XXXIV - Sapone di Marsiglia

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Il generale Pichler era un omone burbero e tarchiato; sedeva dietro la sua scrivania con i gomiti poggiati sul piano e un’espressione accigliata e infastidita. Teneva tra le dita una sigaretta che odorava di catrame e continuava a leggere fogli e compilare scartoffie. Ogni tanto batteva il filtro con il pollice sul posacenere blu alla sua sinistra senza curarsi troppo di dove finisse la cenere e si allentava la cravatta bruna che gli stringeva il collo. Chiudeva le palpebre molto velocemente e strizzava gli occhi in un tic convulso una volta ogni tre respiri.

Io ed Andrew ci avviamo verso il suo ufficio dopo che lui mi diede una divisa militare.
“Non credo sia una buona idea presentarsi così” mi aveva detto sorridendo quando ci alzammo da terra.

Rientrò nell’edificio e tornò dopo una decina di minuti con una delle sue divise, la indossai: era larga ma profumava di sapone di Marsiglia e mandarino. Aveva il suo profumo.

Ci avvicinammo alla porta, Andrew bussò. Non ottenemmo risposta, entrammo lo stesso. La stanza era scura e nell’aria era imprigionato un odore acre di tabacco e sudore.

Il generale Pichler ci accolse con uno sgarbatissimo “non ho tempo” senza guardarci neanche in faccia. Poi Andrew iniziò a parlare portandosi una mano alla fronte.

“Generale Pichler. È importante…”

“Oh. Tenente Costas. Era l’ora che si facesse vedere. Sto ancora aspettando il suo resoconto. Gli altri lo hanno già portato.”
“Intende gli altri due tenenti? Il tenente Colombari che ha perso mezza faccia e il sottotenente Spadoni che non ha ancora smesso di vomitare sangue?”

“Proprio loro.” Disse il generale spegnendo la sigaretta nel posacenere e schiacciandola forte fino a quando l’ultimo respiro di fumo si spense. Rimase in silenzio e mi incatenò con lo sguardo. I suoi occhi erano marroni come il legno e sembravano nascosti da una spessa ragnatela di rughe.

“Perché è qui?” aggiunse senza staccare lo sguardo da me e indicandomi col mento.

“Soldato Luce.” Feci io portandomi una mano alla fronte. Le sue pupille non si muovevano di un millesimo di metro.

“Oh. Mi ricordo di te. Sei il soldato che ha perso la memoria…”

Andrew lo interruppe.

“Siamo qui perché Luce ha del materiale importante da farle vedere.”

Gli occhi di lapislazzulo di Andrew si posarono su di me delicatamente. Mi guardava con pazienza, con gentilezza, quasi a suggerirmi di non avere paura, come un fratello maggiore, come un amico.
Mi sentivo al sicuro al suo fianco, nonostante lo sguardo del generale mi trapanasse lo stomaco, sentivo di non esser solo. Sentivo l’energia che scorreva nel corpo di Andrew diffondersi nella stanza e investirmi come onde tiepide e meste. Il calore che emanava la sua pelle, il profumo della sua divisa, i suoi capelli spettinati che attiravano la mia attenzione. Era lui ed era lì. Il mio cuore si scaldò tutto ad un tratto e si fece di gelatina.

Deglutii.

“Io… ho degli appunti del sergente Del Greco. Lui è rimasto bloccato sotto il furgoncino e mi ha chiesto di portarli indietro.” Mi avvicinai alla scrivania e li posai sull’orlo del piano. Il generale Pichler li afferrò senza staccare lo sguardo da me. “Ci sono anche le cartine dei settori della foresta che abbiamo controllato.”

Indietreggiai abbassando lo sguardo. La mia mano sfiorò il polso di Andrew: una scarica di energia mi lacerò il plesso solare. Mi spostai senza guardarlo in viso.

“Ottimo lavoro, soldato. Pensavo non avremmo potuto avere informazioni di quella zona per colpa dell’attacco. I soldati che sono tornati non sanno niente. Invece le radiazioni sono molto più basse delle paludi…”
Si portò una mano al mento, grattando la barba ingrigita che portava. Afferrò il pacchetto di sigarette giallo poggiato sulla scrivania e battendo sul fondo ne estrasse una, l’accese.

“Ora puoi andare. Devo parlare con il tenente Costas.”
“Può parlare davanti a lui.” Sentenziò Andrew. Rimasi immobile ad osservare la reazione del generale.
I suoi occhi erano taglienti e non tradivano nessuna emozione. Si poggiò allo schienale della poltrona gustandosi la sigaretta.

“Cosa ti fa credere che io parli di strategie militari davanti a un soldato semplice?” la sua voce era piatta e calma.

“E’ grazie a lui che ha quelle mappe. Se lui non avesse lottato per riportarle non sarebbe rimasto nulla.”

Il silenzio gelò la stanza.

“Andate. Ora. E tenente?” disse rivolto ad Andrew abbassando quasi la voce. “Finirai nella neve.”

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