti bene, che fossero ancora vivi.
Perché mi importava così poco della mia di vita?

Una sirena riecheggiò all’interno dell’edificio, ci radunammo fuori. Il generale - testa di cazzo – Pichler iniziò a parlare. Il suo tono mi urtava i nervi.

Parlò della spedizione di ricognizione; disse che aveva bisogno di un gruppo di uomini che andasse a controllare la situazione vicino al confine russo. Le cose erano peggiorate e le cartine non erano aggiornate. Il livello di radiazioni al lago dei Ciudi non era stato più misurato e così le curve di livello radioattivo. Dosimetro alla mano, bisognava capire fin dove ci si potesse spingere. Parlò dei tenenti, avevano aggirato il lago ed erano arrivati in Russia, nell’accampamento nord orientale, ma avevano subito gravi danni e non sarebbero riusciti a proseguire verso San Pietroburgo. Era impossibile attaccare dal nord. L’esercito francese e tedesco erano in seria difficoltà su quel fronte.
L’idea era quella di colpire da sud, per raggiungere Mosca e unirsi allo schieramento asiatico.

Vennero selezionati alcuni soldati a campione, molti cercavano di opporsi ma vennero minacciati di essere condannati per diserzione. Io iniziai a vederci doppio, le orecchie mi fischiavano forte. Formarono dei gruppi, era tutto confuso e caotico, le voci dei caporali si mischiavano a quelle dei soldati. Il generale Pichler continuava a parlare, inneggiando al Valore e al Patriottismo; la sua voce era smorzata dal sussurrio dei soldati scelti che iniziavano a scalpitare. Nessuno voleva partecipare a quella missione, le leggende sul lago maledetto si erano diffuse. Dei soldati dietro di me incominciarono a spingere, parlottando tra di loro. Il generale iniziò ad imprecare, ordinò ai caporali di usare le maniere forti. Tutti iniziarono a fuggire e spintonare alla rinfusa. La situazione era degenerata in meno di 5 minuti. Il panico aveva offuscato le menti di tutti.

Io ero immobile, pietrificato. Qualcuno mi afferrò per le braccia, mi trascinò via con la forza. Tentai di oppormi senza successo, non feci neanche in tempo a voltarmi o a fuggire. Mi scaraventarono su un pulmino nucleo-corazzato, rifilandomi qualche cazzotto affinché non mi opponessi. Chiusero le porte alle mie spalle. Mi ci volle un po’ ad abituarmi alla penombra del veicolo, la guancia mi bruciava per le botte. Poco dopo il furgoncino si mise in moto, ero stato scelto per quella missione suicida. Mi appoggiai alla porta in piombo e mi lasciai scivolare sulla parete.

Mi chiedevo se avrei mai rivisto Andrew.

“Luce!” sentì poco distante. Riconoscevo quella voce. “Luce! Sei tu?”

Cercai di mettere a fuoco, ne ero quasi certo.
Mi alzai a fatica, cercai di seguire quella voce.
Erano loro, erano proprio loro, erano i fratelli Clark!

Corsi verso di loro, inciampando nei piedi di qualcuno. Sasà mi venne incontro e dietro di lui Aaron. Mi aiutarono a tirarmi su, Sasà mi strinse forte; ero così felice di averli ritrovati. Aaron mi stropicciò la spalla, io gli sorrisi, gli occhi mi si fecero lucidi: erano stati scelti per quella missione maledetta, la loro vita era tanto in bilico quanto la mia. I loro visi erano tristi e avviliti. Tentai di trattenere le lacrime e mi lasciai cullare dal calore virile dell’abbraccio di Sasà. Non avrei mai permesso che succedesse loro qualcosa, non ora che li avevo ritrovati.

Ci sedemmo in un angolo del pulmino. Sasà non diceva una parola, Aaron era agitato.
“Dov’è Chris?” Chiesi io per rompere il ghiaccio.
“Non l’hanno preso… è riuscito a scappare.” Mi rispose Aaron, Sasà fissava il vuoto. “Lui ci ha raccontato del lago… sapeva che… che è da pazzi. Non pensava che volevano passare da sotto … non ci credeva. Ci ha detto che l’acqua…”
“Ho sentito.” Lo interruppi, posandogli una mano sul braccio. La sua voce tremava come la fiamma di una candela. “Staremo bene, okay? Ce la faremo.” Dissi rivolto ad entrambi.
Sasà alzo lo sguardo, “No.” Disse a denti stretti. Poi si voltò e si accucciò sul pavimento del veicolo. Lo sconforto cadde su tutti noi e il silenzio si portò via la voglia di sperare.
___

Viaggiamo per ore o forse giorni, non saprei dire. Quando ci fermammo le porte si spalancarono d’improvviso, la luce ci lacerò gli occhi abituati alla penombra. Il sergente Del Greco ci puntò una carabina in vetro opaco contro; all’interno una nube elettrica color lilla.

“Se qualcuno ha ancora qualcosa da dire, lo faccia ora.”

Era un ragazzo giovane, sui trent’anni. Aveva un viso liscio e scolorito dal sole. Profonde rughe gli solcavano le palpebre. Il suo tono era secco, sicuro ma gentile. Era altissimo e portava una divisa ingiallita e consumata.
Dopo essersi assicurato che nessuno si sarebbe più opposto, tirò giù l’arma. Ci guardò in faccia uno per uno. Era a capo della nostra truppa, una ventina di uomini compresi me, Sasà e Aaron. Ci ordinò di allestire un accampamento. Montammo delle tende in una piazzola nascosta dalla vegetazione e mangiammo qualcosa al volo.
Il sergente venne da noi con aria mesta e ci diede delle divise mimetiche. Erano in fibra di vetro, quel vetro opaco che avevo già visto al poligono, al bunker e in quelle dannate armi. Erano leggerissime e rinforzate da un sottilissimo strato di piombo, tanto sottile da piegarsi con le dita. Le indossammo, erano confortevoli e si adattavano bene alla forma del corpo. Guardai la manica della divisa: notai un piccolo led rettangolare che ogni tanto si accendeva e vibrava appena. Continuai a ispezionare la divisa: trovai un piccolo bottone giallo sul colletto. Lo osservai per qualche attimo.

“Non pensarci neanche a schiacciarlo” il sergente, “crea un campo elettromagnetico nella divisa, per le onde alfa. Prega che non ti servirà mai.”
“Scusi, sergente.”
“Qual è il tuo nome, soldato?”
Mi misi sull’attenti. “Soldato Luce” risposi.
“Che nome inusuale.”
Andava bene così, non avevo voglia di raccontare di nuovo la mia storia.
“Usa quel pulsante se vedi delle scie azzurre o verdine, se ti puntano contro una pistola all’uranio o al plutonio. Il campo dovrebbe deviare le onde. E controlla sempre il dosimetro!” disse indicando il piccolo led sulla manica.
“Grazie mille, sergente!”
Mi guardò con uno sguardo gentile, serio e severo. Fece cenno con la testa e si allontanò con passo lento.

Quando tutti i soldati ebbero indossato le nuove divise anti-atomiche, il sergente Del Greco ci radunò in una delle tende dell’accampamento.
“Ci hanno affidato questa zona.” Disse indicando una cartina geografica poggiata per terra. Parlava in modo pacato, molto lentamente. “Poteva andarci peggio. È una zona boschiera. Altri sono nelle paludi, lì è un disastro. Domattina partiremo all’alba e ci spingeremo verso il cuore della foresta. Qui” indicò un punto in verde sulla mappa. “Dovremmo essere molto cauti. Poco distante da qui c’è un paesino abbandonato. Lì il livello di radiazioni deve essere elevato. Fate attenzione a quel posto, potreste avere visite lì.”
Fece una lunga pausa.
“Inizieremo dall’esterno della foresta. Avete i dosimetri nelle divise e ve ne sarà dato uno ad ampio spettro. Segnate sulla mappa il livello e andate via il prima possibile. Non toccate gli alberi e non interagite con gli animali. Se il posto è sicuro mettere un croce. Ci sposteremo sul furgono blindato. Domande?”

Un soldato dalla voce profonda si fece avanti.
“Le radiazioni ci uccideranno?”
“No, se seguite queste indicazioni. Avete le tute e il vaccino. Prima finite e prima ce ne andiamo da qua. Riposo soldati.”

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