Appena toccai il sedile dell’aereo, sprofondai in un breve e tormentato sonno di qualche ora, poi mi svegliai, c’era brusio sull’aereo. Ci avevano dirottati a Praga, il cielo aveva un livello troppo alto di radiazioni per volare: quel catorcio non poteva reggere.
Scendemmo di fretta e furia, persi di vista i miei compagni, ci dirigemmo verso un bunker poco distante.
Il capoluogo della Repubblica Ceca era diverso da Vienna. Si sentiva appena un briciolo di vita nell’aria, gli ultimi rantoli della speranza e della voglia di lottare per sopravvivere. Non c’era quell’assordante silenzio che avevo sentito in aeroporto, i colori della città erano spenti, i muri stinti, le case diroccate, le strade distrutte e la natura completamente devastata e morta. Eppure c’era ancora vita, c’era rabbia, c’era la testimonianza del dolore e della lotta.
Camminavamo in file sotto un cielo che risplendeva di lampi magenta e sfumature rossastre, alcuni soldati si sentivano mancare l’aria e altri incominciavano ad avere nausea. Quel cielo e quei colori non promettevano nulla di buono. Rimasi col naso all’insù ad osservare le scie di colori che si inseguivano in cerchio, e passavano ora dal viola all’azzurro, ora dall’indico al giallo. Vidi atterrare poco distante da noi un aereo molto simile al nostro. Pensai che dovessero essere le soldatesse.
Il bunker distava appena 20 minuti di marcia veloce da dove atterrammo, un atterraggio di fortuna. La struttura era quasi invisibile, in vetro, si mimetizzava nel nulla e nell’oscurità della notte. Alcune pareti erano in metallo altre in un vetro spesso e azzurro. Porte blindate, infiniti e desolati corridoi che portavano ad altrettante infinite stanze sotto terra. L’atmosfera era pesante e asettica ma l’aria all’interno era più respirabile.
Doveva essere quasi mezzanotte, avremmo trascorso la notte lì.I dormitori lasciavano un impressionante senso di vuoto ed abbandono sulla pelle: non c’erano materassi, solo sottili tappetini in gommapiuma poggiati su strutture di metallo logore e scolorite. Tutto il resto era bianco, un gelido e accecante bianco messo in risalto dai lunghi led sul soffitto che tappezzavano l’intera struttura, come lunghi serpenti infiniti che non si interrompevano mai.
Era agghiacciante quanto quel posto fosse inospitale e sterile.
Poggiai lo zaino enorme che mi portavo dietro sulla branda, mi tolsi giacconi, giubbotti antiproiettile, giubbotti antinucleari e scarponi. Rovistai nello zaino e trovai una barretta energetica che mi aveva dato Sasà prima di partire. La mangiai lentamente con un senso di vuoto che mi riempiva l’anima. Mi chiedevo dove fossero i miei compagni; l’ultima famiglia che mi era rimasta.
Mi guardai intorno; tutti i soldati erano già a letto, alcuni dormivano già, altri fissavano i led sul soffitto in silenzio, altri ancora cercavano i bagni di quel posto. Non volevo neanche immaginare quanto potessero essere inospitali quei bagni. Preferivo trattenerla per tutta la notte, o farmela addosso.
Mi alzai. Nessuno fece molto caso a me. Non c’era nessun sorvegliante, nessun caporale. Ripercorsi i corridoi spogli in cui eravamo passati poco prima. Stavo per perdermi, poi in lontananza, sotto la luce accecante dei led, vidi un’enorme porta blindata. Doveva essere la porta del bunker da cui eravamo entrati. Non capivo come mai non ci fosse nessuno a controllarla. Mi avvicinai ancora, c’erano delle scritte in ceco appena sopra quella porta in piombo spessa almeno mezzo metro:
ŽIVOTU NEBEZPEČNO
VYSOKÉ NAPĚTÍNon avevo la minima idea di cosa volesse dire.
La vedevo sfarfallare, quasi fosse un ologramma, quasi come se avesse una sorta di campo elettromagnetico sopra. La curiosità mi vinse, mi avvicinai ancora. Brillava di luce argentea e celeste, a tratti sembrava si deformasse come la strada in un’afosa giornata d’estate. Avvicinai appena le dita, tanto abbastanza da sfiorare quella nebbiolina misteriosa che l’avvolgeva. Trattenni a stento un urlo. Una scossa capace di friggere vivo qualcuno mi percorse il corpo, dal dito sino a scaricarsi a terra. Bruciava da impazzire e la testa mi girava con fervore. Arretrai impaurito, scappai da tutta quella tecnologia spietata e annientatrice. Iniziai a correre per i corridoi del bunker alla rinfusa senza seguire i miei passi. Questa volta mi persi. Mi fermai un attimo e mi portai il dito elettrificato alla bocca e tentai invano di leccarlo per alleviare il dolore.

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Luce
RomantizmLa guerra è scoppiata ancora, il mondo è devastato dall'odio e dalla violenza. Un ragazzo, dalla carnagione pallida e gli occhi di uno strano colore turchese, si ritrova scaraventato in un mondo a lui sconosciuto: il mondo dell 'esercito. Senza memo...