XLVIII - Convivere con la tristezza

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Il bossolo si conficcò nel legno della parete. Andrew non si mosse di un solo centimetro. Mi lasciai cadere la pistola dalle mani e caddi di nuovo in ginocchio, drenato, esausto, distrutto.

"Non lo avrei mai fatto Andrew." Sussurrai piano.

Mi avvicinai a lui. Non disse nulla, non voleva guardarmi negli occhi. Lo aiutai a tirarsi su e lo feci sdraiare sul letto. Cercai nella stanza delle garze e iniziai ad asciugargli il sangue dal viso.

Lui osservava le mie mani muoversi senza battere ciglio, senza dire una parola. Nonostante mi prudessero ancora dalla voglia di fargli male, cercai di essere il più delicato possibile. Misi alcuni cerotti da sutura sulle labbra e sul naso e disinfettai tutto.

"Come ai vecchi tempi." Dissi sconquassato da un attimo di nostalgia.

Andrew mi studiava in silenzio. Si sottrasse delicatamente al mio tocco e si mise diritto.

"Cosa vuoi sapere?" Mi chiese.
"Cosa?"

"Cosa vuoi che ti dica? Sono qui, non posso cambiare quello che ho fatto e continuerò a chiederti scusa finché avrò fiato ma ... cosa vuoi sapere?"

"Non me ne faccio niente delle tue scuse."

"Lo so." Abbassò lo sguardo. "Ma parlami ti prego, mi merito di prendermi il tuo dolore, me lo merito tutto."

"Cosa vuoi che ti dica? Mi hai detto tutto... o meglio lo hai scritto, perché non hai avuto neanche il coraggio di dirmelo in faccia." Feci una pausa, portandomi le dita alla bocca e mordicchiando le bende sporche di sangue che mi fasciavano le mani.

"Dimmi questo. Cosa dovrei fare ora? Come dovrei vivere? È così che vivono le persone? Dimmelo io non mi ricordo un cazzo. Non lo so. La gente convive con la tristezza, si alza ogni mattina e convive con la fottuta tristezza. Sai quanto è stato difficile svegliarmi ogni mattina senza avere niente? Nessun ricordo. Nessun primo giorno di scuola, nessuna famiglia, nessun piatto preferito, posti carini, esperienze. Niente. Nada de nada. Ogni giorno così. Ogni mattina. E allora mi dicevo... dai Luce puoi farcela! Torneranno i ricordi. E poi mi deprimevo perché i miei ricordi non stavano tornando e non sapevo neanche il mio nome. E io il mio nome non me lo ricordo. Allora mi alzavo dal letto, mi vestivo e cercavo di piangere ma non ci riuscivo. Non avevo nessun ricordo triste per piangere. Dovevo andare in guerra. Era questa la mia vita. Non ho mai conosciuto altro. E poi sei arrivato tu. Bellissimo, con questi due occhioni azzurri che mi vieni a salvare in mezzo alla neve come un fottuto angelo. Almeno eri stronzo e riuscivo ad andare avanti. Ho trovato altro, ho trovato amici, ho iniziato a creare qualche ricordo, ho rubato i ricordi degli altri, la memoria della storia, la malinconia del tempo che passa, tutte quelle cazzate. Poi un bel giorno sparisci e dopo a caso torni, vieni da me, tutto triste e mi chiedi se ho paura di te. Come cazzo potevo sapere che sei la cosa più mostruosa che mi sia mai capitata?"

Resse il mio sguardo. Vidi in fondo ai suoi occhi un odio verso se stesso tanto grande da farmi paura.

"Eri l'unica fottuta cosa che mi faceva stare bene. E allora convivere con la tristezza sembrava più facile. Mi sarei creato una nuova famiglia, avrei avuto nuovi ricordi. Anno zero. Si ricomincia. Adesso? Cosa mi rimane? Di nuovo niente. Di nuovo tristezza. Niente ricordi e un cuore spezzato. Cosa ho fatto di male?"

"Non hai fatto nulla di male... non meritavi tutto ciò."
"Ma allora perché non hai fatto niente? Come hai potuto aiutarli? Che razza di mostro sei?"

I miei occhi si riempirono di lacrime. Sentivo la pelle sgretolarsi e staccarsi, ero così arrabbiato, così triste, così deluso.

"Sono certo di averti amato in questi pochi mesi e non mi importa se l'ho fatto anche prima di diventare luce... non so chi fosse Edoardo e cosa provasse per te. Ma non ti meriti il mio amore. Non lo puoi avere. Meriti tutta la solitudine che provo ogni giorno."

Continuavo a piangere e lui era immobile davanti a me a prendersi tutti quegli insulti. Mi dava ai nervi la sua impassibilità, la sua capacità di non crollare davanti a me, di distruggersi dentro senza lasciare entrare nessuno.

"Dì qualcosa, cazzo!" Mi lanciai verso di lui ancora, colpendogli il petto con il braccio. Le lacrime mi cadevano dagli occhi senza che io potessi controllarle. "Non ho più niente! Vorrei farti così male eppure... eppure ti amo! Ma non te lo meriti, mi fai schifo." Urlavo colpendolo in preda al panico. "Non ti meriti niente, non ti meriti niente!"

Mi afferrò il braccio. Mi strinse forte il polso e si portò il mio viso sul petto, cingendomi la testa con le braccia. Mi trovai immobilizzato in poco più di un secondo. Il calore del suo corpo mi cuoceva la pelle e l'odore di sangue e sudore mi riempiva le narici. Allentò la presa. Mi allontanai veloce. Non sapevo cosa fare.

"Scusa." Disse mentre due lacrime di piombo gli tagliavano le guance. "Avrei dovuto lottare di più."

Quando pronunciò quelle parole mi sentii avvampare di rabbia. Uscii dalla stanza come un impeto, sperando che quelle due lacrime pesanti che piangeva gli restassero sul viso come cicatrici indelebili.

Venne mattina e l'alba si affacciò dalla finestra della cucina dove mi ero rifugiato. Il mio stomaco prese a brontolare affamato. Avevo molta fame e l'idea di un pasto caldo in quel momento riusciva a calmare tutto il resto.

"Dovrei avere ancora qualcosa nello zaino. Ma sarà tutto congelato." Pensai.

Entrai di nuovo in stanza. Andrew fissava il vuoto; aveva gli occhi infossati. Presi lo zaino e uscii con il suo sguardo puntato addosso.

Mi sedetti su una sedia, rovistai nello zaino e trovai dei panini gelidi e qualche barretta proteica. Mi guardai intorno, sperando di trovare qualcosa per scaldare i panini. Vidi un microonde sulla credenza. Era attaccato alla corrente, funzionava.

Scaldai tutto e iniziai a mangiare quel panino umidiccio e appena tiepido appoggiandomi a un tavolo impolverato al centro della stanza.

Ripensai ad Andrew e a quanto fosse dimagrito dall'ultima volta che ci eravamo visti. Mi chiedevo da quanti giorni non mangiasse. Andai di nuovo da lui e gli portai un panino. Lui lo divorò all'istante.

"Sono davvero un coglione." Dissi, "nonostante tutto il male che mi hai fatto mi preoccupo ancora per te."

Lui si mise in piedi.
"Perché sei venuto fino a qui?"

"Perché ci eravamo fatti una promessa. E io le promesse le mantengo. Se le cose si fossero messe male ci saremmo visti alla baita. Chris ci avrebbe aiutato."

"Io me ne sono andato perché tu ti mettessi in salvo e ti ho dato la lettera perché volevo che sapessi la verità. Non dovevi venire a cercarmi, ti ho parlato della baita solo perché era l'ultimo rifugio della NNSA e speravo che non ti sarebbe mai servito."

"Ormai sono qui, vuoi cacciarmi? Non lo so perché sono venuto. Perché volevo ammazzarti io prima che lo facesse il generale. Non la farò passare liscia a tutti quelli come te. Questa guerra deve finire. E dopo tutto quello che mi hanno fatto non smetterò mai di lottare."

"Comunque Chris non si è fatto sentire e non è arrivato nessuno. Stavo morendo di fame qui. Devi andartene prima che vengano a cercarmi."

"Non me ne vado. Troveremo una soluzione e tu mi aiuterai. Ci eravamo promessi che avremmo fatto qualcosa, o che saremmo morti provandoci. Smettila di piangerti addosso tenente Costas!"

Andrew mi guardò fisso negli occhi con una fiammella di amarezza riflessa nell'iride. Vedevo il soldato che era in lui prendersi dritto nello stomaco il colpo che gli avevo sferrato.

Uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.

Rimasi impassibile, in compagnia dei riflessi dei primi raggi di sole della giornata che si facevano strada tra i fiocchi di neve. Mi sdraiai sul letto e mi lasciai consolare da alcune lacrime tiepide che mi sussurravano all'orecchio: "Edoardo Martini, Luce, Esperimento Atomico numero 4."

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