XXXVI - Brutalmente intimo

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Mi svegliai per un raggio d'alba che rifletteva dalla vetrata: il sole era fiacco e avvolgente ma i colori del vetro lo rendevano straordinariamente maliardo. Mi srotolai dalla posizione fetale in cui mi ero addormentato, sbadigliai e mi strofinai gli occhi. Andrew era al mio fianco con la divisa tutta stropicciata e il viso angelico di chi sta sognando qualcosa di bello. Le nostre mani erano ancora una sull'altra, strette in un abbraccio delicato.

Feci un respiro profondo, ossigenando i miei polmoni stanchi, poi poggiai la testa sul cuscino e mi misi ad ammirare quel tenente bellimbusto che avevo imparato a conoscere. Mi sentivo strano quella mattina; non avevamo fatto altro che dormire nello stesso letto ma il solo contatto con la sua pelle, il solo ritmo del suo respiro, e solo notare che le sue ciglia poggiate sulle palpebre inferiori riflettevano la luce del mattino, mi univa a lui in qualcosa di brutalmente intimo.

Mi voltai sdraiandomi sulla schiena e sottrassi la mano dalle sue dita affusolate. La guardai un attimo, quasi come fosse rimasto qualcosa sopra, qualcosa avvolto nella patina di sudore che la velava: un sottile strato di polline e resina dolce di un'anima fragile e infreddolita.

L'aura di Andrew mi avvolse ancora una volta, si raggomitolò su un fianco e riprese a respirare docilmente. Mi alzai, gli posai gentilmente il lenzuolo sul corpo e volli essere cattivo. Volli prendermi la mia rivincita. Decisi di abbandonarlo lì e lasciare che si svegliasse da solo, per fargli sentire almeno un decimo di quella paura che avevo provato nel sapere che era partito senza dirmi nulla. Lo lasciai lì al suo sonno tranquillo, sperando nel profondo del cuore che anche per lui quella notte avesse significato qualcosa e che al suo risveglio sentisse la mia mancanza. Non gli avrei permesso di farmi sentire così vulnerabile, non mi sarei abbandonato alle sue onde impetuose senza saper nuotare. Lasciai la stanza senza posare lo sguardo sul corpo di Andrew che ondeggiava a ritmo del suo respiro, chiusi la porta alle mie spalle e mi resi conto di essere spacciato: in cuor mio, nel profondo, lo avevo già lasciato entrare.

Raggiunsi l'infermeria con passo lento ed entrai facendo stridere la porta in vetro che sorvegliava l'entrata. Il mio letto era ancora disfatto, alcuni soldati dalle espressioni addolorate riposavano con le braccia stese sui fianchi e il mio amico Sasà russava appena in fondo alla stanza. Mi avvicinai al suo letto senza fare rumore e trascinai una sedia in metallo dallo schienale colorato al suo capezzale.

Mi misi a guardarlo dormire per quasi un'ora. Osservai il suo petto forte e sodo alzarsi ritmicamente come un pendolo annoiato e studiai il suo diaframma che si contraeva ora a tempo, ora troppo velocemente. La sua barba castana, ruvida e virile, si illuminava di sfumature chiare sotto il sole dell'alba.

Iniziai ad immaginare le sue mani grandi, paterne, che accarezzavano il mio corpo, la sua voce bassa risuonare dentro di me e i suoi lineamenti, bellissimi e rudi, che mi si incastravano negli occhi. Due labbra sottili, color carne, che mi avrebbero assaggiato con esperienza e gentilezza. Sapevo che Sasà avesse un figlio e una moglie ma volevo solo evadere da quella frenesia di panico e terrore. Volevo solo svagarmi un po', confondere i miei pensieri. Mi persi in quelle immagini licenziose che mi facevano sentire una calda sensazione di protezione e calore, fino a quando, senza preavviso, vidi sul corpo di Sasà quello di Andrew: mi tornò alla mente il suo viso elegante, il suo profumo agli agrumi e i suoi occhi stanchi e gentili. Andrew aveva qualcosa che mi faceva contorcere le viscere, che mi chiudeva la gola, che non mi lasciava respirare. Con Sasà sarebbe stato un amore delicato, che mi avrebbe promesso carezze e riparo dalla pioggia ma con Andrew non poteva che essere un amore trasparente come il vetro: cristallino, resistente e allo stesso tempo fragilissimo. Con Andrew sarebbe stata tempesta, sarebbe stata passione, sarebbe stata lotta e conquista, caccia e predazione, odio e amore.

Mi venne in mente una poesia...

"Odi et amo" sussurrai "quare id faciam fortasse requiris..."

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