25. Rabbia repressa

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JUSTIN

Mentre sto per chiudere l'armadietto, pronto ad entrare in palestra, il mio cellulare vibra. Lo prendo e non appena leggo il nome spengo il cellulare, per evitare di farmi cercare ancora. E' papà. Non voglio parlargli. Ci siamo detti già tutto ieri, quando è venuto da me solo per dirmi che si sta vedendo di nuovo con quella puttana, dopo appena cinque mesi dalla morte di mamma. La stessa donna di sempre, con cui tradì mamma quando era ancora in vita. Provo solo un grande schifo. Con che coraggio poi è venuto a dirmelo! Come se non bastasse a rendermi ancora più nervoso, oggi è il giorno dell'anniversario mio e di Faith. Anniversario che non esiste più ora. Non c'è proprio un cazzo da festeggiare.
Vorrei che questa giornata finisse il prima possibile. Che questo giorno venisse rimosso dal calendario. Anzi, tutto il mese di novembre, che scomparisse insieme a tutti i fottuti ricordi. Chiudo con forza l'anta dell'armadietto ed esco fuori dallo spogliatoio, dove ero rimasto solo io.

"J, sei pronto?" Ryan mi dà una pacca sulla spalla e mi fa cenno con la testa di raggiungere la palestra insieme a lui, dove sta entrando in questo momento l'altra squadra che gioca contro noi. Siamo arrivati da poco a Clermont, una città vicino Orlando. Fortunatamente non abbiamo dovuto fare ore di pullman per arrivare al college della squadra avversaria. Entriamo tutti in palestra e il coach Lambert dopo averci fatto il solito discorso di tenere alta la concentrazione, e stare calmi, ci da il via libera per raggiungere il campo. La partita inizia, Louis, della mia squadra, ha la palla, sono vicino al canestro, gli faccio cenno di darmela, mentre due ragazzi della squadra avversaria si avvicinano a me, il mio amico lancia la palla e la prendo a volo, facendola rimbalzare tre volte prima di puntarla verso il canestro. Non faccio centro e la palla va fuori. Impreco tra me e me continuando ad avvicinarmi ai ragazzi dell'altra squadra, per cercare di prendere possesso della palla. Mi faccio sotto continuamente, spintono tutti, ma non ci riesco, non riesco a prevedere le loro mosse. Stiamo perdendo, ed io non sono concentrato, e no, non sono nemmeno calmo, in questo momento vorrei solo prendere a pugni ogni cosa, smaltire tutta la tensione che ho in corpo invece di far rimbalzare una palla. L'arbitro fischia per il fallo che ho appena commesso su un ragazzo, dicendomi anche di smetterla di fare cazzate, se non voglio essere espulso. Alla fine del secondo periodo di gioco, ritorniamo negli spogliatoi, per riposarci dieci minuti, e ritornare poi in campo per continuare la partita. Il coah infuriato ci raggiunge subito.

"Bieber, vieni qua" Lambert, fermo sulla porta, mi chiama e mi dice di raggiungerlo. Lo faccio, mentre bevo un sorso d'acqua. "Lo sai che quei ragazzi non sono tuoi nemici?" indica la palestra alle sue spalle. "Che cazzo ti prende?" dice a denti stretti, con voce bassa, per non farsi sentire dal resto della squadra. "Vuoi farti buttare fuori? Se non te la sentivi di giocare, avresti potuto dirmelo, invece di fare il coglione in mezzo al campo e prendertela con tutti" continua parlando animatamente. "So cosa ti sta succedendo okay? I ragazzi parlano, ma impara a lasciare i fottuti problemi fuori dal campo" aggiunge, mentre io lo ascolto in silenzio mordendomi una guancia. "Ti ho voluto fortemente in squadra, vedi di non farmene pentire" punta un dito verso me. "Meglio se resti in panchina, ti sostituisco, prima che ti fai espellere!" sto per ribattere ma mi da una spallata e raggiunge il resto dei ragazzi. Chiudo le mani formando dei pugni, e resto in silenzio, più nervoso che mai. "Voi altri, svegliatevi, datevi una cazzo di mossa!" urla battendo le mani, per avere l'attenzione. Solo quando tutti ritornano in campo, do un forte pugno contro l'armadietto, facendo rientrare l'anta all'interno. Resto immobile con la testa poggiata contro l'anta fredda, mentre il petto fa su e giù. Dalla mano mi sta uscendo anche del sangue, ho le nocche spaccate, ma non riesco a sentire dolore, provo solo tanta rabbia ora. Ha ragione il coach. Io oggi non dovevo giocare, ma non perché non ero in forma, ma perché sarei dovuto andare a Boston, a festeggiare questo dannato anniversario insieme a Faith, invece ha mandato tutto a puttane. E' sua la colpa, non mia.

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