Dolore

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Eren's Pov

Ero seduto ad un bar che avevo conosciuto tre settimane prima, quasi per sbaglio.
Stavo tornando a casa e ho sentito un rumore di frullatore, dietro a un angolo. Incuriosito mi sono diretto nella direzione da cui proveniva il suono e mi sono ritrovato davanti a una vecchia baracca, con un signore anziano che frullava delle mele e dei mandarini, curiosa combinazione.
La stamberga era traballante e rovinata, i muri si presentavano con un pessimo aspetto, scrostati dal tempo e dal pessimo riguardo con cui era tenuta.
Il proprietario, di nome Cristoph, aveva circa settant'anni e ormai non poteva far altro che finire di fare frullati.
Avevo passato gli ultimi giorni sempre lì, a bere centrifugati alla banana e fragola.
Ero rimasto fermo a fissare il mio cellulare, scorrendo silenziosamente le immagini di Instagram. Erano stati giorni muti, spenti, vuoti.
Trovavo confortante avere un luogo sconosciuto dal mondo, mi sentivo io stesso l'unico essere vivente, insieme a Cristoph, certamente.
Grisha non si era più fatto vivo, volatilizzato. Era interessante sapere di essere stato suo figlio per così tanto tempo, diciotto lunghi anni. Poi di essere stato tradito, di essere stato cancellato.
L'avevo perso, mi sarei sentito per sempre senza padre. Come se in realtà lui fosse morto.
Mia madre soffriva molto nel frattempo, ma in silenzio. Improvvisamente però tutti e due avevamo cominciato a parlare poco. Ognuno si concentrava sui propri problemi, su tutto ciò che gli passava in testa, senza fermarsi a parlarne con l'altro.
Anche casa ormai non era più casa.
Aveva perso tutto sapore, compreso l'ennesimo frullato.

Lo finii e salutai Cristoph, ormai mi conosceva, ma non mi aveva mai chiesto perché fossi sempre solo e perché venissi ogni giorni, gli fui grato per ciò.

Arrivai in casa, ma Carla era andata a fare la spesa.
Aprii lentamente la porta, posai lo zaino e mi stesi sul divano.
Lì, lessi. Dovevo fare una lettura per la scuola, tutto sommato interessante, un modo per distrarmi, per estraniarmi da quella realtà soffocante.
Ci spesi tutto il pomeriggio, mi concedevo qualche pausa solo nel momento in cui controllavo il cellulare, niente di interessante.

Carla tornò, le raccontai com'era andata a scuola.
Lei parve interessata.

"A Fisica come sta andando? Tutto bene giusto?"
Deglutii.
"Sì, tutto bene."
Dopo averla aiutata a sistemare le buste della spesa, mi rifugiai in camera con un magone in gola.

Fisica andava bene. Certo che andava bene. Non potevo permettermi di piangere nuovamente.

Il giorno seguente andai a scuola e le giornate sembrarono sempre più grigie, non era cambiato nulla nemmeno quella notte.
Nonostante mi sentissi un buco dentro seguii incredibilmente a tutto, a italiano ero attento.

La professoressa all'improvviso smise di spiegare.

"Bene, ragazzi, per oggi basta così. Ora, voglio parlare di un nuovo progetto. Due giorni fa vi ho chiesto di iniziare a leggere i libri a scelta, ne dovete scegliere due. I generi devono essere completamente diversi. Essendo libri tosti vi do un mese emmezzo per leggerli, poi, entro il 3 giugno dovrete aver completato il video trailer che mette a confronto le due letture nei seguenti gruppi: Eren, Mikasa, Jean, Armin, Reiner..."

Andò avanti nel nominare i miei compagni di classe.

Noi cinque ci guardammo, erano contenti, bel gruppo.
Pensai a come avrei potuto distrarre la mia mente grazie a loro, mi rendeva felice.

Tornai a casa, ero a pranzo da solo. Guardai la cucina in silenzio, aprii il frigo e presi uno yogurt, poi un cassetto e presi un cucchiaino.
Andai in camera, mi sedetti sul letto.
Presi un vecchio taccuino in cui da qualche giorno avevo cominciato a scrivere, doveva essere stato dimenticato da mio padre, perché nella prima pagina c'erano scritte le sue iniziali, poi nient'altro.
Lo trovavo molto comodo per potermi sfogare, avevo trovato un posto sicuro in cui piangere senza essere visto o giudicato. Le parole mi rendevano incredibilmente sicuro di me stesso.
Quelle scritte, ovviamente.

Nel mentre che mangiavo il mio yogurt, scrivevo tutte le cose che in quella giornata mi avevano reso insicuro e solo e abbandonato.

Ne avevo scritti molti, di motivi.
Non avevo trovato posto in autobus, il cielo era grigio, la prof di Matematica avevo messo una verifica, dovevo fare i compiti, non c'era niente da mangiare, Cristoph era chiuso, dovevo fare una lavatrice e mia madre non era quasi mai a casa.

Mi fermai.

Rilessi.

Che ipocrita.
Stavo cercando in tutti i modi di rimpinzare quelle pagine ingiallite di ingiustizie che mi erano successe, di cose che non meritavo minimalmente e di come il mondo stesse cercando di rendermi sempre più debole.
E non era vero.
Il posto in autobus non l'avevo cercato bene, il cielo grigio c'era stato in tanti altri giorni, Matematica avrei potuto studiarla prima, i compiti erano pochi, avrei potuto cucinarmi una semplice pasta, Cristoph aveva solo il suo giorno libero, la lavatrice lava i vestiti e mia madre stava guadagnando soldi per entrambi.

La verità faceva male.
Perché il mio dolore, la cosa che da dentro mi rendeva terribilmente infelice, che mi torturava i pensieri e che stavo cercando di ignorare in tutti i modi possibili immaginabili, stavo cercando di cancellare tutto ciò che avevo fatto. Tutto ciò che prima mi aveva reso felice e che ora mi distruggeva era una persona.
Una persona.
Una.
Ed era stata colpa mia e non potevo fare o dire niente di giusto per sistemare le cose.
Avevo fatto un casino.
Stavo male, male, male.
E non avevo nulla da fare se non piangere.

Rimasi in silenzio a lungo, senza sapere cosa avrei ottenuto da quell'eterna immobilità. Semplicemente, non volevo discutere con la mia consapevolezza, ignoravo che così facendo non sarei andato da nessuna parte, solo verso la tristezza più totale.

In quel periodo mi resi conto di non aver parlato quasi con nessuno della rottura con Levi, forse perché confermarlo avrebbe significato ammettere che fosse realmente finita.
Ci pensò lui.
Due giorni prima doveva aver detto al suo gruppo dell'accaduto, perché non ci sentimmo più con nessuno.
Era strano, ci eravamo riuniti dopo tanto tempo e ora, in pochi giorni, nessuno si parlava più.
Dei miei amici lo sapevano quasi tutti, alcuni, come Mikasa, lo avevano capito.
Ad altri, lo avevo detto io.
Armin, per l'esattezza.
Eravamo da soli, alle macchinette della scuola. Non era ricreazione quindi nessun orecchio indiscreto avrebbe potuto sentirci, decisi di buttare fuori il rospo.

"Arm, una settimana fa io e Levi ci siamo lasciati." dissi, rompendo il silenzio che fino a poco prima arieggiava tra noi.
"Come scusa? Perché?" mi guardò seriamente dispiaciuto, vidi nei suoi occhi la confusione, non se lo aspettava.
"Non mi va di parlarne, sappi solo che è colpa mia, io..."
Parlando sentii un magone salirmi in gola e cominciai a vedere appannato, mi morirono le parole in bocca.
Il biondo si avvicinò e mi strinse forte tra le sue braccia, abbracciandomi come forse non aveva mai fatto.
"Ehi ehi, va bene così. Prenditi il tempo che ti serve, non importa. Io sono sempre pronto per ascoltarti, okay?"
Lo guardai sorridendo, ricacciai indietro le lacrime.
L'unica sicurezza che mi era rimasta, in quel momento, era la presenza di chi, nonostante tutto e nonostante tutti, c'era sempre stato.

SPAZIO AUTRICE

Ciaociaociao, lo so, odiatemi, è passato più di un mese.
Non ho scuse, sorratemi tanto. Io ci provo :(
Però vvb e niente, spero stiate bene, qui comunque si tira avanti.
Thanks to something_in_the_tea , come sempre.

Non Ti Voglio Bene [Ereri] (conclusa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora