9. Arachnophobia

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Era un semplice ragazzo, quando si era approcciato a quel mondo. I suoi erano scomparsi presto, lasciandolo in balia dei servizi sociali. Sballottolato da una famiglia affidataria all'altra, una volta raggiunta la maggiore età, aveva dovuto arrangiarsi. Nessuno era più disposto ad accoglierlo in casa. Orami era un uomo. Poteva trovarsi un lavoro.
Le case di accoglienza per i senza tetto e i refettori non sempre potevano accogliere tutte le persone bisognose, e lui spesso aveva dormito all'esterno. Si era ormai abituato a sopravvivere con un solo pasto al giorno.
Poi, finalmente, era riuscito a trovare un semplice lavoretto. Nulla di che, ma era comunque qualcosa. Per la prima volta aveva sentito di poter dare un cambiamento alla sua vita. Aveva iniziato in questa bottega, lavorando l'argilla e dando forma ad oggetti di arredamento e vasellame. Il proprietario era stato molto gentile con lui. Un vecchio uomo tutto rughe e vecchie storie. Amava raccontargli di quando era giovane lui e di come aveva aperto la sua attività. Venuto a conoscenza della sua situazione, gli aveva anche offerto di restare a dormire in negozio, dentro ad un sacco a pelo. Non era di certo come un letto morbido, ma almeno non avrebbe patito il freddo della notte.
Fu così che si ritrovò nel bel mezzo dell'incendio. In laboratorio qualcosa aveva preso fuoco e il sistema antincendio non era partito. In effetti il vecchio aveva detto che era difettoso. Per questo aveva stipulato un'assicurazione a proposito.
Era riuscito a scampare alla morte per puro miracolo.
Una discreta folla si era già raccolta attorno al negozio, in attesa dell'intervento dei pompieri. Giunsero poco dopo, insieme al proprietario. Parlava freneticamente, gesticolando come un pazzo. Aveva pensato di doverlo rassicurare sulla propri incolumità.
- Dentro c'era anche il ragazzo. Ora l'assicurazione dovrà risarcirmi per bene -, l'aveva sentito urlare.
Coperto di cenere e lividi, aveva sollevato una mano per attirare la sua attenzione. Il vecchio aveva spalancato gli occhi al venderlo. Gli aveva fatto cenno di fare silenzio e gli aveva indicato la via secondaria alle sue spalle. Il ragazzo si era diretto dove gli era stato detto.
L'ultima cosa che si sarebbe aspettato era di venir colpito a tradimento con un bastone. Il vecchio imprecava, maledicendo il fatto che fosse ancora vivo. L'assicurazione non gli avrebbe più dato tutti i soldi di cui aveva bisogno, e lui aveva dato fuoco al negozio per nulla.
Lo aveva picchiato fino a lasciarlo in fin di vita.
Chissà come, era riuscito a trascinarsi in fondo al vicolo, nascosto da occhi estranei. Era un senza tetto, un barbone. Nessuno avrebbe mai preso le sue difese, nemmeno la polizia. Forse doveva davvero lasciarsi morire.
Fu in quel momento che lei lo trovò. Come un'apparizione, vestita di nero dalla testa ai piedi, aveva fissato i suoi occhi violacei sulla sua figura.
- Ma guarda cosa abbiamo qui - aveva riso, coprendosi il viso con un ventaglio.
- Signora, lasci stare e proseguiamo -.
Non era sola. Con lei c'era un uomo distinto vestito in smoking. Aveva il fascino del vampiro tipico dei film.
- Cosa ti è successo? -.
Il ragazzo l'aveva guardata con occhi vuoti.
- Oh! - esultò lei con moderazione, ritraendosi. - Noto odio nel tuo sguardo. Odio verso questo mondo -.
- Signora... -.
- Vieni con me -. La donna si voltò, tornando dal suo accompagnatore. Una limousine era ferma all'entrata del vicolo.
"Vieni con me".
Quelle parole ebbero un peso importante sul ragazzo. Combattuto sul dare ancora fiducia a quel mondo che sembrava averlo rifiutato sin dalla nascita, o meno, decise di alzarsi. Anzi, sarebbe meglio dire che furono le sue gambe a decidere di alzarsi. Forse il suo corpo non era ancora pronto a rinunciare alla vita.
- A proposito, come ti chiami? - gli chiese la donna, sorridendo.
- Giriko - sussurrò il ragazzo, uscendo alla luce del mattino.

- Ehi, vecchiaccio! Dove sono finite le carte che avevo poco fa? -.
Un uomo con i capelli marroni a punta scese le scale della villa urlando come un matto. Mosquito, sentendosi chiamare, uscì dall'ufficio.
- Come faccio a saperlo se ce li avevi tu, idiota? -.
- Taci, vecchiaccio! Vuol dire che me li troverò da solo! -.
Mosquito scosse la testa sospirando. - Ancora devo capire perché hai deciso di prenderlo con noi - ammise, rivolgendosi alla donna seduta alla scrivania. Indossava il suo solito vestito lungo e nero. Il fiocco dietro assomigliava alle zampe di un ragno, così come il fermaglio per i capelli.
- È un tipo interessante. E poi non puoi certo dire non sia utile - rispose lei, ridendo.
- Di certo ci ha portato più risultati di quegli incapaci -.
Sul tavolo erano aperti tre dossier. Su ognuno erano riportati un nome e una foto diversi. Quello di fronte alla donna riguardava Betson. Lui si occupava delle ricerche a proposito del Mad Hatter. Un nome che alla donna non era mai piaciuto particolarmente.
La sua organizzazione necessitava di nuovi metodi di tortura e quello chimico sembrava quello più adatto. La formula per il composto definitivo era andata distrutta in seguito a quella insulsa messinscena dell'uomo. Si era fatto ossessionare dalla vendetta. Da una vendetta inutile, a dire la verità. Per fortuna erano riusciti a recuperare un campione, ed ora il laboratorio la stava analizzando per riuscire a scoprirne ogni particolare. Per una strana volontà della sorte, potevano anche già osservare l'evolversi della contaminazione con il sangue umano.
- Per me è stata una vera liberazione poterlo uccidere - commentò Mosquito, prendendo il fascicolo e archiviandolo sotto la dicitura "Caso chiuso".
- Effettivamente era un tipo difficile da sopportare - concordò la donna.
- Per gli altri due, cosa pensa di fare? -.
Lei prese tra due dita le rimanenti foto. Una rappresentava Lenoir, mentre l'altra Mike. Non avevano combinato nulla di buono finora, ma stavano ancora lavorando per recuperare i file che le erano stati rubati.
- Lasciamoli continuare in autonomia -.
- Lady Arachne... -. Mosquito vide la sua signora perdersi nei suoi pensieri, probabilmente nel ricordo di quanto era accaduto pochi anni prima.
La prima e unica volta in cui qualcuno era riuscito a imbrogliarla. Così come aveva fatto per Giriko, aveva deciso di accogliere nella sua famiglia una giovane donna. Era certa di aver visto la scintilla dell'odio nei suoi occhi. In quel verde spento che non rifletteva nemmeno la luce. Eppure aveva colto la scintilla che lottava per mostrarsi, sebbene fosse nascosta in profondità.
Aveva rubato files importanti sull'identità dei membri della sua organizzazione, sui suoi affiliati e sui suoi commerci. Era certa non avesse fatto in tempo a divulgarli, altrimenti la polizia sarebbe già stata sulle sue tracce. Però aveva avuto il tempo di nasconderli, e anche per bene. Erano due anni che li cercava, e ancora non era riuscita a recuperarli.
- Anche il ragazzino sta facendo bene il proprio lavoro - aggiunse Mosquito, destandola dai suoi pensieri.
- Già -.
La donna posizionò di fronte a sè sei fotografie. - Per il momento queste sono le persone di cui disponiamo -.
Osservò con attenzione i volti immortalati: Lenoir, Mike, Mosquito, Giriko, il ragazzetto di cui non riusciva proprio a ricordare il nome e l'infiltrato all'interno della società investigativa.
- Finalmente li ho trovati! - urlò Giriko, sbattendo la porta mentre entrava nell'ufficio.
- Fai più attenzione, razza di scimmia mal addestrata - grugnì Mosquito.
- Chiudi quella fogna, vecchiaccio di merda -.
Il moro lasciò cadere un fascicolo sulla scrivania. La donna sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
- Il nostro nuovo acquisto - spiegò lui con un sorriso.
Una settimana foto andò ad aggiungersi a quelle già disposte sul piano.
- Possiamo fidarci? - chiese scettico Mosquito.
- Mi fido del giudizio di Giriko - rispose la donna, prima che quest'ultimo potesse ribattere con l'ennesimo scatto di ira.
- Benvenuta nell'Arachnophobia - concluse, rivolta alla foto della ragazza bruna appena consegnatagli.

     —— O ——

- Kid, abbiamo un problema -.
Il corvino fu immediatamente al fianco della brunetta. Sullo schermo del computer era aperta una mail appena arrivata. Era da parte di uno dei maggiori soci di suo padre.
- Un'incontro a XXX - lesse il ragazzo. - Pensavo si fosse occupato di tutto mio padre -.
Liz scostò i capelli, raggruppandoli a lato del collo. Si sistemò gli occhiali sul naso e si lasciò andare sullo schienale della sedia. - Forse ci sono ancora da definire alcuni particolari - ipotizzò. - Meglio chiedere a tuo padre -.
- Aspetta! -. Il corvino avvicinò il viso allo schermo, concentrato al massimo. La ragazza poteva quasi vedere il fumo uscirgli dal cervello.
- Cosa succede? - chiese la ragazza dopo qualche minuto di silenzio.
Kid indicò l'ultima lettera della firma. - I caratteri - iniziò a dire. - Sono in numero dispari -.
Liz si sentì cadere dalla sedia. Si aspettava una qualche uscita geniale, invece era la solita paranoia del corvino.
- Ti sembra il caso di farne una tragedia? -. Allontanò Kid dalla tastiera, su cui il ragazzo aveva già iniziato a battere una risposta assurda.
- Devo rispiegarti il principio regolatore di un mondo perfetto? - domandò il corvino, alzando un sopracciglio.
- No! Ti prego, no. Non serve -.
- Immaginavo - ridacchiò lui. - In questo periodo - continuò lui tornando serio, - mio padre è molto impegnato. Non credo riuscirà ad occuparsi della faccenda -.
Liz sapeva molto bene dove quella discussione sarebbe andata a parare. - Quindi pensi di proporre di andarci tu? -.
Kid alzò le spalle come per dire "ovvio". La ragazza sospirò. - Chi pensi di portarti dietro? -.
Il padre di Kid era stato chiaro sulla faccenda: dovunque il figlio fosse andato, soprattutto se per lavoro, doveva essere accompagnato. Il signor Death era ossessivo su questo punto. E la brunetta era d'accordo. Vista la notorietà e la ricchezza della famiglia, era verosimilmente ipotizzabile che qualche malintenzionato avrebbe potuto cercare di far del male a Kid. Liz era sempre in ansia, ogni volta che il fidanzato partiva per uno di quei viaggi.
- Tu e Patty? -.
- Assolutamente no! - scattò la brunetta. Mettere in potenziale pericolo sua sorella era ancor peggio. - Non permetterò mai a Patty di seguirti. Se dovesse capitare qualcosa, non me lo perdonerei mai -.
Kid scosse la testa, vedendo la simmetria della loro composizione sfumare al vento. Nonostante fisicamente fossero completamente diverse (e già questo era stato duro da digerire all'inizio), erano pur sempre in due. Almeno gli accompagnatori sarebbero stati in numero pari.
- E allora Soul - concluse il corvino.
- Già meglio - rispose sorridendo la ragazza. - E poi lui ha già più o meno un'idea di cosa fare - ragionò ripensando alle altre volte in cui l'albino l'aveva accompagnato.
- Si sa qualcosa di Mifune? È da un po' che non si vede più in giro -.
Liz scrollò la testa. - Soul ha detto che è partito per un lavoro, e che non sa quando tornerà -.
Kid incrociò le braccia davanti al petto, assorto nelle sue elucubrazioni. Sapeva che Mifune aveva adottato una bambina che frequentava l'istituto di suo padre. Era strano che rimanesse lontano da lei così a lungo.
- Ogni volta che salta fuori l'argomento, Soul si oscura sempre - aggiunse Liz.
- Avvisalo immediatamente. Io intanto vado a parlare con mio padre - disse lui, ignorando l'ultima affermazione della ragazza. Non poteva affermare di conoscere Soul come le proprie tasche, ma di una cosa era certo: quando l'albino voleva nascondere qualcosa, se ne accorgevano tutti. Non era bravo a mantenere i segreti, soprattutto se lo inquietavano. Doveva essere a conoscenza di cosa fosse accaduto a Mifune, e, sentite le sue reazioni, non doveva essere qualcosa di positivo.

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