Seguì Chris all’aperto. Ci unimmo agli altri. Quello sarebbe stato l’ultimo degli allenamenti prima di… partire.
Nella mia mente la guerra continuava ad essere qualcosa di distante, di sbiadito, di surreale; come un brutto sogno che non ti aspetteresti mai che diventi realtà.Quei giorni furono interminabili, gelidi e asettici. L’ultimo allenamento, l’ultima cena in quella mensa che ora sembrava la cucina di un bistrot raffinato e l’ultima notte in quei letti che non sarebbero mai potuti essere più duri della realtà.
Nessuno parlava più di tanto, sembrava come se le labbra di tutti fossero state cucite dalla paura in persona, come se l’ansia avesse tolto il respiro alle persone, come se non avesse senso sperare ancora. Ne Chris né i fratelli Clark avevano più la forza di opporsi, continuavano i loro allenamenti senza una singola espressione negli occhi, con il cuore congelato dallo scorrere del tempo. Li guardavo in silenzio, senza farmi notare e cercavo di entrare, anche solo per un istante, nelle loro menti. Cercavo di capire come si sentissero, come mai erano arrivati lì e cosa ne sarebbe stato di loro.
Cosa ne sarebbe stato di me?
Sarebbe potuto succedere di tutto, a chiunque e in qualunque momento, ma quell’attesa, quell’attesa lacerava la pelle. Tutto poteva succedere e non succedere allo stesso tempo: eravamo dentro un’incasinata equazione quantistica nelle mani di un incompetente e allo stesso tempo geniale scienziato: il destino.
Io non provavo nulla, ero agitato sì, ero terrorizzato ma nulla riusciva a smuovere il mio baricentro di malinconia. Non avevo niente per cui lottare se non i miei compagni, se non per quel senso di tristezza che mi teneva compagnia, se non per quella poesia…
“Non vedrò mai Taranto bella, non vedrò mai le betulle… né la foresta marina.”
Era tutto così assurdo. Forse era solo un monito, non avrei potuto superare quel momento, non avrei mai potuto vedere nessun posto, non avrei girato il mondo, non sarei più andato a vedere gli alberi o le spiagge.Faceva schifo l’idea, ma tutto era meglio di quella schifo di monotonia.
Mi ripetevo quella poesia durante la giornata perché mi faceva sentire umano, mi ricordava che non ero ancora morto e mi faceva sentire Andrew accanto a me. Era stupido lo so, era stupido pensare che Andrew avrebbe potuto salvarmi, farmi uscire da quell’acquitrino di emozioni mai provate, ma era tutto quello che avevo.
L’unico motivo per cui lottare.Avrei lottato per Andrew, per ritrovarlo, per abbracciarlo anche solo un’altra volta, per sapere che stesse bene e per sapere che fosse vivo.
Avrei lottato per i fratelli Clark e per restituire loro un po’ di calore e affetto che non avevano mai ricevuto, per vedere anche solo un sorriso sul viso di Sasà, anche solo una lacrima sulle guance di Aaron.
Avrei lottato anche per Chris, perché anche lui faceva parte di quella famiglia che mi ero creato. Sarei rimasto in vita per riuscire a sentire nella sua voce un sottile filo di emozione.
Isa, Giulietta ed Eleonora… avrei scoperto come fare qualcosa per loro. Sentivo che c’era qualcosa che dovevo dare, qualcosa che dovevo restituire, qualcuno che non avevo ancora conosciuto.Allora partimmo. Questi pensieri non mi lasciarono in pace un solo minuto. Sasà ogni tanto gettava un occhio sul mio viso triste poi abbassava lo sguardo e si avvicinava di un millimetro a me, quasi inconsciamente, senza neanche accorgersene.
Dalla nostra caserma raggiungemmo l’Austria. Il viaggio fu lungo e silenzioso. Il treno sfrecciava tra i binari congelati e le lande deserte e silenziose delle alpi. Non incontrai anima viva. Durante il viaggio alcuni soldati ci raccontarono cosa era successo all’Austria: la chiamavano corridoio del silenzio, era diventata uno sconfinato aeroporto da cui raggiungere tutti gli altri stati del nord Europa.
Non vi era più nessuno. Solo ferrovie, aeroporti e eliporti.Ci volle quasi un giorno. I rumori dei treni e lo stridio delle rotaie mi erano entrati in testa, stavo morendo di fame e i miei occhi impiegarono una decina di minuti ad abituarsi alla luce del sole.
Scendemmo a Vienna nell’Aeroporto internazionale Dem Boden Gleichgemacht. La struttura era sconfinata, essenziale e brulicante di soldati di qualunque nazionalità. Tutti si guardavano di sottecchi e con aria di sfida. Era un porto franco, una zona neutrale; mi chiedevo cosa fosse successo in quel posto.La struttura era talmente grande che all’interno ci si spostava con degli enormi pulmini corazzati. Nessuno diceva niente, correva voce che parlare in quell’aeroporto portasse sfortuna. Mangiammo qualcosa al volo e per le ore ventidue salimmo su un areo che sembrava fosse stato assemblato con la saliva. Prossima direzione: Tallinn, Estonia. Da lì, ultimo porto alleato, sarebbe iniziata la nostra missione, sarebbe iniziato l’inferno.

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Luce
RomanceLa guerra è scoppiata ancora, il mondo è devastato dall'odio e dalla violenza. Un ragazzo, dalla carnagione pallida e gli occhi di uno strano colore turchese, si ritrova scaraventato in un mondo a lui sconosciuto: il mondo dell 'esercito. Senza memo...