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Non le corse dietro. La inseguì, ma solo con lo sguardo. Per lo meno, Akira apprezzò il gesto. Lasciarla libera era la cosa migliore che potesse fare.

Camminò sul marciapiede disseminato da turisti, ragazzi-cartellone e persone che tendevano volantini nelle mani dei passanti, i quali poi li buttavano nel primo cestino a disposizione.

Akira contava ogni piastrella su cui posava piede, rigorosamente evitando di toccare le righe. Rischiò quasi di andare addosso ad una coppia di tedeschi in maniche corte, nonostante il freddo, e riuscì a tenersi in piedi solo mettendo un piede sulla riga tra due piastrelle. Il fastidio che provò poteva rasentare il dolore fisico.

Proseguì per la strada, chiedendosi se finalmente avrebbe potuto tornare a casa senza ulteriori intoppi.

Dalla porta di un negozio uscì un uomo attempato, con una leggera forma preliminare di calvizie. Teneva in mano una scopa di saggina, che utilizzava per spazzare cartacce e mozziconi di sigaretta davanti ai pochi gradini d'ingresso.

«Signor Curton» lo salutò Akira, alzando un po' la voce per farsi sentire dal signore che, sapeva, soffriva un poco di sordità. «La trovo bene!».

Guardò il signor Curton alzare un poco la schiena appoggiandosi al manico della scopa, e sorriderle gioviale. Aveva degli occhi chiari molto acquosi, e un alone di capelli bianchi che gli circondava il viso. Sulla punta del naso aquilino era appoggiato precariamente un bel paio di occhiali con la montatura di avorio.

Era il proprietario del negozio "Guitars Camden", uno dei tanti negozi di musica del quartiere. Ogni giorno si vantava di aver venduto una chitarra a John Lennon e aver preso il tè a Buckingham Palace con la regina Elisabetta. Non si sa ancora bene quanto siano veritiere queste informazioni. 

Era in quel negozio che Akira aveva comprato la sua chitarra e la tastiera ormai abbandonate in camera sua, in un periodo in cui fare la musicista era il sogno della sua vita.

«Oh, si invecchia Akira, e troppo velocemente anche» ridacchiò lui, «perchè non entri in negozio? Ho dei vinili che potrebbero interessarti»

«Mi spiace, signor Curton, ma è tardi e io...»

«Solo cinque minuti, sono sicuro che tuo padre non si arrabbierà una volta saputo che ti ho trattenuta io! Ah, i genitori di oggi...quando io ero piccolo sparivo la mattina e tornavo la mattina dopo...», e continuando a borbottare lamentele sulle nuove generazioni si girò ed entrò in negozio, trascinandosi dietro la scopa e metà della sporcizia che stava cercando di spazzare via.

Akira entrò suo malgrado, perchè non aveva il cuore di rifiutare un'offerta tanto gentile. Si guardò intorno, notando che il signor Curton aveva ancora una volta cambiato la disposizione degli scaffali del negozio. La zona spartiti e dischi era sulla sinistra, mentre per gli strumenti bisognava sorpassare un piccolo arco di mattoni sulla destra e scendere un paio di gradini.

Sorprendendosi, Akira si rese conto che erano passati tredici anni da quando per la prima volta era entrata da sola in quel negozio. Voleva cercare un regalo per il padre, il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, perciò aveva rubato dieci sterline dalla cassa dell'Ikigai Shop e si era avventurata nel primo negozio che aveva attirato la sua attenzione. Quando il signor Curton, dai capelli ancora neri e con qualche ruga in meno, aveva capito che la bambina voleva semplicemente fare un regalo a suo padre si commosse, e le regalò una tazza di tè e un vinile dei Rolling Stones, nonostante costasse nettamente più di dieci sterline. Solo anni dopo Akira scoprì che l'aveva fatto solo perchè lei gli ricordava sua figlia, Abigail, scomparsa anni prima.

«Vuoi un po' di tè?» le chiese il proprietario del negozio, andando nel retro dove, Akira lo conosceva quasi a memoria, c'era un piccolo cucinino a gas dove il signor Curton passava la maggior parte delle giornate.

«No, signor Curton davvero, devo scappare!». Forse per la sordità, forse no, il signore ignorò le sue parole, e mise su l'acqua per il tè.

Si sedettero ad un tavolino traballante, davanti a due tazze di liquido fumante. Akira circondò la tazza con le mani, beandosi del calore che dalle dita si diffondeva in tutto il corpo. In sottofondo, si sentiva la musica provenire da un vecchio vinile che girava in un giradischi dalla punta consumata dall'uso. Quell'uomo amava la musica con ogni cellula del suo corpo, forse perchè la musica non lo aveva mai abbandonato.

«Allora, come vanno gli affari?» chiese il signore, alzando lo sguardo verso Akira.

«Tutto bene, stiamo riprendendo alla grande» rispose lei, lanciando ogni tanto uno sguardo verso l'orologio rosso attaccato alla parete. Erano arrivate le otto, e lei era in un ritardo astronomico.

«Beh, non avete mai smesso, giusto?». Akira portò di scatto lo sguardo verso il signor Curton, perplessa. Lui era seduto tranquillo sulla sua sedia, sorseggiava il suo tè dando un'occhiata al giornale di due giorni prima.

«Signor Curton, siamo stati chiusi quasi tutto Gennaio»

«Davvero? Che sbadato, non me ne sono neanche accorto. La vecchiaia avanza, bambina cara. Be', che è successo? E' stato male qualcuno in famiglia?»

«Signor Curton...c'è stato l'incendio».

Secondo la mentalità di Akira, le persone anziane sono anziane, appunto, non stupide, o rimbecillite. In particolare, il signor Curton non aveva mai accusato episodi di perdita di memoria o amnesia. Era sempre stato gentile, elegante, arguto, molto ben informato e al passo coi tempi. Interessato a tutto ciò che succedeva a Camden Town e pronto a dare una mano in caso di necessità. Ma cosa più importante, era stato il primo a dare il bentornato a Reece e sua figlia, non appena ebbero riaperto il negozio.

Per questo motivo, Akira aveva capito che c'era qualcosa che non andava.

«Incendio, quale incendio?»

«Signor Curton, devo andare ora» affermò Akira, appoggiando la tazza sul tavolo e alzandosi. «E' stato un piacere, tornerò il prima possibile».

«Ma...»

Akira non fece in tempo a sentire cosa aveva da dire, perchè era già uscita.

Il ritmico rumore della metropolitana che viaggiava sui binari scandiva il suo pensiero. La sensazione di sbagliato, di confuso, la accompagnava fin da quando era uscita da Guitars Camden. Era combattuta tra il credere che lei si fosse inventata l'intero incendio o un improvviso vuoto di memoria del signor Curton, e propendeva di più per la prima opzione.

Si strinse il cappotto addosso, ogni volta che le porte si aprivano entrava un freddo intenso, e borbottò tra sé che non vedeva l'ora di tornare a casa. La giornata era stata lunga, e faticosa. Voleva dimenticarsi di quanto successo e festeggiare il suo compleanno con le persone più importanti per lei; la sua famiglia.

Era buio quando arrivò nella sua via, per quel motivo sul momento non riconobbe l'ambulanza appostata davanti a casa sua, o meglio non si rese conto che era davvero parcheggiata in doppia fila davanti al numero quindici.

Qual'è il pensiero che formuli quando vedi un'ambulanza davanti a casa tua? Come è possibile rimanere razionale, e non pensare al peggio? Non essere catastrofista?

Akira rimproverava sempre i film che trasmettevano in televisione la sera, dove il protagonista davanti ad un incidente, davanti a qualcosa di grave, rimaneva impassibile.

Ma in quel momento Akira capì che essere impassibile non è altro che lo sforzo di tenere ogni parte di te stesso legata all'altra, perchè una volta esploso non saresti mai più stato lo stesso. Non saresti più stato capace di ricomporti.

Si mise a correre, nonostante il peso della borsa colma di libri, nonostante gli stivaletti non esattamente comodi. Corse come se avesse il diavolo alle calcagna, non sapendo ancora che tutto il male esistente lo avrebbe trovato in casa. 

Lᴀ Rᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴄʜᴇ Cʀᴇᴀᴠᴀ Fᴜᴏᴄʜɪ ᴅ'Aʀᴛɪғɪᴄɪᴏ ||Fʀᴇᴅ WᴇᴀꜱʟᴇʏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora