X - Graffio nella voce

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La mattina dopo mi svegliai all'alba, "non un minuto prima, non un minuto dopo". Sperai che anche per lui l'alba fosse alle sette di mattina.

Fu una notte infernale, non riuscii a riposare. Il viso mi bruciava, il braccio mi faceva male e nella mia testa non smetteva di apparire lui, il tenente.
Mi aveva aiutato, era stato gentile con me. Sentivo una sensazione familiare, ero certo di averlo già visto.

Mi preparai, tentai di lavarmi via il sangue dalla faccia senza bagnare cerotti e fasciature e rimasi davanti allo specchio per cinque minuti a farmi forza.

Alle 7:30 in punto mi ritrovai davanti alla porta del tenente. Intorno a me intanto si iniziava a sentire un forte brusio, il rumore di una cinquantina di uomini appena svegli sotto le docce e il chiasso della cucina dove la colazione era quasi pronta.

L'idea di incontrare di nuovo qualche soldato mi fece venire la nausea.

Esitai ancora un attimo. Bussai.
«Avanti» la sua voce calda mi diede il buongiorno.
Entrai, mi misi sull'attenti e mi portai il braccio non fasciato alla fronte.
«Buongiorno, tenente» dissi.

Lui era seduto dietro un'enorme scrivania in cedro scuro con davanti una moltitudine di fogli disordinati. Indossava un attillato maglioncino nero dal quale usciva la camicia dell'esercito. Sul viso un sottile paio di occhialetti che portava sulla punta del naso che rendevano il suo viso perfettamente squadrato un po' più buffo.

Mentre lo fissavo immobile sull'uscio della porta, lui si sfilò gli occhiali dal viso, li poggiò davanti a sé e mi inchiodò con lo sguardo. Alla luce del sole i suoi occhi erano azzurri come il cielo.

«Riposo, soldato. Siediti» disse indicando la sedia davanti alla scrivania. «Chiudi la porta» ordinò.

La sua autorevolezza mi fece sobbalzare ancora. Quell'uomo mi terrorizzava.

Feci come disse. Mi sedetti composto ed ebbi l'opportunità di studiarlo da vicino. Un filo di barba castana gli abbelliva il viso, non aveva avuto tempo di radersi probabilmente e i suoi occhi sembravano stanchi, avevano un nonsoché di malinconico, uno spesso velo di tristezza li ottenebrava.

Abbassai lo sguardo.

"Come stai, Luce?" disse con un forte graffio nella voce.
"I-io" balbettai, "sono a pezzi" mi venne istintivo sorridere, "ma la spalla e il braccio mi fanno molto meno male."

Lui annuii senza staccare lo sguardo un attimo dai miei occhi che sgattaiolavano di qua e di là per evitare i suoi.

"Devi sapere che l'esercito è un posto molto attaccato alla tradizione. Di vecchio stampo. Tieni un profilo basso e non avrai problemi."

"Non farlo sapere a nessuno" pensai, era questo che mi stava dicendo il tenente. Ma io non avevo mostrato assolutamente niente di me, non avevo nulla da dire.

Ero confuso. Feci cenno con il capo.
Liquidò l'argomento così.

"Passiamo alle cose serie. Come ti ho detto sono il tenente Andrew Fernandez Costas, sezione G4, classe 1991. Tu hai perso la memoria e non sappiamo nulla di te. Mi hanno affidato il compito di tenerti d'occhio. Da oggi in poi ti allenerai con me."

Silenzio fuori, una scintilla dolorosa alle tempie.

Ti allenerai con me.

Perché mi sembrava ci fosse qualcosa di familiare in quell'uomo? Quasi come lo avessi già visto...

"Sono stato chiaro?" Alzò la voce.
"Signorsì signore" feci impacciato.
"Appena guarirai inizieremo con tre allenamenti al giorno. La mattina ci vedremo tutti i giorni all'alba e lavoreremo sulla tua forma fisica. Il pomeriggio ti allenerai con gli altri, seguendo le esercitazioni, e la sera ci occuperemo delle lacune militari che hai. Poi vedremo in che condizioni sei e decideremo."

Deglutì rumorosamente, ero già stanco solo all'idea.

"Quando sarai pronto, potremo andare."
Io lo fissai con aria confusa, alzando lo sguardo dai miei scarponcini. Incontrai il suo sguardo vitreo.

"Oh Gesù. Sarà più difficile di quanto credevo" disse portandosi una mano alla fronte, poggiando il pollice sulla tempia destra.

Le sue mani era forti e massicce, le vene sul dorso ne esaltavano la forma quadrata. Sembravano le mani di un boscaiolo.

"È scoppiata la guerra, soldato" il suo tono era pacato, "la Terza Guerra Mondiale. A quanto pare due non ci sono bastate" - di nuovo quel graffio intenso - "la Prima nel 1914 ci insegnò cosa vuol dire morire in guerra, la Seconda, del '39, a morire in casa. Sono state una peggio dell'altra. Bombe, trincee fino ai campi di concentramento. Certe volte mi chiedo come sia possibile che siamo ancora vivi."

Non riuscivo a seguire il tenente Costas ma sentivo nel suo tono di voce un terribile e terrificante risentimento, come un sibilo di morte e dolore.

"Comunque avremo modo di approfondire, mi stai seguendo?"
"Sì..." mentì.
Lui non disse niente.

"La Terza è scoppiata molto tempo fa, senza che nessuno se ne accorgesse e va avanti da anni ormai. Ora però qualcuno ha oltrepassato il limite" sorrise, un sorriso amaro come il cianuro. "E la Morte è tornata a farci visita."

"La Morte?" Mi scappò. Rabbrividì, non avrei dovuto assolutamente parlare.

"La Morte soldato!" urlò lui. "In piedi!"

Saltai dalla sedia, mi misi sull'attenti. Lui si avvicinò al mio viso, oltrepassando la scrivania con un movimento felino.

"Hai idea di cosa sta succedendo là fuori?" sussurrò al mio orecchio.
"Non si stancheranno mai di uccidere finché non otterranno quello che vogliono. Sarà un inferno, ancora e ancora. Ma a me non importa. Non è un mio problema" abbassò lo sguardo. "Tu sei un mio problema."

Mi senti smuovere qualcosa nell'intestino. Il suo modo di pronunciare "Tu" mi diede alla testa, persi un battito. Si allontanò di scatto, iniziò a camminare per la stanza. Io rimasi immobile, con la fronte fradicia di sudore ghiacciato e un terribile presentimento nel cuore.

"Sarai la mia ombra. Farai tutto quello che ti dico, ti allenerai tre volte al giorno e diventerai un soldato. È chiaro?"
"Signorsì signore" sussurrai.
"Come?!" urlò lui.
"Signorsì signore!" mi partì una corda vocale.

"Bene" riprese a passeggiare. "Prima di tutto stampati in testa queste semplici regole: regola numero uno» lo sentì muoversi veloce. Mi raggiunse da dietro in meno di un secondo. Mi prese il braccio sano da dietro e mi sbatté il viso sul tavolo. "Non abbassare mai la guardia" tremai. Sentivo tutto il suo corpo caldo e possente sul mio. Faceva malissimo, il mio cuore batteva a mille. Mi liberò dalla presa. Mi tirai su ancora scosso.

"Regola numero due: mi obbedirai sempre. Qualunque cosa io ti chieda."
Si fece silenzio nella stanza, tornò a sedersi. Mi pianto gli occhi addosso e mi fece segno col mento di sedermi.

"Regola numero tre: non fidarti mai di nessuno. Neanche di me" fece una pausa abbassando il suo sguardo sicuro. "In guerra non ci sono regole, ma se seguirai queste tre semplici regole, avrai vita facile qui. Non fare cazzate, Luce."

Rimasi immobile, intimorito e in silenzio. Non sapevo cosa dire, avevo la bocca secca e impastata.

"Se hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere a me" il suo tono divenne d'improvviso dolce come il miele, divenni rosso in viso. Annuì lasciandomi scappare un sorriso. Lui strinse appena gli occhi.

"Va ora. Ci vediamo tra mezz'ora qua. Finché non sarai guarito l'addestramento dovrà attendere. Faremo quel che possiamo."

Inizierai l'addestramento. Che tu lo voglia o meno.

Di nuovo quella fitta alla fronte, quel dolore sordo.

"Grazie... tenente Andrew" sbiascicai confuso; non era quello il nome con cui avrei dovuto chiamarlo, ma quella sensazione e quel dolore alla tempia mi avevano fatto perdere la lucidità. Temetti un rimprovero e invece lui accennò un sorriso, non pensavo ne fosse in grado.

Lo salutai, mi alzai e me ne andai.

Quando uscì dalla porta, improvvisamente si fece tutto chiaro: il tenente Andrew era il "tenente bellimbusto" che avevo intravisto e sentito parlare la sera del primo risveglio.

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