XXV - Scaglie di sirena

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La notte fu breve e insonne. Mi svegliai con un mal di testa delirante e con gli occhi stanchi e intorpiditi.

Partimmo presto. Abbandonammo quel bunker al suo vuoto inospitale e risalimmo sull'aereo.

In qualche ora arrivammo in Estonia. Dall'aereo vedevamo nella parte occidentale casette colorate e scaglie di mare mentre dall'altra il più tenebroso e ostile, impervio e brullo, terreno desolato. Il paese era spaccato in due; più ci avvicinavamo più vedevamo la differenza tra la zona costiera, che resisteva alle radiazioni nucleari, e l'entroterra.

Vidi un enorme lago in lontananza che rifletteva sfumature magenta e verdi. Dai finestrini dell'aereo lo vedevo luccicare e incresparsi sotto la luce del sole, come se fosse ricoperto da scaglie di sirena.

Era stupendo.

O almeno lo era fino a quando scoprì che era il lago dei Ciudi e che conteneva l'acqua più radioattiva che esistesse in quel momento. Un soldato dalla carnagione scura e un pizzetto ispido raccontava con veemenza di quel lago e delle leggende che lo rendevano celebre; io rimasi ad ascoltare la sua voce pacata, più per curiosità che per interesse.

Raccontò che intorno al 1200, in pieno periodo di crociate, ci fu un'aspra e violenta battaglia. La chiamarono battaglia del lago ghiacciato perché si diceva che quando i crociati cercarono di guadare il lago per raggiungere gli infedeli, il Diavolo in persona avesse ghiacciato l'acqua per favorire gli ortodossi e i russi. Destino vuole che le nuove forze sovietiche e le loro disumane armi nucleari, ne abbiano fatto uno sbarramento nucleare naturale. Il livello di radiazione di quell'acqua era tanto alto da corrodere la pelle di tutto il corpo con una sola goccia. La chiamavano l'acqua del demonio.

Mi vennero i brividi a sentire quella storia.

Atterrammo poco distante da Tallinn. Non avevo ancora trovato ne Sasà, ne Aaron, ne Chris. Mi venne nausea al primo respiro dell'area estone. Il clima era mite, il Mar Baltico spolverava l'aria di un mite tepore di primavera. Il cielo era sereno e azzurro, con lampi azzurri che scandivano i minuti.

Mi avvicinai a quel ragazzotto un po' saccente che aveva raccontato la leggenda del lago. Gli chiesi se sapesse cosa fossero quei lampi in cielo.
"Effetto cerenkov" rispose, liquidandomi alla buona.

Ripresi a marciare da solo. In quel momento volevo solo rivedere qualcuno dei miei compagni e sapere che stessero bene.

Verso mezzogiorno raggiungemmo il campo militare centrale. Continuavo a guardarmi intorno ma non vedevo altro che detriti di case colorate e architettura nordica medievale e germanica. Il sole era alto e il cielo sempre più verdastro. Arrivati lì ci diedero qualcosa da mangiare; il mio stomaco era più chiuso di una cassaforte. Assaggiai appena il cibo, poi continuai a cercare i miei compagni tra i soldati.

Niente.

Uscii fuori demoralizzato. L'atmosfera era spettrale, si sentiva solo il rumore del mare che si infrangeva sugli scogli in lontananza. Ogni tanto arrivava qualche folata di vento bollente che lasciava in bocca uno spesso gusto di metallo.

Fissavo il vuoto senza scopo. Non sapevo cosa fare, mi sentivo perso. La storia delle radiazioni mi faceva tremare l'anima; sentivo un opprimente peso sul petto che non potevo condividere con nessuno. Era paura. Semplice paura di morire.

Appoggiai la schiena sul muro di quell'edificio rustico: era molto diverso dalla nostra caserma, era antico e di certo non era nato per essere un centro militare. Doveva essere un castello o un reggia signorile. Mi guardai intorno. C'era solo vuoto, vuoto e disperazione. Mi raggomitolai sul terreno coperto di erba secca e gialla e poggiai la testa sulle ginocchia. Dopo qualche minuto sentì dei rumori poco distanti, alzai la testa e vidi il generale testa di cazzo e il caporale baffo lungo avvicinarsi con passo spedito. Mi nascosi dietro il muro per non farmi vedere. Entrarono in un edificio diroccato poco distante. Mi avvicinai con passo felpato e mi misi ad origliare da una finestra in vetro colorato che sembrava il rosone di una cattedrale.

"Sono arrivati tutti?"
"Sì, general Pichler."
"E perché ci hanno messo tanto?! La spedizione di ricognizione doveva iniziare stamattina!"
"L'aereo è dovuto atterrare per... le radiazioni."
"Non me ne frega un cazzo, caporale Avesani!"

Sospirò a lungo, poi proseguì.

"Li raduni immediatamente. Mandi qualche squadra per la spedizione. Non ci hanno più dato informazioni sul territorio e si aspettano che mandi al confine tutti i miei uomini senza sapere niente? Maledetti bastardi."
"Sì signore."
"Credo che la situazione sia peggiorata. L'aria non è respirabile. Quel maledetto lago..."

Il generale Pichler si avvicinò alla finestra gettando un mozzicone di sigaretta; per poco non mi prese.

"Dovremo rimandare tutto di un giorno. Entreremo in Russia domani."
"Ma signore tutti i tenenti sono già partiti..."
"E allora? Non è colpa mia se siamo in ritardo con la tabella di marcia."
"Ma... non resisteranno senza rinforzi."
"Che muoiano allora!"

Un fortissimo pugno scosse la parete dell'edificio.
Silenzio.

"Caporale, "disse poi dopo essersi calmato. "Cosa suggerisce?"
"Io... credo che non resisteranno a lungo senza rinforzi."
"Decideremo dopo la ricognizione. Raduni immediatamente tutti i soldati."
"Signorsì signore."

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